Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28203 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28203 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• BAFFONE Rosa, nata a Marcianise il 6/7/1992
avverso la ordinanza n. 9869/13 in data 3/1/2014 del Tribunale di Napoli in
funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario FRATICELLI, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari, rigetto nel resto;
udito il difensore dell’imputata, Avv. Francesco LIGUORI, che ha concluso
insistendo per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3/1/2014, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di
Napoli ha confermato l’ordinanza applicativa della misura cautelare personale
degli arresti domiciliari emessa dal Giudice per le indagini preliminari della stessa
città in data 17/12/2013 nei confronti di BAFFONE Rosa per il reato di cui agli
artt. 110 cod. pen., 12 quinquies L. 356/92 e 7 L. 203/91.
In particolare si imputa alla BAFFONE di avere, in concorso con DE SIMONE
Antonietta e con GRILLO Angelo, operato quale interponente nell’intestazione
fittizia della società “Fare l’Ambiente S.p.a.”.
In estrema sintesi, emerge dalla lettura della predetta ordinanza che GRILLO
Angelo, nei cui confronti è stato emesso il 28/10/2013 un provvedimento

Data Udienza: 18/06/2014

restrittivo in carcere anche per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.
relativamente ad un accordo dallo stesso stretto con il clan Belforte al fine di
ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici e privati, divenuto consapevole
quantomeno a far tempo dal 2008 di attenzione investigativa e, per l’effetto,
temendo di essere raggiunto da misure di prevenzione patrimoniale, avrebbe
deciso di porre rimedio a tale situazione procedendo a fittizie intestazioni di sue
società – tra le quali la “Fare l’Ambiente Spa” – a persone a lui legate da vincoli
di affinità, di lavoro o di amicizia, peraltro prive di adeguate caratteristiche

In tale contesto DE ROSA Alessandra, amica di famiglia, assunse la carica di
amministratrice della “Fare l’Ambiente Spa” – società costituita nel 2010 dopo
una misura interdittiva antimafia del 2008 che fu sospesa od annullata in via
amministrativa – il cui pacchetto azionario è stato poi ceduto nel 2012 all’odierna
ricorrente BAFFONE Rosa ed a DE SIMONE Antonietta, rispettivamente nuora e
dipendente (addetta alle pulizie) del GRILLO.

Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagata,
deducendo:
1. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 192 e 273 cod. proc. pen. lamentando l’erronea applicazione della legge
penale nonché l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza
impugnata. Lamenta, in particolare la difesa, della ricorrente il fatto che il
Tribunale ha dato per scontato che il GRILLO (peraltro attinto da misura
cautelare personale non per essere “camorrista” ma solo per concorso esterno
nell’associazione di tipo mafioso) potesse sospettare fin dal 2008 di essere
potenzialmente oggetto di indagini antimafia e che lo stesso ha continuato a
gestire di fatto le società interessate ed intestate a terzi tra le quali la “Fare
l’Ambiente”. A ciò si aggiunge che la motivazione addotta dal Tribunale del
riesame sarebbe anche illogica in quanto in nessuna delle conversazioni
intercettate emergerebbe una significativa attività gestionale della BAFFONE in
seno alla predetta società. Ancora, non emergerebbe dagli atti che la BAFFONE
abbia accettato l’intestazione fittizia delle quote societarie con l’intenzione di
aiutare il GRILLO ad eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione
patrimoniale. Inoltre, sempre secondo il ricorrente, non è affatto dimostrato che
la società in questione sia stata creata con il provento di attività illecite né che
essa stessa abbia prodotto utilità illecite e dunque, che la stessa sia
oggettivamente sottoponibile a confisca.

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professionali e sprovviste di risorse economiche adeguate.

2. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 7 L. 203/91. Lamenta, in particolare, la difesa della ricorrente che si da
per scontato che tutte le attività di GRILLO Angelo siano poste in essere anche
nell’interesse del clan Belforte mentre manca in atti del tutto la prova che la
società “Fare l’Ambiente” operasse anche nell’interesse del clan.

3. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 273, 274 e 292 cod. proc. pen. Invoca al riguardo la parte ricorrente

intrinsecamente contraddittoria ma è anche caratterizzata da una motivazione
assolutamente generica che trascura la circostanza che la BAFFONE è
incensurata e che la pena eventualmente applicabile alla stessa in caso di
condanna potrebbe essere condizionalmente sospesa. Ancora, il parametro della
concretezza del pericolo di reiterazione di reati sarebbe stato affidato
esclusivamente ad elementi meramente congetturali ed astratti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
La difesa della ricorrente procede, di fatto ad una sorta di rilettura degli elementi
emersi in corso di indagine confutandone la valenza e la reale portata probatoria

(rectius: “gravemente indiziaria” atteso che ci troviamo in presenza di una
questione relativa alla applicazione di misura cautelare).
Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, «in conformità al
disposto dell’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., il difetto di
motivazione valutabile in cassazione può consistere solo in una mancanza (o in
una manifesta illogicità della motivazione stessa), ma esclusivamente se il vizio
risulta dal testo del provvedimento impugnato; il che significa che deve mancare
del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice e
che non può costituire vizio che comporti controllo di legittimità la mera
prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di
una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo,
invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto,
attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto ad
emettere il provvedimento» (Cass. Sez. 2^, sent. 3438 del 11.6.1998, dep.
27.6.1998 rv 210938).
I giudici di merito, nel caso in esame, hanno chiarito, con dovizia di argomenti,
le ragioni della loro decisione; non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di

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che l’ordinanza impugnata deve essere annullata in quanto la stessa non solo è

riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando
sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente
illogiche; e che, anzi, l’estensore dell’ordinanza si è puntualmente attenuto ad un
coerente e ordinato modo di esporre i fatti, le idee e le nozioni necessari a
giustificare la decisione del Tribunale, che resiste perciò alle censure del
ricorrente sul punto.
In ogni caso, sempre secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal
Collegio, «in tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere

disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero
dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in
una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità» (Cass. Sez. I sent.
3385 del 9.3.1995, dep. 28.3.1995 rv 200705).
A ciò si aggiunga che «L’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art.
606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali». (Sez. U Sent. 47289 24.09.2003 – 10.12.2003 rv 226074,
Petrella).
Nel caso in esame la motivazione Tribunale del riesame appare priva di vizi,
avendo argomentato in modo del tutto congruo e certamente non illogico o
contraddittorio in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria nei confronti
dell’indagata con riferimento al reato alla stessa contestato, sulla base di
elementi emergenti dall’incartamento procedimentale, facendo anche un
ammissibile riferimento

per relationem

alla articolata decisione sul punto

adottata dal Giudice di prime cure.

utilmente dedotto in cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o

Per dovere di completezza si impone solo qualche ulteriore considerazione con
riferimento ai principali punti di doglianza evidenziati dalla parte ricorrente.
Quanto ai legami tra il GRILLO e la consorteria mafiosa il Tribunale ne ha dato
adeguatamente atto a pag. 2 dell’ordinanza impugnata evidenziando il fatto che
lo stesso è stato incontestabilmente attinto nell’ottobre 2013 da provvedimento
restrittivo riguardante anche il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.,
provvedimento richiamato per relatíonem e dalla cui parte motiva emerge il
“sistematico ricorso dello stesso all’illecito unitamente alla compagine
camorristica di riferimento”. Il Tribunale ha altresì dato correttamente atto delle
ulteriori convergenze probatorie (derivanti dalle dichiarazioni di collaboratori di/

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giustizia, testimoni, accertamenti di P.G. ed intercettazioni) relative al fatto che il
GRILLO proprio grazie agli accordi assunti con la consorteria camorristica ha
raggiunto una rilevante posizione economica ed imprenditoriale.
Anche la problematica relativa al fatto che il GRILLO fosse consapevole fin dal
2008 di indagini a suo carico e che potesse seriamente prevedere di essere
destinatario di misure di prevenzione di carattere patrimoniale è stata
compiutamente affrontata e decisa dal Tribunale a pag. 3 dell’ordinanza
impugnata atteso che proprio nel 2008 una misura interdittiva antimafia colpì le

