Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28202 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28202 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• DI NAPOLI Massimo, nato a Napoli il 7/4/1967
avverso la ordinanza n. 359/14 in data 30.1.2014 del Tribunale di Napoli in
funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario FRATICELLI, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio
dell’ordinanza impugnata con riguardo alla aggravante speciale di cui all’art. 624
bis cod. pen. ed il rigetto del ricorso nel resto;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Bruna BUONOCORE, che ha concluso
riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendo l’acquisizione della documentazione
prodotta con la memoria ex art. 127 cod. proc. pen. inviata in data 12/6/2014.

Data Udienza: 18/06/2014

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30/1/2014, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di
Napoli ha parzialmente annullato (limitatamente ai reati di cui agli artt. 572 e
582, 585, 576, 61 n. 1 cod. pen.) l’ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale della stessa città in data 14/1/2014 nei
confronti di DI NAPOLI Massimo mentre ha contestualmente confermato
l’ordinanza applicativa della misura cautelare personale della custodia in carcere
nei confronti dello stesso in relazione ai reati di estorsione continuata ed 2

aggravata, in parte consumata ed in parte tentata (artt. 81 cpv. 629, 56-629,
co. 1 e 2 in relaz. all’art. 628, comma 3, nn. 1 e 3 bis, cod. pen.).
Il DI NAPOLI è, in estrema sintesi, accusato di avere costretto e tentato di
costringere, in più occasioni, la madre COTENA Lucia a consegnargli somme di
denaro (di importo imprecisato) mediante minacce di morte e di attentati
all’integrità fisica della stessa, poste in essere, in un’occasione, anche
impugnando un coltello, nonché mediante violenze (schiaffi e pugni) ai danni

Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato,
deducendo:
1. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’assenza di
motivazione sulle doglianze prospettate dalla difesa relative alla confusione
testuale che si sarebbe creata in sede di ordinanza di convalida dell’arresto
dell’indagato che non consentirebbe alla difesa di comprendere su quale o su
quali contestazioni si fonda l’arresto e dalle quali si debba difendere essendo
contestati nella richiesta di convalida ben tre capi di imputazione che
consentirebbero tutti l’arresto.
2. Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
Lamenta, al riguardo la difesa del ricorrente che il Tribunale del riesame avrebbe
sostanzialmente riunito in un unico fascio una serie di eccezioni della difesa
relative alla mancata immediata traduzione dell’indagato presso la casa
Circondariale di Napoli-Poggioreale, la mancata notifica all’indagato del decreto
di sequestro, l’effettuazione dell’avviso alla madre del ricorrente, la “mancata
compilazione della scheda indagato” (sic!) che avrebbero inciso sul ibero
esercizio del diritto di difesa e che inficerebbero la legittimità dell’arresto in
riferimento all’ordinanza custodiale.
3. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per errata valutazione
della prova intesa come accertamento dei gravi indizi di colpevolezza nei
confronti dell’indagato avendo il Tribunale asseritamente evidenziato fatti che
non trovano fondamento negli atti processuali quali quello delle “grandi”
dimensioni del coltello che avrebbe avuto tra le mani il DI NAPOLI al momento
dell’intervento dei Carabinieri o quello della statura e della corporatura
dell’imputato o della elaborazione fatta dal Tribunale con riguardo alla tempistica
ed alle modalità delle circostanze descritte dalla stessa.
4. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in quanto il Tribunale
avrebbe utilizzato l’espressione “fonti di prova” in presenza di “elementi
2

della stessa.

istruttori” che il Tribunale avrebbe dovuto valutare sotto il profilo dei gravi indizi
di colpevolezza.
5. Violazione dell’art. 606, lett. b) e c) cod. proc. pen. in quanto il Tribunale
avrebbe indicato nella parte motiva del proprio provvedimento due refusi
contenuti nell’ordinanza genetica del Giudice per le indagini preliminari il che, a
seguito della mancata integrale compilazione della “scheda indagato”, non
avrebbe reso possibile comprendere quali fossero gli atti presenti nel fascicolo

