Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28201 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28201 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• MAZZOCCH ETTI Nicola, nato a Conegliano il 19/03/1972
avverso la sentenza n. 1368/2013 in data 10/4/2013 della Corte di Appello
dell’Aquila
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario FRATICELLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10/4/2013 la Corte di Appello dell’Aquila confermava la
sentenza in data 30/4/2009 del Tribunale di Chieti, Sezione distaccata di Ortona,
con la quale MAZZOCCHETTI Nicola era stato dichiarato colpevole del reato di
truffa in danno di PIOVANI Andrea e lo aveva condannato alla pena di anni uno e
mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa con il beneficio della
sospensione condizionale.
Si imputa all’odierno ricorrente di essere entrato in contatto con la persona
offesa PIOVANI per tramite di un comune conoscente (tale FERRANTE Eduardo,
indicato in sentenza per un evidente errore materiale come FERRETTI Eduardo)
affermando di essere un appartenente alla Guardia di Finanza (all’uopo anche
mostrando una tessera del corpo) e di avere ottenuto dallo stesso la consegna di
due assegni oltre che averlo accompagnato presso gli uffici finanziari di Ancona
ove lo stesso PIOVANI avrebbe asseritamente dovuto presentare una domanda

Data Udienza: 18/06/2014

per ottenere la licenza per la vendita di tabacchi, così inducendo la persona
offesa a confidare nell’attività di intermediazione di esso MAZZOCCHETTI che gli
avrebbe consentito un più facile rapporto con gli uffici finanziari.

Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza l’imputato personalmente,
deducendo:
1. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione
all’art. 640 cod. pen.

640 cod. pen. non avendo egli posto in essere alcuna condotta penalmente
rilevante volta al conseguimento di un ingiusto profitto e non sussistendo altresì
alcuno degli altri elementi che consentono di configurare il reato di truffa in
quanto egli non avrebbe mai riferito alla persona offesa od ai suoi familiari di
essere un appartenente alla Guardia di Finanza, né avrebbe mai posto
direttamente all’incasso gli assegni che costituirebbero il profitto dell’attività
delittuosa.

2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. – Violazione di legge ex art. 606, comma
1, lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
Lamenta, in particolare, il ricorrente che la Corte di Appello avrebbe confermato
la sentenza di condanna sulla base delle mere dichiarazioni rese dalla persona
offesa senza compiere un rigoroso esame circa la loro attendibilità.

3. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) e c) in relazione all’art. 191
cod. proc. pen.
Lamenta, al riguardo, il ricorrente l’illegittimità della valutazione operata dalla
Corte d’Appello nella parte in cui ha ritenuto che le modalità di svolgimento del
riconoscimento fotografico non hanno violato i diritti della difesa nel momento in
cui venne mostrata alla persona offesa una sola immagine fotografica ritraente
l’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile atteso che il ricorrente propone
censure di merito relative alla ricostruzione dei fatti che la Corte di Appello (oltre
che il Giudice di prime cure) hanno ritenuto provati ed in relazione ai quali la
Corte territoriale ha congruamente motivato.
In pratica, attraverso la proposizione di una differente lettura dei fatti rispetto a
quella effettuata dai Giudici di merito (e, per ciò che più conta in questa sede,
dalla Corte di Appello) il ricorrente lamenta l’insussistenza degli elementi
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Lamenta, in particolare, il ricorrente la non configurabilità del reato di cui all’art.

costitutivi del reato di truffa proponendo come alternativa ricostruzione dei fatti
fondanti la dazione dei titoli di credito l’esistenza di un prestito concessogli dalla
persona offesa.
E’ appena il caso di ricordare che, nel momento del controllo di legittimità, la
Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di