provvedimento) emerge tale consapevolezza.
La problematica relativa alla questione della gestione di fatto delle aziende
intestate a prestanome tra le quali la “Fare l’Ambiente” da parte del GRILLO è
stata altresì compiutamente affrontata e coerentemente risolta nell’ordinanza
impugnata (pagg. 4 e 5) passando attraverso la valutazione delle dichiarazioni di
VADALA’ Domenico che sono state ritenute dal Giudice territoriale confortare le
altre risultanze procedimentali. Sul punto il Tribunale ha anche dato atto di aver
tenuto conto delle relative doglianze difensive che prospettavano una diversa
lettura delle emergenze processuali che però ha ritenuto di non condividere. Si
tratta, anche in questo caso di una valutazione di puro merito che, come sopra
evidenziato, non rientra nei poteri di sindacato di questa Corte.
Quanto, poi, alla specifica posizione della BAFFONE il Tribunale del riesame ha
compiutamente motivato su tutte le circostanze che portano a ritenere che la
stessa fosse anche soggettivamente consapevole di concorrere nel reato
contestatole, ivi compresa la contestata circostanza aggravante di cui all’art. 7
del d.l. 151/91 che “ben può trovare applicazione anche in relazione al delitto di
trasferimento fraudolento di valori in quanto l’occultamento giuridico di una
attività imprenditoriale, attraverso la fittizia intestazione ad altri, implementa la
forza del sodalizio di stampo mafioso, determinando un accrescimento della sua
posizione sul territorio attraverso il controllo di un’attività economica” (Cass.
Sez. 6, sent. n. 9185 del 25/1/2012, dep. 8/3/2012, rv. 258252) e che, come
evidenziato dallo stesso Giudice territoriale “ha natura oggettiva e si trasmette,
pertanto, a tutti i concorrenti nel reato, di guisa che è sufficiente che l’aspetto
volitivo – espresso nella norma con il riferimento al “fine di agevolare”
l’associazione mafiosa – sussista in capo ad alcuni, od anche ad uno soltanto, dei
predetti concorrenti nel medesimo reato” (Cass. Sez. 5, Sent. n. 10966 del
8/11/2012, dep. 8/3/2013, rv. 255206), tanto è vero che la predetta circostanza
aggravante “può essere applicata ai concorrenti nel delitto, secondo il disposto
dell’art. 59 cod. pen., anche quando essi non siano consapevoli della
finalizzazione dell’azione delittuosa a vantaggio di un’associazione di stampo

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sue aziende e che da anche alcune conversazioni intercettate (citate nel

mafioso, ma versino in una situazione di ignoranza colpevole” (Cass. Sez. 2,
Sent. n. 51424 del 5/12/2013, dep. 19/12/2013, rv. 258581).
La ricorrente, priva di qualsivoglia esperienza e forse anche della capacità
economica di concludere operazione commerciale, tutt’un tratto nel 2012 è
diventata proprietaria del pacchetto azionario di maggioranza della “Fare
l’Ambiente” (quello di minoranza è stato intestato alla donna delle pulizie del
GRILLO) società che, come il Tribunale ha ritenuto sulla base di elementi
probatori compiutamente indicati nell’ordinanza, il suocero GRILLO ha continuato

Anche in questo caso il Tribunale, con una propria valutazione di puro merito
incensurabile in questa sede, nella parte motiva dell’ordinanza ha correttamente
dato atto di aver preso in considerazione le spiegazioni difensive in ordine a tale
operazione e di averle disattese evidenziando, poi, come gli elementi legati agli
stretti rapporti familiari della BAFFONE con il GRILLO e gli altri suoi familiari, la
collocazione dell’operazione societaria di cui si è detto immediatamente dopo un
blitz a carico degli esponenti del clan camorristico che aveva portato anche
all’esecuzione di perquisizioni domiciliari a carico del GRILLO e dei suoi figli unite
all'”indubbia conoscenza delle vicende amministrative e giudiziarie del suocero e
la piena consapevolezza della necessità di costui di non comparire in quanto
sottoposto ad indagini per reati di criminalità organizzata e quindi
prevedibilmente soggetto a misure di prevenzione escludono che la stessa
potesse essere estranea all’anzidetto fine specifico”. Quelle sopra riportate non
appaiono certo come mere congetture del Tribunale del riesame sfornite di
qualsivoglia valenza probatoria quanto piuttosto rappresentano il risultato di una
valutazione attenta delle circostanze dalle quali il Tribunale ha ritenuto di
ricavare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo all’odierna
ricorrente. Ancora una volta la motivazione è stata sviluppata in modo logico e
non contraddittorio ed appare ancorata ad elementi emergenti dal compendio
probatorio esaminato.
D’altro canto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ancorché si tratti
di dolo specifico, ben può essere desunta dagli ulteriori elementi di fatto e dalle
modalità dell’azione quando questi, come nel caso di specie, concordemente
facciano propendere per una soluzione affermativa in tal senso.
Come è noto, questa Corte ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che
«Il delitto previsto dall’art. 12-quinquies, comma primo, del D.L. 8 giugno 1992
n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992 n. 356, che
punisce chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di
denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di
prevenzione patrimoniale, integra una fattispecie a ‘concorso necessario’, poiché

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di fatto a gestire (cfr. motivazione sul punto a pag. 5 dell’ordinanza impugnata).