conseguente violazione del diritto di difesa.
6. Violazione dell’art. 606, lett. b) e c) cod. proc. pen. sotto il profilo della
violazione dei gravi indizi di colpevolezza e della motivazione atteso che non
sarebbe dato comprendere come le dichiarazioni della persona offesa COTENA
possano essere state considerate come attendibili dal Tribunale atteso che non
emergerebbe dagli atti il fatto che la persona offesa sarebbe stata vittima di
percosse quotidiane dato che dal referto stilato dal personale del 118 intervenuto
nell’immediatezza dei fatti e datato 11.1.2014 si da esclusivamente atto dello
“stato di agitazione” della persona offesa che riferisce “aggressione da parte di
congiunto” e che rifiuta il trasporto in ospedale ma non è stata riscontrata alcuna
lesione o danno fisico.
7. Violazione dell’art. 606, lett. b) e c) cod. proc. pen. sotto il profilo che non
sarebbe comprensibile l’esclusione dell’esimente di cui all’art. 649 cod. pen. alla
luce del fatto che non è emersa alcuna violenza ai danni della persona offesa.
8. Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. sotto il profilo che il
Tribunale avrebbe omesso di motivare sulla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai reati in contestazione anche con riguardo alla ricorrenza
della circostanza aggravante di cui all’art. 624 bis cod. pen. dal momento che la
residenza dell’indagato è la medesima di quella della persona offesa.
9. Violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. sotto il profilo dell’assenza dei
gravi indizi di colpevolezza in quanto il DI NAPOLI nel corso delle dichiarazioni
rese in sede di convalida dell’arresto ha negato di aver percosso la madre e che
la somma di 100 Euro ricevuta dalla stessa gli sarebbe stata consegnata
spontaneamente, come d’abitudine, per fare la spesa.
10.

Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento al

residuale profilo delle esigenze cautelari che il Tribunale del riesame ha ritenuto
sussistenti dalle gravi modalità e circostanze della condotta ascritta al prevenuto
(che sarebbero invece escluse dall’esame oggettivo dei fatti e dalla circostanza

3

del PM e quali effettivamente trasmessi al Tribunale del riesame con

che il Tribunale avrebbe ha revocato la misura cautelare originariamente
applicata anche con riguardo ai reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni)
nonché da altre circostanze quali la “dipendenza dall’alcool del DI NAPOLI” che
non risulterebbe sussistere e dai precedenti penali (che sarebbero assai risalenti
nel tempo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo degli elencati motivi di ricorso è manifestamente infondato.

violazione che possa determinare incertezza su quali sono state le contestazioni
elevate al DI NAPOLI e, per l’effetto, alcuna lesione del diritto di difesa dello
stesso. Chiari erano nel testo e nella forma i capi di imputazione elevati nei
confronti dello stesso in sede di convalida dell’arresto. Sui predetti fatti
l’indagato è stato sottoposto ad interrogatorio nei termini di legge ed ha avuto
modo di difendersi. Chiaro è il fatto che l’ordinanza cautelare emessa dal Giudice
per le indagini preliminari riguardava tutte è tre le imputazioni contestate
all’indagato tanto è vero che la difesa ha proposto rituale impugnazione contro la
stessa, chiaro, è, infine il fatto che essendo stato dal Tribunale del riesame con
l’ordinanza qui impugnata revocato il trattamento cautelare per i reati di
maltrattamenti in famiglia e lesioni, la difesa non ha più alcun interesse ad
interloquire sugli stessi rimanendo l’unica materia del contendere relegata al
residuo reato di estorsione. Del resto è proprio la difesa del ricorrente che,
attraverso la proposizione di articolati motivi di gravame nei quali confuta frase
per frase il contenuto degli atti processuali, smentisce se stessa allorquando
sostiene che vi sarebbe stato una violazione del diritto di difesa sotto tale profilo.

2. Anche il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato.
La parte ricorrente elenca, infatti, una serie di presunte irregolarità che
sarebbero afferenti alla fase del’arresto e della sua convalida. La situazione
lamentata indipendentemente dalla valutazione della sussistenza o meno degli
elementi di doglianza addotti è, però, totalmente inconferente in questa sede. E’
infatti assolutamente pacifico che eventuali vizi nel procedimento di arresto e/o
della sua convalida non determinano la nullità dell’ordinanza che dispone la
misura della custodia cautelare in carcere, la quale è provvedimento distinto ed
autonomo rispetto a quello di convalida, con la conseguenza che l’ordinanza
applicativa della custodia cautelare perde efficacia solo nelle ipotesi
espressamente previste dalla legge, quale ad esempio, quella del mancato
interrogatorio nei termini previsti dall’art. 294 cod. proc. pen. Ciò perché,
ancorché i due provvedimenti siano sovente contenuti nel medesimo atto, l’uno
4