5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^
sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
In punto di diritto è assolutamente pacifico che una condotta come quella
ritenuta provata dai Giudici di merito consente di configurare il reato di truffa
atteso che ci troviamo di fronte ad un soggetto che ha affermato o, comunque,
lasciato credere alla persona offesa di avere una qualità personale (appartenenza
al corpo della Guardia di Finanza) che di fatto non aveva, che ha ottenuto la
consegna titoli di credito che non gli spettavano lasciando intendere che si
trattava di somme necessarie per ottenere il rilascio della licenza di vendita di
tabacchi, evento di fatto mai verificatosi nonostante la messa all’incasso dei titoli
stessi.
A nulla rileva, poi, il fatto, anche a voler sposare la tesi avanzata dal ricorrente,
che l’asserita qualifica di appartenente alla Guardia di Finanza sarebbe stata
portata a conoscenza della persona offesa a causa dell’intermediazione di una
terza persona (il FERRANTE) senza che egli abbia direttamente manifestato tale
asserita qualità al PIOVANI, dato che questa Corte in plurime occasioni ha
chiarito che “quando la condotta dell’agente si esplica in un contegno capace di
ingenerare errore per omessa rivelazione di circostanze che si ha l’obbligo di
riferire o per simulato atteggiamento suggerito dal pravo proposito di secondare
l’errore altrui e di sfruttarne le conseguenze, non v’è dubbio che non si profitta
soltanto passivamente di tale errore, ma lo si crea meditatamente con
preordinato inganno” (ex multis Cass. Sez. 5, sent. n. 987 del 28/10/1968, dep.
31/12/1968, Rv. 109850).
Con riguardo, poi, al fatto evidenziato dal ricorrente che la persona offesa
sarebbe addivenuta alla dazione dei titoli di credito per una finalità illecita cioè
quella di ottenere dal MAZZOCCHETTI una sorta di intercessione di tipo
“clientelare” al fine di ottenere, tra l’altro, una concessione per la rivendita di
generi di Monopolio, questa Corte ha avuto modo di precisare, con una decisione
che l’odierno Collegio condivide, che “in tema di truffa, quando l’agente si è
procurato, inducendo taluno in errore con artifici e raggiri, un ingiusto profitto in

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apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez.

danno di altri, il delitto sussiste anche se il soggetto passivo abbia agito per una
causa immorale, delittuosa o altrimenti illecita, giacché non vengono meno
l’ingiustizia del profitto e l’altruità del danno, né vengono meno l’esigenza di
tutela del patrimonio e della libertà del consenso dei negozi patrimoniali, che
costituisce l’oggettività giuridica del reato (Cass. Sez. 2, sent. n. 10792 del
23/01/2001, dep. 16/03/2001, Rv. 218673).
Infine, a nulla rileva la circostanza che non sia stato accertato chi abbia
materialmente posto all’incasso gli assegni ricevuti dal MAZZUCCHETTI in quanto

per effetto delle condotte e dei propositi sopra descritti a ricevere i titoli di
credito ed il fatto che egli li abbia potuti mettere direttamente all’incasso o che li
abbia ceduti a terzi per le più disparate ragioni non incide minimamente sulla
configurabilità del reato determinando la ricezione dei titoli l’instaurazione di un
credito alla riscossione della somma da essi portata e quindi un beneficio di
natura patrimoniale per il percettore con pari danno della persona offesa
emittente i titoli stessi.

2. Anche il secondo motivo di ricorso può considerarsi manifestamente infondato.
Il ricorrente cerca anche in questo caso di smentire la ritenuta attendibilità delle
dichiarazioni della persona offesa confutandole con il contenuto di altre
emergenze processuali.
Va detto subito che la Corte territoriale con adeguata motivazione ha ricostruito i
fatti ed ha affermato di ritenere le dichiarazioni della persona offesa “precise e
dettagliate” ulteriormente aggiungendo che “nulla induce a dubitare della loro
verità”. Trattasi di una valutazione di puro merito incensurabile questa sede.
Infatti, in punto di diritto si può solo osservare che questa Corte ha già
reiteratamente avuto modo di precisare che “in tema di prove, la valutazione
della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto
che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il
giudice sia incorso in manifeste contraddizioni” (Cass. Sez. 2, sent. n. 41505 del
24/09/2013, dep. 08/10/2013, Rv. 257241) situazione non emergente dal testo
della sentenza in esame.

3. Da ultimo, anche il terzo motivo di ricorso è da considerarsi manifestamente
infondato. Il fatto di avere mostrato alla persona offesa un’immagine fotografica
ritraente l’odierno ricorrente al di fuori delle modalità indicate dal codice di rito
penale per l’individuazione di persona non rappresenta di per sé una violazione
del reclamato diritto di difesa. Al più si potrebbe parlare di una mera irregolarità
dell’atto in ordine al quale, in generale, potrebbero nutrirsi dubbi sulla effettiva

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è comunque un dato accertato dai Giudici di merito che fu l’odierno ricorrente,

valenza probatoria. Tuttavia, nel caso di specie la questione è assolutamente
irrilevante atteso che, come ha avuto correttamente modo di precisare in
sentenza la Corte territoriale – che non ha fondato la propria decisione di
condanna su tale atto – “si è trattato di un atto di indagine superfluo dato che il
FERRETTI (rectius: FERRANTE) conosceva l’imputato”.
Che del resto non vi sia stato un errore di persona lo si desume dal fatto che,
indipendentemente dalle diverse asserite motivazioni dell’agire, lo stesso
ricorrente non ha messo in dubbio di essere effettivamente la persona accusata

Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di
Euro 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in R a il giorno 18 giu no 2014.

dei fatti per i quali è processo.

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