Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28200 del 10/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28200 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto daCaramia Massimo, nato il 9 agosto 1975; Carbotta
Francesco, nato il 30 gennaio 1966; Carrieri Cataldo, nato il 31 marzo 1965;
Maiorella Enrico, nato il 20 dicembre 1959, avverso la sentenza della Corte di
appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, del giorno 8 maggio
2012.Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio;
udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Massimo Galli, che ha
chiesto dichiararsi il ricorso nell’interesse di Caramia Massimo inammissibile;
annullarsi invece con rinvio la sentenza impugnata con riguardo alle restanti
posizioni; uditol’avv. Elio Addante per Carbotta Francesco il quale ha chiesto
accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di
Taranto, decidendo sull’appello proposto, tra gli altri, dagli odierni ricorrenti,
ha dichiarato non doversi procedere per l’imputazione di cui al capo A,
essendo il reato associativo ivi contemplato estinto per intervenuta

Data Udienza: 10/06/2014

prescrizione; non doversi procedere per l’imputazione di ricettazione di cui al
capo B per la stessa ragione; ha pronunciato assoluzione per il reato di furto
descritto sempre nel medesimo capo B; ha riconosciuto il vincolo della
continuazione tra i residui reati contestati al Carbotta e quelli rispetto ai quali
tale soggetto ha riportato condanna irrevocabile (con sentenza del GUP del
Tribunale di Bari del 24 maggio 2005); e infine ha provveduto a ridurre la
pena per tutti gli odierni ricorrenti confermando nel resto la sentenza del

tribunale.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Carbotta Francesco si lamentano
violazione di legge e vizio di motivazione:
1. per non essere stata accolta dalla corte territoriale l’eccezione di
inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni telefoniche: numero
39, in data 19 novembre 1999; numero 58 in data 19 novembre 1999;
n. 448 in data 24 novembre 1999,benché tali intercettazioni siano
state realizzate per mezzo di impianti installati presso la sala
intercettazioni della questura di Matera secondo quanto disposto dalla
apposita autorizzazione rilasciata dal pubblico ministero, allegata al
ricorso. Si rileva come nelle autorizzazioni in parola il pubblico
ministero non abbia dato atto della effettiva indisponibilità delle
apparecchiature in dotazione alla procura della Repubblica limitandosi
semplicemente a stabilire che l’attività dovesse essere svolta presso i
locali adibiti nella questura di Matera, con ciò violando dagli artt. 271,
268 comma 3 cod. proc. pen. quali norme stabilite a pena di
inutilizzabilità. Si stigmatizza la motivazione resa sul punto dal
tribunale, il quale ha respinto l’eccezione ritenendola tardiva pur
essendo la stessa sollevabile in ogni stato e grado del giudizio; nonché
la motivazione svolta a riguardo nella sentenza impugnata, in cui si
legge che le intercettazioni sarebbero state effettuate presso la procura
della Repubblica;
2. per essere stato utilizzato, quale fonte di prova della penale
responsabilità dell’imputato quanto dichiarato dal coimputato Picca in
sede di interrogatorio in data 27 giugno 2002 innanzi alla polizia
giudiziaria, atto utilizzabile nel corso dell’esame dibattimentale dello
stesso Picca ai soli fini delle contestazioni e invece valutato in sentenza
quale fonte di prova con violazione dell’art. 500 comma 2 cod. proc.
pen. (per cui le dichiarazioni lette in contestazione possono essere

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valutate esclusivamente ai fini della credibilità del teste e non per
fondare la prova del fatto su dichiarazioni diverse da quelle
pronunciate dal teste in dibattimento); si precisa inoltre come le
dichiarazioni del Picca non possono ritenersi effettivamente riscontrate,
diversamente da quanto affermato in sentenza, atteso che gli elementi
di riscontro sarebbero integrati dalle stesse intercettazioni di cui si è
detto le quali dovrebbero essere ritenute inutilizzabili;
3. per aver utilizzato sempre fini della prova del fatto le dichiarazioni del

Picca nel citato interrogatorio del 27 giugno 2002 in quanto riferite dal
teste Santoro quali dichiarazioni da quest’ultimo raccolte in sede di
interrogatorio in fase di indagini preliminari;
4.

