Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28200 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28200 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
METUSHI ELSON N. IL 02/05/1990
avverso la sentenza n. 4698/2013 GIP TRIBUNALE di RIMINI, del
15/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ‘..sL

p

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 11/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. emessa in data 15 aprile 2014 il Giudice per
le Indagini Preliminari del Tribunale di Rimini applicava nei confronti di METUSHI ELSON,
imputato del reato di cui all’art. 73 comma 1 e 1 bis del D.P.R. 309/90 come modificato dalla
L. 49/06 (detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina pari a gr. 405
circa) la pena concordata tra le parti di anni tre e mesi sei di reclusione ed C 12.000,00 di

1.2 Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato tramite il proprio difensore di
fiducia lamentando con un unico articolato motivo violazione della legge penale sotto il profilo
della illegalità della pena: lamenta in particolare la difesa che l’iniziale accordo tra l’imputato
ed il pubblico ministero prevedeva una pena finale di anni tre di reclusione ed C 12.000,00 di
multa, muovendo dalla pena base di anni sei di reclusione ed C 27.000,00 di multa. Il giudice
però in sede di udienza ex art. 447 cod. proc. pen. applicava al METUSHI la pena finale di anni
tre e mesi sei di reclusione ed C 12.000,00 di multa, muovendo da una pena base di anni otto
di reclusione ed C 27.000,00 di multa: tale pena, in quanto corrispondente – a detta del
difensore – alla pena base del reato di cui all’art. 73 comma

10 D.P.R. 309/90 prima della

riforma intervenuta con la L. 49/06, andava considerata illegale in quanto per un fatto
commesso nella vigenza della L. 49/06 era stata applicata una pena superiore ai limiti minimi
edittali previsti da detta legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato con le precisazioni che seguono. Dall’esame degli atti consultabili da
parte di questa Corte in considerazione del vizio processuale denunciato, risulta che il difensore
dell’imputato, munito di procura speciale, aveva formulato, con istanza del 14 novembre 2013
diretta al Giudice per le Indagini Preliminari, una richiesta di applicazione della pena di anni tre
di reclusione ed C 27.000,00 di multa secondo il seguente calcolo: pena base anni sei di
reclusione ed C 27.000,00 di multa, ridotta ex art. 62 bis cod. pen. ad anni quattro di
reclusione ed C 18.000,00 di multa, definitivamente diminuita nella misura finale sopra
precisata (anni tre di reclusione ed C 12.000,00) di multa. Risulta anche che tale istanza era
stata trasmessa lo stesso 14 novembre 2013 al Pubblico Ministero per il consenso.
1.1 Successivamente il Giudice, in data 9 dicembre 2013 fissava con decreto l’udienza ex
art. 447 cod. proc. pen. per la valutazione della istanza di patteggiamento: all’udienza del 15
aprile 2014 a ciò destinata, l’imputato personalmente riformulava la richiesta di applicazione
della pena muovendo dalla pena base di anni otto di reclusione ed C 27.000,00 di multa
pervenendo poi, previa riduzione per le circostanze attenuanti generiche alla pena finale di
anni tre e mesi sei di reclusione ed C 12.000,00 di multa.

1

multa.

1.2 Nella sentenza impugnata, alla pagina 2 il Giudice testualmente afferma:
“Tempestivamente e a mezzo di procuratore speciale l’imputato ha formulato istanza di
applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. in calce alla quale il pubblico ministero ha
espresso il proprio consenso con miglior precisazione del calcolo come da indicazione a verbale
di udienza”. Dall’esame del verbale di udienza risulta che dopo l’indicazione della pena
riformulata personalmente dall’imputato ed il relativo calcolo figura una richiesta da parte del
difensore dell’imputato volta ad ottenere la revoca della custodia cautelare e, di seguito, il

consenso espresso dal Pubblico Ministero, né risulta traccia alcuna della migliore precisazione
del calcolo della pena diversamente da come affermato in sentenza.
1.3 Non vi sono elementi per affermare in termini di certezza che il Giudice abbia deciso di
ritenere applicabile le vecchie disposizioni vigenti prima della riforma del 2006, esprimendo in
questo senso un giudizio di incongruità della pena: sicchè sotto tale specifico profilo, quanto
asserito dal difensore non appare condivisibile.
1.4 Tanto premesso va però ricordato che in tema di patteggiamento l’accordo tra il
Pubblico Ministero e l’imputato costituisce un negozio processuale ricettizio che, una volta
pervenuto a conoscenza dell’altra parte e dopo che sia stato prestato il consenso, diviene
irrevocabile e è non è più suscettibile di modifica unilaterale (tra le tante Sez. 4^ 11.7.2012
m-. 38070, P.G. in proc. Parascenzo, Rv. 254371; Sez. 3^ 4.6.2009 n. 39730, Bevilacqua, Rv.
244892 in cui si precisa che gli effetti irreversibili dell’accordo intervengono ancor prima della
ratifica dell’accordo da parte del giudice; Sez. 1^ 17.12.2008 n. 1066, P.M. in proc. Quintano,
Rv. 244139).
1.5 Nel caso in esame non è dato conoscere, nonostante la contraria affermazione del
difensore, di un consenso espresso dal Pubblico Ministero sulla originaria richiesta di
applicazione della pena di anni tre di reclusione ed € 12.000,00 di multa, il che porta alla
conclusione che in sede di udienza la richiesta di applicazione della pena avrebbe potuto essere
riformulata (come, in effetti, è avvenuto). Ma non è dato nemmeno rinvenire traccia del
consenso da parte del Pubblico Ministero sulla nuova richiesta in quanto il parere favorevole
figurante in calce al verbale di udienza si riferisce chiaramente alla richiesta di revoca della
misura cautelare, come del resto di evince dall’espressione letterale utilizzata (“parere
favorevole” e non “esprime il consenso”).
1.6 Né è dato rinvenire un provvedimento di rigetto da parte del Giudice in relazione ad
una ritenuta incongruità della pena rispetto all’accordo delle parti interessate in relazione alla
originaria istanza del 14 novembre 2013.
1.7 Ne segue, al di là delle affermazioni difensive secondo le quali sarebbe stato il giudice
a fissare una pena base corrispondente a quella prevista per fatti commessi nella vigenza del
D.P.R. 309/90 prima delle modifiche intervenute con la L. 49/06 (circostanza che, se
rispondente al vero, determinerebbe inevitabilmente l’illegalità della pena non essendo
possibile applicare dopo la reviviscenza delle originarie norme del D.P.R. 309/90 in
2

parere favorevole espresso dal Pubblico Ministero. Manca quindi qualsiasi riferimento al

conseguenza della sentenza n. 32/14 della Corte Costituzionale, una pena base per fatti
commessi sotto la vigenza del D.P.R. 309/90 come modificato dalla L. 49/06, di entità pari a
quella prevista per il D.P.R. 309/90 anteriormente vigente), che la richiesta di applicazione
della pena, come risulta riformulata nel verbale di udienza, in quanto mancante del consenso
del Pubblico Ministero, deve considerarsi

tamquam non esset.,

di fatto venendo meno l’accordo

inter partes.
1.7 La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio con trasmissione degli atti

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e ordina trasmettersi gli atti al Tribunale di
Rimini.
Così deciso in Roma 1’11 giugno 2015.

al Tribunale di Rimini.

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