Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2820 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2820 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
nei confronti di:
DE IORIO UMBERTO N. IL 18/09/1951
MESCIA ANTONIO N. IL 09/03/1984
avverso la sentenza n. 7638/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 26/11/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giovanni D’Angelo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
per l’imputato De brio è presente l’avv. Carlo Malinconico, il quale si associa alle
conclusioni del P.G..

1. De brio Umberto e Mescia Antonio erano condannati con sentenza del 18
marzo 2011 dal G.U.P. del Tribunale di Napoli, per il delitto di tentato omicidio in
danno di Corradini Francesco, il primo ferendolo ripetutamente con un pugnale la
cui lama è lunga circa 17 cm ed il secondo colpendolo ripetutamente con una
cintura ed ostacolando il tentativo della vittima di sottrarsi ai colpi di coltello; la
Corte d’appello di Napoli riformava parzialmente la decisione, riqualificava il
reato in quello di lesioni aggravate e riconosceva ad entrambi le circostanze
attenuanti generiche ed al solo De brio quella del risarcimento del danno,
condannando gli imputati alla pena di giustizia.
2. La vicenda, ricostruita grazie alle riprese di una videocamera di sorveglianza
ed alle dichiarazioni della persona offesa, degli imputati (i quali hanno
sostanzialmente confessato) e dei testi presenti, ha origine i un contrasto
ideologico tra gli aggressori, i quali partecipavano al corteo del primo maggio, e
la vittima, che si stava recando a prendere un treno per Verona, al fine di vedere
la partita di calcio Chievo-Napoli.
La sentenza di appello, procedendo alla minuziosa descrizione di quanto
accaduto ed alla luce della consulenza tecnica sulle lesioni riportate dal Corradini,
ha riqualificato il delitto in quello meno grave, escludendo nel caso di specie il
dolo omicidiario, in considerazione della scarsa gravità delle lesioni inferte e delle
modalità del fatto.
2. Contro la sentenza propone ricorso il Procuratore generale presso la Corte
d’appello di Napoli, deducendo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione, poiché la Corte territoriale non avrebbe tenuto in debito conto
la resistenza della vittima, della quale invece è menzione nella consulenza
medico legale, nonché del fatto che De brio si allontanò per armarsi di un
coltello e fu atteso dagli altri complici. A giudizio del ricorrente la motivazione
della decisione impugnata è manifestamente illogica, laddove non verifica la

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RITENUTO IN FATTO

sussistenza del dolo alternativo, pur riconoscendo agli atti posti in essere
l’idoneità a cagionare la morte della vittima, alla luce della brutalità
dell’aggressione, del tipo di arma usato, della reiterazione dei colpi e delle zone
attinte dal pugnale.
3. Con memoria del 31 ottobre 2013, il difensore di Mescia Antonio eccepisce

una diversa valutazione di elementi di fatto, operazione non consentita nel
giudizio di legittimità.
Con riferimento alla doglianza riguardante l’incompleta analisi dei fatti,
l’inammissibilità risulterebbe evidente dallo stesso tenore del ricorso; quanto poi
alla richiesta di valutare l’ipotesi del dolo alternativo, il difensore denuncia una
concezione soggettiva del diritto penale, incompatibile con i principi costituzionali
ed espressamente smentita dalla decisione impugnata, che esclude l’esistenza
dell’animus necandi sulla base delle risultanze oggettive della condotta tenuta
dagli imputati nell’esecuzione del reato, in linea con la giurisprudenza di
legittimità, secondo la quale la prova va desunta, in assenza di altri elementi
specifici, dalle modalità di realizzazione del fatto.
Quanto alla consulenza medico-legale, si contesta la carenza motivazionale,
poiché la Corte territoriale recepisce proprio le conclusioni del consulente.
infine, con riferimento al dolo alternativo, la difesa esclude il vizio logico, poiché
la motivazione, in modo esaustivo e coerente, esclude la possibile sussistenza
del dolo omicidiario, in qualsiasi forma lo si voglia intendere.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Prima di esaminare le censure proposte dal Procuratore generale di Napoli, è
necessario ricordare i limiti del controllo demandato alla Corte di cassazione sulla
motivazione della sentenza.
1.1 Ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), il
controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei
fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che
il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:
1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno

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l’inammissibilità del ricorso, poiché a suo giudizio il Procuratore generale sollecita

determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Sul punto va ancora precisato che l’illogicità della motivazione, censurabile a
norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), può essere solo quella
“evidente”, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocuii, in quanto

circoscritto. Infatti il sindacato demandato alla Corte di Cassazione, si limita al
riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
1.2 Deve inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta illogicità” della
motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che
il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve
essere logica “rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella
stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si
presta a censura soltanto se manifestamente contrastante e incompatibile con i
principi della logica.
1.3 I termini della questione non paiono mutati neppure a seguito della nuova
formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), intervenuta a
seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, laddove si prevede che il sindacato del
giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia “effettiva” e
non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che
il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia
“manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della
logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile”
con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o
radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Alla Corte di Cassazione, non è quindi consentito di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una
ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del

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l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte

merito. Parimenti non è consentito che, attraverso il richiamo agli “atti del
processo”, possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via
esclusiva al giudice del merito.
In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di

fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del
merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa; un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte
nell’ennesimo giudice del fatto.
1.3 Fatta questa premessa, deve osservarsi che il ricorso del Procuratore
generale di Napoli è inammissibile poiché, denunciando all’apparenza un vizio di
motivazione, si cerca in realtà di avvalorare una diversa ricostruzione dei fatti,
ponendo l’accento su aspetti della vicenda che si assumono sottovalutati dal
giudice di appello.
Nell’indagine sul dolo omicidiario, il ricorrente pone l’accento su alcuni elementi
in realtà già presi in considerazione dalla Corte territoriale, che con analitica
descrizione ha ripercorso tutta la vicenda, facendone una cronistoria quasi
minuto per minuto (pagine 4-5 della sentenza).
Il ricorrente trascura di considerare che l’esclusione della volontà di uccidere non
si fonda solamente sulla intensità dei colpi – come ricostruita dalla consulenza e, dunque, sui danni riportati e sui rischi occorsi alla vittima, ma soprattutto sulla
ricostruzione della dinamica dell’aggressione, con particolare riferimento alla fase
conclusiva: la Corte territoriale rileva infatti che proprio nel momento in cui la
vittima non è stata più in grado di opporre alcuna difesa, perché accerchiata dal
gruppo avverso e colpita da più parti, gli imputati cessarono di colpirla e si
allontanarono.
Una simile dinamica dei fatti, che esclude il dolo eventuale, è a maggior ragione
incompatibile con il dolo alternativo, poiché il primo implica la consapevolezza
che l’evento, non direttamente voluto, ha probabilità di verificarsi in
conseguenza della propria azione, nonché accettazione di tale rischio, ma il
secondo richiede che l’agente ritenga altamente probabile o certo l’evento, non
limitandosi a prevederne e ad accettarne il rischio, ma prevedendo ed accettando

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controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a

l’evento stesso e quindi, pur non perseguendolo come suo scopo finale,
volendolo alternativamente con un’intensità evidentemente maggiore (Sez. 1, n.
267 del 14/12/2011 – dep. 11/01/2012, Maraviglia, Rv. 252046; Sez. U, n. 3428
del 06/12/1991 – dep. 25/03/1992, Casu, Rv. 189405).
2. Per le considerazioni svolte deve escludersi che la sentenza impugnata sia

giudizio di legittimità, mentre il ricorso risulta inammissibile e tale va dichiarato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso del P.G.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013
Il consigliere estensore

Presid te

affetta dai vizi denunciati, sicché la stessa supera il vaglio conducibile nel

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