Infatti, dagli atti sottoposti all’esame di questa Corte non emerge alcun tipo di

risulta del tutto autonomo rispetto alle altro tanto che persino la denegata
convalida dell’arresto o del fermo non interdice, quale che ne sia stata la causa,
l’adozione della misura custodiale da parte del Giudice per le indagini preliminari.
Del resto, come evidenziato anche nel corso dei lavori preparatori del nuovo
Codice di rito penale, “il provvedimento che dispone la misura “deve” essere
tenuto concettualmente distinto dal provvedimento di convalida che ha finalità
estranee alla disciplina delle libertà personale” (in tal senso anche Cass. Sez. U,
sent. n. 3 del 16/03/1994, dep. 10/05/1994, Rv. 197006).

chiarito nell’ordinanza impugnata che le questioni addotte sul punto dalla difesa,
a prescindere da ogni considerazione relativa alla loro fondatezza, non sono in
grado di spiegare alcun riflesso sulla validità ed efficacia della misura cautelare
sottoposta al vaglio del Tribunale stesso.

3. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso appaiono meritevoli di una
trattazione congiunta e sono, comunque, tutti manifestamente infondati.
Le circostanze addotte dalla difesa non rivestono alcuna rilevanza nel contesto
della misura cautelare adottata e della motivazione dell’ordinanza impugnata nei
limiti nei quali ne è consentito il vaglio di legittimità da parte di questa Corte.
La valutazione effettuata dal Tribunale circa la dimensione del coltello (indicato
come di “grandi dimensioni”) pacificamente impugnato dall’indagato al momento
dell’intervento dei Carabinieri non ha nessuna incidenza sulla configurabilità della
relativa circostanza aggravante contestata ed altrettanto può dirsi della
descrizione delle caratteristiche fisiche dello stesso indagato. Lo stesso discorso
può ben valere anche per la contestata espressione “fonte di prova” il cui valore
lessicale mostra addirittura un quid pluris rispetto agli indizi che nella loro
gravità avrebbero comunque consentito l’avviamento del trattamento cautelare
in atto. Tuttavia ciò che sembra sfuggire alla parte ricorrente è il fatto che non
ogni contestazione sulle parole od espressioni utilizzate in un provvedimento
giudiziario può costituire motivo di ricorso innanzi a questa Corte ma soltanto ovviamente nell’ottica di cui alla lettera e) dell’art. 606 cod. proc. pen. – quelle
che possono determinare contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione. Tali vizi sono cosa totalmente diversa dai meri refusi o
dall’impropria utilizzazione di termini lessicali e, per quel che più conta, nel caso
in esame non sono attualmente sussistenti nell’ordinanza impugnata nella quale
le argomentazioni sono sviluppate in maniera congrua, logica e coerente.
Deve solo essere ulteriormente evidenziato che i plurimi riferimenti contenuti nel
ricorso alla “scheda indagato” sono totalmente inconferenti atteso che non si

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Sotto tale profilo correttamente ha operato il Tribunale di Napoli allorquando ha

tratta di atto disciplinato dal codice di rito ed i cui eventuali vizi di contenuto non
hanno alcuna incidenza sulla validità o sull’efficacia dell’ordinanza impugnata
stante il rigoroso regime di tassatività delle nullità e delle situazioni di inefficacia
previsto dal nostro codice. Come ciò poi possa incidere (o meglio aver inciso)
sull’esercizio del diritto di difesa non è dato saperlo attesa l’assoluta genericità
del ricorso sul punto.

Il Tribunale ha infatti effettuato una adeguata valutazione di attendibilità della
persona offesa COTENA sulla base degli elementi a propria disposizione,
fornendo logica e non contraddittoria motivazione sugli elementi di credibilità
della stessa, peraltro confermati da quanto riscontrato dagli stessi Carabinieri al
momento dell’intervento che ha portato all’arresto in flagranza dell’odierno
ricorrente (allorquando i militari hanno trovato l’indagato in evidente stato di
agitazione e che brandiva un coltello mentre la madre era chiusa all’interno del
bagno ed implorava aiuto) e dalla stessa certificazione sanitaria rilasciata dal
personale del 118 che ha indicato lo “stato di agitazione” nel quale si trovava la
donna. Il fatto, poi, che sul corpo della vittima non siano state rinvenute lesioni
(circostanza della quale ha dato correttamente atto anche lo stesso Tribunale del
riesame) non determina certo una contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione in esame in ordine al vaglio di attendibilità della persona offesa
atteso che è perfettamente possibile che i segni delle percosse che essa avrebbe
subito in occasione delle percosse alle braccia con un bastone che le sarebbero
state inferte dall’indagato circa 20 giorni prima ben potevano essere già
scomparsi al momento dell’intervento del personale del 118 e gli schiaffi a lei
inferti poco prima dell’intervento dei Carabinieri ben possono non aver prodotto
lesioni riscontrabili essendo rimasti a mero livello di percosse. Di ciò ha dato
correttamente atto il Tribunale nell’ordinanza impugnata nel momento in cui ha
escluso la configurabilità del reato di lesioni e, per l’effetto, ha revocato le
misura cautelare nei confronti del DI NAPOLI in relazione a tale reato.
Sul punto deve essere ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno
evidenziato che in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato,
con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal
tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza,
alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la