per errata qualificazione giuridica del fatto-reato quale riciclaggio
piuttosto che associazione per delinquere pur essendo stato contestato
in giudizio all’imputato di aver fornito carte di circolazione e di
assicurazione false (il che avrebbe potuto ben delineare il contributo
causale dato dall’imputato alla associazione per delinquere contestata
al capo A dell’imputazione mentre non potrebbe certamente integrare
l’ipotesi di riciclaggio residualmente contestata in sede di appello);

5. per violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. essendo la condotta da
ultimo descritta non sussumibile nell’ipotesi contestata al capo B
dell’imputazione (acquisto e/o ricezione di documenti di circolazione di
provenienza delittuosa, polizze di assicurazione e targhe di
immatricolazione false);
6.

per erronea applicazione della legge penale (artt. 125 comma 3 0
cod.nproc. pen. e 81 cod. pen.) in punto di disciplina della
continuazione; si contesta in particolare la correttezza della
individuazione della

pena

base con

riferimento al

reato

subiudiceanziché con riferimento al reato di cui alla sentenza divenuta
irrevocabile che in realtà sarebbe di pari gravità;
7. per erronea applicazione della legge penale in punto di disciplina della
continuazione ai sensi dell’art. 81 comma 2 0 cod. pen. in relazione
all’omessa riduzione obbligatoria ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
della pena inflitta con sentenza irrevocabile del GUP del Tribunale di
Bari del 24 giugno 2005, avendo la corte territoriale, nell’operare il
cumulo giuridico, omesso di applicare la riduzione obbligatoria stabilita
in caso di giudizio celebrato nelle forme dell’applicazione della pena su
richiesta;

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8.

per avere la corte di appello, in violazione degl’artt. 137 e 188 disp.
att. cod. proc. pen., inflitto una pena detentiva superiore al massimo di
5 anni stabilito dall’art. 444, comma 1, cod. proc. pen.;

9.

per mancanza di motivazione circa gli aumenti di pena aventi ad
oggetto la continuazione medesima.

Nella memoria depositata in data 20.5.2014, oltre a ribadire talune delle
esposte doglianze, si contesta:
1. violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. per

violazione del principio del ne bis in idem con riferimento alla
intervenuta condanna per la ricettazione contestata al capo B
dell’imputazione, che riferisce la stessa condotta anche alla figura del
riciclaggio, per la quale è pure intervenuta condanna in primo grado; e
per la condanna a tale ultimo titolo per una condotta già contestata nel
capo A a titolo di associazione per delinquere, per la quale è pure
intervenuta condanna in primo grado;
2. violazione di legge in relazione all’art. 648 bis c.p. essendo stati
contestati all’odierno imputato anche i reati presupposti di falso (ai
sensi dell’art. 477 e 482 cod. pen.);
3. violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche già concesse con sentenza del
Gup del Tribunale di Bari del 28.6.2005, irrevocabile, posta in
continuazione con il reato di riciclaggio per cui è processo; nonché in
punto di aumento della pena per la continuazione interna.

Il difensore di Caramia Massimo contesta violazione di legge e vizio di
motivazione circa la prova della penale responsabilità dell’imputato siccome
basata sulle dichiarazioni dei coimputati Picca e Maccari, prive dei necessari
riscontri esterni. Si rileva, inoltre, come non sia stata svolta una effettiva
verifica della intrinseca credibilità dei dichiaranti. Si conclude chiedendo che
sia rilevata la prescrizione del reato contestato.

Nel ricorso presentato nell’interesse diCarrieri Cataldo si svolgono
contestazioni similari, rimarcando anche come dalla ricostruzione dei fatti
emerga che l’imputato si sia reso responsabile di aver falsamente denunciato
il furto dei mezzi noleggiati cosicché si sarebbe già reso responsabile del reato
presupposto, e non avrebbe dovuto essere condannato per riciclaggio stante
la clausola di riserva dell’art. 648 bis cod. pen.

