Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28204 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28204 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
FIRENZE
nei confronti di:
GIANNECCHINI GIOVANNI N. IL 28/09/1966
avverso la sentenza n. 2662/2014 TRIBUNALE di LUCCA, del
18/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1 ,
che ha concluso per

o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 11/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza dell’il dicembre 2014 il Tribunale di Lucca in composizione monocratica

assolveva Giovanni GIANNECCHINI dalla imputazione di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 2
della L. 638/83 e successive modificazioni perchè il fatto non sussiste in quanto depenalizzato
dall’art. 2 della Legge Delega n. 67 del 2014.
Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore

Generale di Firenze deducendo inosservanza della legge penale e della legge processuale
penale, rilevando in particolare che, in assenza dei decreti attuativi, il reato contestato deve
ritenersi ancora in vigore e che i richiami contenuti nella sentenza impugnata alla decisione n.
139 del 19 maggio 2014 sulla asserita inoffensività della condotta sono certamente inesatti,
come errata è anche la formula di proscioglimento adoperata.
3. Il ricorso è fondato. Questa Corte già in precedenza (Sez. Fer. 31.7.2014 n. 38080,
Napoli, non rnassimata) ha già rilevato che la L. 28 aprile 2014, n. 67 si limita a stabilire una
delega al governo in materia penale, non apportando, quindi, in alcun modo modifiche ai reati
da abrogare, in quanto tale funzione resta affidata alla futura emanazione del decreti attuativi
delegati.
3.1 La delega di cui alla L. n. 67 del 2014 va, infatti, intesa come il classico atto normativo
strumentale sulla produzione legislativa e non, quindi, come un atto di diretta produzione
normativa con efficacia immediata, perché la delega ad abrogare una serie di reati (fra cui per quanto qui rileva – quello previsto dall’art. 2 della L. 638/83) è inserita in una più ampia
previsione normativa a norma della quale il Governo non può limitarsi ad abrogare

sic et

simpliciter le suddette norme, ma l’abrogazione deve essere, per così dire, “compensata” con
l’istituzione di “adeguate sanzioni pecuniarie civili” (art. 1, comma 3, lett. c) che, a loro volta,
devono rispondere a determinati criteri (art. 1, comma 3, lett. d – e).
3.2 L’argomentazione del Tribunale si fonda, più che sulla sentenza 19 maggio 2014 n.
139 della Corte Costituzionale – dal momento che questa non ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale della fattispecie criminosa – sull’art. 2 della L. n. 67 del 2014, sostenendo la tesi
che la legge delega non può ritenersi meramente formale perché “non si limita a disciplinare i
rapporti unicamente interni tra l’esecutivo ed il Parlamento, bensì costituisce certamente
anch’essa una fonte direttamente produttiva di norme giuridiche quantomeno in una
prospettiva di reinterpretazione del quadro normativo preesistente”.
3.3 Trattasi di tesi argomentata in modo suggestivo, ma non condivisibile.
Indipendentemente dalla questione di carattere generale sul rapporto tra Governo e
Parlamento, quel che in questa sede rileva è il contenuto concreto della norma da cui il
Tribunale intende ricavare una depenalizzazione già effettuata del reato de quo.

1

2.

4. L’art. 2 della L. 28 aprile 2014, n. 67 al primo comma così dispone:

“Il Governo è

delegato ad adottare, entro i termini e con le procedure di cui ai commi 4 e 5, uno o più decreti
legislativi per la riforma della disciplina sanzionatola dei reati e per la contestuale introduzione
di sanzioni amministrative o civili, in ordine alle fattispecie e secondo i principi e criteri direttivi
specificati nei commi 2 e 3”. E al comma 2, lett. e), per il reato in questione i principi e criteri
direttivi sono indicati nella sua trasformazione in illecito amministrativo “purché l’omesso
versamento non ecceda il limite complessivo di 10.000 Euro annui e preservando comunque il

al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto
accertamento della violazione”. Il comma 4, poi, determina il termine per l’adozione dei decreti
legislativi in 18 mesi dall’entrata in vigore della legge, e disciplina la procedura a essi
attinente; il comma 5, infine, stabilisce che entro 18 mesi dall’entrata in vigore dell’ultimo di
tali decreti legislativi possono essere emanati decreti correttivi ed integrativi.
4.1 È evidente, dunque, che la volontà del legislatore non è da intendersi come immediata
depenalizzazione del reato di cui si tratta, bensì come conferimento al governo di un potere
legislativo di cui disciplina la durata e le modalità di esercizio, nonché, in certa misura, lo
stesso contenuto. Non essendo stato ancora emesso il decreto legislativo riguardante il reato in
questione, non è pertanto configurabile allo stato la sua depenalizzazione.
4.2 Peraltro questa stessa Corte con altra decisione (Sez. 3^ 14.4.2015 n. 20547,
Carnazza, Rv. 263632) le cui approfondite argomentazioni vanno in questa sede integralmente
condivise e richiamate per comodità espositiva, ha affermato il principio che “Il delitto previsto

dall’art. 2, comma primo bis, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni in
legge 11 novembre 1983, n. 638, che punisce l’omesso versamento delle ritenute previdenziali
e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, non può ritenersi abrogato
per effetto diretto della legge 28 aprile 2014, n. 67, posto che tale atto normativo ha conferito
al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio, per la depenalizzazione di tale
fattispecie e che, pertanto, quest’ultimo, fino all’emanazione dei decreti delegati, non potrà
essere considerato violazione amministrativa”.
4.3 Inoltre, ad integrazione degli argomenti sopra illustrati, la sentenza impugnata è
errata anche sotto un profilo diverso in quanto la formula di proscioglimento adoperata “perché
il fatto non sussiste” è fuor di luogo in quanto del tutto irrispettosa dei contenuti della Legge
delega che – in riferimento al reato in esame – non ha eliso dal panorama sanzionatorio il fatto
dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali per i lavoratori dipendenti, prevedendo ma solo per quelle omissioni il cui importo per anno solare è inferiore € 10.000 annui – la
trasformazione dell’illecito penale in illecito amministrativo con la conseguenza che una
eventuale formula di proscioglimento avrebbe dovuto contenere l’espressione “perché il fatto
non è previsto dalla legge come reato”.

2

principio per cui il datore di lavoro non risponde a titolo di illecito amministrativo, se provvede

La sentenza va pertanto annullata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze.

Così deciso in Roma 1’11 giugno 2015.

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