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4. Il sesto motivo di ricorso è pure esso manifestamente infondato.

congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (SS.UU. Sentenza n. 11 del
22/03/2000 Cc., dep. 02/05/2000, Rv. 215828 ed in tempi più recenti Sez. 4,
Sentenza n. 26992 del 29/05/2013 Cc., dep. 20/06/2013, Rv. 255460).
Ne consegue che la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla
persona offesa è una valutazione di puro merito e nel momento in cui il Giudice

gli elementi sui quali ha fondato la propria decisione, non possono ravvisarsi
elementi di censura vagliabili da questa Corte.

5. Il settimo motivo di ricorso è infondato.
L’esimente di cui art. 649 cod. pen. in relazione al reato di cui all’art. 629 cod.
pen. non opera per espressa disposizione di legge nel caso in cui il relativo
delitto sia commesso con violenza alle persone.
Il concetto di violenza non necessariamente coincide con la provocazione di
lesioni, essendo sufficienti per poterlo configurare anche le semplici percosse.
Ora, nel momento in cui il Tribunale nella motivazione dell’ordinanza impugnata
ha congruamente esplicitato di ritenere credibili in toto le dichiarazioni della
persona offesa e, per l’effetto, quindi anche quelle nelle quali la stessa ha
dichiarato di avere ricevuto delle percosse dal DI NAPOLI di per sé ha
correttamente stabilito l’inoperatività dell’esimente di cui trattasi. La questione
posta attiene in primis alla valutazione del fatto ricollegata a sua volta al positivo
vaglio delle dichiarazioni della persona offesa, valutazione come tale non
suscettibile di deduzione in sede di legittimità, e poiché la motivazione addotta
dal Tribunale del riesame non presenta sul punto vizi di incongruità o di illogicità
non si rilevano, di conseguenza, neppure elementi di violazione della legge
penale.

6. L’ottavo motivo di ricorso è infondato.
Lamenta la parte ricorrente che il Tribunale avrebbe omesso di motivare sulla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati in contestazione (in
realtà il problema è da intendersi relegato alla contestazione di estorsione
aggravata) anche con riguardo alla ricorrenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 624 bis cod. pen. dal momento che la residenza dell’indagato è la
medesima di quella della persona offesa.
Al riguardo deve essere innanzitutto evidenziato il fatto che il riconoscimento
della sussistenza delle circostanza aggravante di cui trattasi ben può essere

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ha dimostrato, come nel caso in esame, di aver valutato con coerenza e logicità

motivato implicitamente attraverso l’esame esplicito di tutti gli elementi che
hanno caratterizzato la consumazione dell’azione delittuosa.
E’, infatti, fuor di dubbio (e neppure la difesa contesta tale profilo) che le azioni
delittuose sono state poste in essere all’interno dell’abitazione dell’indagato e
della persona offesa e, nel momento in cui il Tribunale del riesame ha dato per
provato tale fatto e, più in generale, l’intero ambito (anche di luogo) nel quale si
sono svolte le azioni in contestazione, ha, di fatto, riconosciuto l’elemento