il soggetto agente in tanto può realizzare l’attribuzione fittizia di beni, in quanto
vi siano terzi che accettino di acquisirne la titolarità o la disponibilità». (Cass.
Sez. 6, sent. n. 15489 del 26/2/2004, dep. 1/4/2004, rv 229343). Nell’affermare
tale principio, la Corte ha anche precisato che l’inconsapevolezza da parte del
terzo del fine illecito, in base al quale la persona sottoposta o sottoponibile a
misure patrimoniale agisce, rileva al fine di escludere in capo allo stesso terzo la
sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Peraltro, è opportuno precisare che nella stessa sentenza, si chiarisce: «Se tutto

naturalisticamente “necessario” diventa rilevante ex art. 110 c.p. quando il
destinatario della titolarità o disponibilità dei beni del soggetto sottoposto o
sottoponibile a misure di prevenzione patrimoniali accetti consapevolmente
l’intestazione fittizia, in ciò ponendo in essere uno sviluppo ulteriore dell’attività
del soggetto agente, ossia quella di rendere concreta la sottrazione dei beni alla
aspettativa dell’autorità procedente. Infatti, in presenza della consapevolezza del
soggetto terzo, l’intestazione fittizia o l’acquisizione della disponibilità del bene si
realizza attraverso un accordo che realizza appieno i requisiti di cui all’art. 110
cod. pen.».
Ancora, lamenta la ricorrente che, non essendo affatto dimostrato che la società
in questione sia stata creata con il provento di attività illecite né che essa stessa
abbia prodotto utilità illecite non è dimostrato che la stessa sia oggettivamente
sottoponibile a confisca con la conseguenza che la stessa non potrebbe
rappresentare l’oggetto dell’operazione asseritamente fittizia finalizzata a
sottrarla all’eventuale provvedimento ablativo conseguente ad un misura di
prevenzione patrimoniale.
In realtà la tesi avanzata dal ricorrente su punto non è corretta. L’art. 2-ter della
I. 575/1965 prevede la possibilità che nell’ambito del procedimento di
prevenzione possano essere sottoposti a sequestro (finalizzato alla successiva
ablazione) beni che sulla base di “sufficienti indizi” si ha motivo di ritenere che
siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
Orbene il Tribunale ha dato atto nella motivazione dell’ordinanza impugnata
(pagg. 2 e 3) di come gli elementi componenti il patrimonio del GRILLO (persona
testualmente ritenuta dal Giudice territoriale operare sistematicamente
nell’illecito e che grazie agli accordi assunti con il clan camorristico di riferimento,
da piccolo imprenditore aveva assunto una rilevante posizione economica ed
imprenditoriale) fosse il frutto dei proventi di attività illecita o ne costituiscono il
reimpiego, con la conseguenza che anche la società “Fare l’Ambiente” poteva
essere sottoposta a confisca nell’ambito di un procedimento di prevenzione
patrimoniale. Del resto ciò che conta nella fase cautelare che in questa sede ci

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ciò appare incontestabile, così come per la notizia segreta rivelata, il concorso

occupa, che è cosa totalmente diversa dalla fase decisionale di merito circa la
sussistenza del reato e dei suoi presupposti e circa l’esistenza delle condizioni
per l’adozione di una misura di prevenzione patrimoniale, è che sussista un serio
(grave) quadro indiziario tale da rendere configurabili i presupposti soggettivi ed
oggettivi per l’avviamento ed il mantenimento del trattamento cautelare
personale nei confronti dei personaggi coinvolti nella vicenda.
Il fatto, poi, che il GRILLO, attraverso l’intestazione delle quote della società di
cui trattasi alla nuora BAFFONE non avrebbe posto in essere un’azione idonea ad