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Il difensore di Maiorella Enrico nei propri atti, e lo stesso imputato nel ricorso
presentato in proprio, dopo aver lamentato l’invalidità della notifica del
decreto di citazione per il giudizio di appello effettuata nei confronti del
Maiorella, e dopo aver esposto motivi similari in critica alla piattaforma
istruttoria costituita dalle dichiarazioni del coimputato Maccari lamentavizio di
motivazione in ordine al giudizio sulla penale responsabilità constatando come

confermare la sentenza del tribunale per mezzo di un acritico rinvio alle
motivazione svolta nella stessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo prospettato dalla difesa di Carbotta Francesco è fondato.
È infatti consolidata giurisprudenza di questa corte che sono inutilizzabili gli
esiti di intercettazioni qualora le conversazioni risultino registrate mediante
impianti diversi da quelli in dotazione dell’ufficio di Procura senza esser state
precedute da un provvedimento autorizzativo che contenga un apprezzamento
del pubblico ministero circa l’esistenza attuale ed effettiva delle condizioni di
oggettiva insufficienza o inidoneità degli impianti della stessa procura (di
recente, cfr. Cass. sez. I, 13.1.2010, n. 10399).
Deve anche segnalarsi che in diverse occasioni è stata dichiarata
l’inutilizzabilità di decreti del p.m. che avevano autorizzato l’uso degli impianti
esterni con espressioni quali: “qualora gli impianti in dotazione agli uffici della
Procura risultassero inidonei e/o insufficienti”; “nel caso di indisponibilità od
impossibilità presso la sala ascolto della Procura”; “nell’eventualità che presso
la sala di ascolto di questa Procura non vi fossero disponibilità di postazioni
e/o idonee apparecchiature”; “nel caso di indisponibilità di linee ed
apparecchiature”. Nel caso in esame, viceversa, i decreti del pubblico
ministero hanno disposto senz’altro che le operazioni fossero compiute per
mezzo degli impianti installati presso la questura di Matera, senza nemmeno
contemplare le riportate clausole di stile, che sarebbero state comunque
insufficienti a garantire l’inutilizzabilità delle intercettazioni medesime, atteso
che questa corte – in ragione del radicarsi di una simile prassi – era stata
indotta a precisare che l’obbligo di motivazione del decreto del pubblico
ministero che dispone l’utilizzazione di impianti diversi da quelli in dotazione
all’ufficio di procura non è assolto col semplice riferimento alla «insufficienza o
inidoneità» degli impianti stessi (che ripete il conclusivo giudizio racchiuso
nella formula di legge), ma richiede la specificazione delle ragioni di tale

la sentenza di appello, senza rispondere ai motivi di gravame, si sia limitata a

carenza che in concreto depongono per la ritenuta «insufficienza o
inidoneità». Pertanto, l’adempimento dell’obbligo di motivazione implica, per
il caso di inidoneità funzionale degli impianti della procura, che sia data
contezza, seppure senza particolari locuzioni o approfondimenti, delle ragioni
che li rendono concretamente inadeguati al raggiungimento dello scopo, in
relazione al reato per cui si procede ed al tipo di indagini necessarie (Cass.
sez. un. 12.7.2007, n. 30347).

contenuti di tali inutilizzabili intercettazioni telefoniche, in quanto le
dichiarazioni del coimputato Picca (rilevanti per la prova del fatto soltanto in
quanto rese in sede dibattimentale) sono definite come riscontrate proprio da
tali inutilizzabili intercettazioni, che invece non possono assolvere nemmeno a
questa più ridotta funzione.Spetterà alla corte territoriale di svolgere nuovo
esame relativamente alle fonti di prova disponibili in atti, e segnatamente alle
dichiarazioni del Picca, da valutarsi a norma di legge nella loro intrinseca
credibilità ed esteriore riscontrabilità, onde verificare la posizione
dell’imputato.
Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo non sono consentiti, perché non
proposti in appello (e invece proposte per la prima volta in questa sede in
contrasto con il disposto dell’art. 606 3 0 comma cod. proc. pen.) e privi del
carattere di specificità là dove si fa riferimento ad atti non allegati al ricorso.
Invece gli altri motivi che attengono al trattamento sanzionatorio sono
assorbiti.