cod. pen.
Per quanto, poi, riguarda la configurabilità della contestata circostanza
aggravante di cui all’art. 629 cpv. cod. pen. che richiama le circostanze
aggravanti di cui all’art. 628 e, quindi, anche quella di cui al comma 3 bis che fa
riferimento ai luoghi di cui all’art. 624 bis cod. pen., ritiene il Collegio che detta
circostanza aggravante è effettivamente sussistente e che, per l’effetto, nessuna
violazione della legge penale è configurabile nel caso in esame.
E’, quindi, del tutto irrilevante la circostanza che l’autore dell’azione delittuosa
convivesse con la persona offesa nel luogo in cui è stato consumato il reato.
Per espresso dettato normativo ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui
all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3 bis è, infatti, sufficiente che il fatto sia
“commesso nei luoghi di cui all’art. 624 bis”, cioè “in un edificio od in altro luogo
destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa”, mentre
l’art. 624 bis cod. pen., afferente il furto in abitazione, richiede un’azione
ulteriore consistente nell'”introduzione” dell’agente in tale luogo.
Il richiamo che il legislatore ha effettuato con il comma 3 bis dell’art. 628 cod.
pen. all’art. 624 bis cod. pen. riguarda, quindi, esclusivamente i “luoghi” indicati
da quest’ultima norma e non l’intera azione descritta nella norma stessa.
Sussiste, quindi, l’aggravante, in tutti i casi in cui l’azione di rapina o di
estorsione viene commessa nei luoghi di privata dimora, a prescindere dalle
modalità mediante le quali l’agente abbia avuto accesso a tali luoghi senza che
debba necessariamente ricorrere il nesso finalistico tra l’ingresso nell’abitazione
della persona offesa e l’azione delittuosa. L’interpretazione letterale della
disposizione trova giustificazione in quanto il legislatore ha inteso,
evidentemente, inasprire il trattamento sanzionatorio per il semplice fatto che la
condotta illecita venga commessa all’interno di un’abitazione indipendentemente
dal consenso da parte degli aventi diritto all’accesso o al permanere dell’agente
nell’abitazione.

7. Il nono motivo di ricorso è manifestamente infondato.

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“oggettivo” che l’azione è stata commessa in uno dei luoghi di cui all’art. 624 bis

Lamenta, infatti, la parte ricorrente che la gravità indiziaria in relazione al reato
in contestazione non sussisterebbe a causa della giustificazione fornita in
relazione alle ragioni per le quali il DI NAPOLI avrebbe ricevuto la consegna di
somme di denaro da parte della COTENA.
Con tale motivo di ricorso si propone semplicemente una lettura alternativa della
vicenda rispetto alla prospettazione accusatoria che il Tribunale con una
valutazione di merito, certamente insindacabile in questa sede, con motivazione

inverosimile.

8. Infine, anche il decimo motivo di ricorso è da qualificarsi come
manifestamente infondato.
Anche in questo caso la difesa si limita a contestare la valenza delle circostanze
prese in esame dal Tribunale del riesame sulle quali fondare la sussistenza delle
esigenze cautelari che lo hanno determinato a confermare l’applicazione nei
confronti del DI NAPOLI della misura cautelare personale della custodia in
carcere.
Sul punto l’ordinanza del Tribunale del riesame è congruamente motivata, il
Giudice territoriale ha dimostrato di aver preso in considerazione tutti gli
elementi necessari emergenti dagli atti per la valutazione delle esigenze
cautelari, dalla gravità intrinseca dei fatti, ai precedenti penali ed alla personalità
dell’indagato (ancora una volta è del tutto irrilevante nell’economia della vicenda
che ci occupa la contestazione avanzata in più parti del ricorso dalla difesa che il
ricorrente non sarebbe, come qualificato dal Tribunale, “in stato di dipendenza
dall’alcool” ma solo persona con “problemi di ubriachezza”), sviluppando anche
in questo caso un ragionamento logico e non intrinsecamente contraddittorio e,
quindi, in quanto tale non suscettibile di censura in questa sede.

Da ultimo, deve solo essere rilevato che la memoria difensiva pervenuta alla
Cancelleria di questa Corte in data 12/6/2014 ripropone di fatto (seppure con
una veste grafica parzialmente diversa) gli stessi motivi di ricorso sopra discussi
e che la documentazione allegata alla memoria stessa (una richiesta di
acquisizione di atti rivolta al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Napoli ed un verbale redatto ai sensi dell’art. 23 DPR 230/2000 all’atto
dell’ingresso del DI NAPOLI presso la Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale) e
della quale la difesa del ricorrente ha chiesto l’acquisizione è assolutamente
inconferente ai fini della decisione che la Corte è chiamata oggi ad assumere.

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da ritenersi congrua e non manifestamente illogica o contraddittoria ha ritenuto

Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p.

Così deciso in Roma il giorno 18 giugno 2014.

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