in quanto ai sensi della I. 575/1965 in caso di indagini finalizzate all’applicazione
di una delle predette misure di prevenzione le stesse si sarebbero rivolte anche
verso l’odierna ricorrente non appare indicativo di per sé di finalità differenti da
quelle ritenute dal Tribunale del riesame allorquando ha ritenuto configurabile ovviamente nei limiti della gravità indiziaria richiesti dalla fase cautelare che ci
occupa – il reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306/92.
E’ consapevole il Collegio del fatto che “in tema di reato di trasferimento
fraudolento di valori, la valutazione della natura fittizia, e quindi fraudolenta
rispetto a procedimenti di prevenzione patrimoniale anche soltanto eventuali, del
trasferimento di beni o valori in capo a soggetti (quali il coniuge, i figli, i
conviventi nell’ultimo quinquennio, ecc.) che, in forza della normativa di
prevenzione, sono comunque interessati dalle indagini patrimoniali prodromiche
all’emissione dei provvedimenti di cautela e di ablazione, non può prescindere
dall’apprezzamento di ulteriori elementi di fatto, rispetto all’atto del
trasferimento, che siano capaci di concretizzare la capacità elusiva
dell’operazione patrimoniale, ma il Tribunale, come sopra già ampiamente
esposto, ha evidenziato correttamente l’intero quadro nel quale tutta operazione
si è inserita e che comprova quel quid pluris rispetto al mero trasferimento dei
beni di cui si è detto.
D’altro canto, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 12 quinquies d.l.
306/92 non è richiesta l’assoluta idoneità dell’operazione di trasferimento dei
beni mediante intestazione fittizia ad altri soggetti ad eludere le disposizioni di
legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali ma è richiesto qualcosa di
diverso e cioè che l’azione, soggettivamente intesa, abbia tale finalità. Il fatto,
poi, che tale fine non sia stato oggettivamente raggiunto francamente non
rileva.

2. Anche il secondo motivo di ricorso è, infondato.
Come si è sopra evidenziato, lamenta, in particolare, la difesa della ricorrente
che nell’ordinanza impugnata si da per scontato che tutte le attività di GRILLO

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eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali

Angelo siano poste in essere anche nell’interesse del clan Belforte mentre manca
in atti del tutto la prova che la società “Fare l’Ambiente” operasse anche
nell’interesse del clan.
Ciò è smentito da quanto evidenziato dal Tribunale del riesame a pag. 5
dell’ordinanza impugnata allorquando, nel trattare delle dichiarazioni del
VADALA’, ha evidenziato come lo stesso ha ricordato di aver conosciuto presso la
società “Fare l’Ambiente”, in occasione dei suoi incontri col GRILLO, anche tale
Gabriele (individuato fotograficamente in PICCOLO Gabriele, fratello di PICCOLO

“casalese” effettivo titolare della predetta società. Dalla lettura della motivazione
del Tribunale del riesame emerge quindi come anche attraverso questi passaggi
si desume non solo il legame del GRILLO con il clan camorristico di riferimento
ma anche il legame delle sue società, tra le quali la “Fare l’Ambiente”, al clan
medesimo.
Ovviamente si tratta di una valutazione di merito che il Tribunale ha effettuato
valorizzando particolari aspetti delle emergenze investigative, ma ciò che conta
in questa sede di legittimità è, ancora una volta, il fatto che non ci troviamo di
fronte ad una motivazione insufficiente, illogica o contraddittoria.

3. Da ultimo, si pone la questione lamentata dalla difesa relativa alla sussistenza
in capo alla BAFFONE delle esigenze cautelari che hanno portato all’avviamento
del trattamento cautelare personale nei confronti della stessa e che sarebbero
frutto di una motivazione dell’ordinanza impugnata tacciata come
intrinsecamente contraddittoria ed assolutamente generica che trascura la
circostanza che la ricorrente è incensurata e che la pena eventualmente
applicabile alla stessa in caso di condanna potrebbe essere condizionalmente
sospesa.
In realtà, anche in questo caso l’ordinanza del Tribunale del riesame risulta
essere congruamente motivata nella parte in cui ha evidenziato le esigenze di
cautela richiamandosi e mostrando di condividere, attraverso una legittima
motivazione per relationem, le circostanze già evidenziate dal Giudice per le
indagini preliminari in ordine all’elevata pericolosità sociale della ricorrente e
l’elevata probabilità di reiterazione di condotte analoghe a quelle per cui si
procede. Oltretutto non si è trattato di espressioni di “puro stile” perché il
Tribunale nell’ordinanza impugnata le ha ancorate ad elementi che ha ritenuto
rilevanti quali i legami familiari col GRILLO, i personali interessi di natura
patrimoniale e la consapevolezza del contesto criminale nel quale si sono
sviluppate le vicende in esame.

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Gaetano, esponente di spicco del clan BELFORTE), che si era presentato come un

Trattasi anche in questo caso di una valutazione di puro merito, insindacabile in
questa sede ove non intrinsecamente contraddittoria o manifestamente illogica,
che di fatto ha finito per escludere implicitamente gli elementi di segno contrario
quale, ad esempio, quello dell’incensuratezza dell’indagata.
Tale motivazione appare adeguata, alla luce del principio affermato da questa
Corte, secondo il quale «In tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta
tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio
sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto.». (Cass.

Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in R ma il giorno 18 giugno 2014.

Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323).

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