Il ricorso presentato nell’interesse di Caramia Massimo è inammissibile in
prospettazione, risolvendosi in una mera critica fattuale delle decisioni del
tribunale e della corte di appello circa la base probatoria, costituita dalle
dichiarazioni dei coimputati Picca e Maccari, riscontrantesi a vicenda, sul ruolo
svolto dall’imputato di taroccamento delle autovetture rubate. Logicamente la
corte territoriale ha valorizzato l’emersione istruttoria per cui le telefonate
provenienti dal Picca – che aveva indicato in un tale Massimo di Crispiano la
persona del taroccatore di automobili, erano effettuate su una utenza in uso
della moglie del Caramia, e che anche il Maccari abbia parlato di un soggetto
che effettuava per conto dell’organizzazione le descritte operazioni di
taroccamento sulle auto sottratte, il quale soggetto abitava a Crispiano, come
appunto l’odierno imputato, e frequentava persone che – come emerso nel
processo – erano frequentate dallo stesso imputato.

La penale responsabilità dell’imputato è stata argomentata sulla scorta dei

Da ultimo il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le norme
sulla prescrizione del reato, dal momento che – secondo la giurisprudenza
delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per
cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti
prescritti dall’articolo 581 cod. proc. pen., ovvero alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non

n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903; Cass. Sez. Un., sent. n. 32
del 22.11. 2000 dep. 21.12.2000 rv 217266).

Inammissibile è anche il ricorso presentato nell’interesse di Carrieri Cataldo,
avendoPicca e Maccari, riscontrandosi a vicenda, ricostruito il ruolo dello
stesso come di colui che si dedicava alla fornitura di targhe false partecipando
anche a trasferte in Bulgaria finalizzate al trasporto delle autovetture oggetto
di reato. Correttamente la corte territoriale ha valorizzato, a riscontro, la
documentazione in atti sugli spostamenti delle autovetture medesime e sugli
elementi identificativi di taluna di esse rinvenuti in una agenda sequestrata al
Maccari. Deve solo aggiungersi che la violazione di legge sollevata in questa
sede con riguardo all’art. 648 bis cod. pen. – comunque infondata essendo
emerso il ruolo di partecipazione dell’imputato nell’attività di riciclaggio,
perlomeno nella veste di artista delle autovetture trasportate all’estero – non è
stata prospettata in appello; essa deve pertanto ritenersi preclusa ai sensi
dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.

Egualmente inammissibili sono i ricorsi presentati dal difensore di Maiorella
Enrico ed a quest’ultimo in proprio. Quanto alla tecnica della motivazione con
rinvio a quanto esposto nella sentenza del tribunale deve osservarsi come sia
consolidato orientamento di questa Corte che la motivazione per relationem
sia legittima «quando: 1) – faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a
un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto
all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto
sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate
e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) – l’atto di riferimento, quando non
venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto
dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda

punibilità a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen. (cfr.: Cass. Sez. Un., sent.

attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di
gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o
dell’impugnazione». (Cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. Sentenza n. 17 del
21.6.2000 dep. 21.09.2000 Rv. 216664). Nel caso di specie la Corte
territoriale, nel confermare la decisione impugnata, ne ha rammentato, con
sintetica ma argomentata condivisione, le motivazioni salienti: ricordando
come il Maccari riconobbe l’imputato in fotografia come colui che si

targhe e documenti falsi. Logicamente la corte di appello ha valorizzato quale
elemento di riscontro delle dichiarazioni il fattoche lo stesso Maccari avesse
indicato come ricovero dei veicoli in questione alcuni box che erano stati
sequestrati nei confronti del fratello del Maiorella.

La sentenza impugnata va conseguentemente annullatanei confronti di
Carbotta Francesco con rinvio alla Corte di appello di Lecce. Invece, devono
dichiararsi inammissibili i riscorsi di Caramia Massimo, Carrieri Cataldoe
Maiorella Enrico, i quali devono anche condanna al pagamento delle spese
processuali e al versamento ciascuno in favore della Cassa delle ammende, di
una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Carbotta Francesco con rinvio
alla Corte di appello di Lecce. Dichiara inammissibili i riscorsi di Caramia
Massimo, Carrieri Cataldoe Maiorella Enrico, che condanna al pagamento delle
spese processuali e al versamento ciascuno della somma di euro 1000 alla
Cassa delle ammende.
Roma, 10.6.2014

approvvigionava dei veicoli provento di reati, rivendendoli al Picca muniti di

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