Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28199 del 06/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28199 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 06/06/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto rispettivamente nell’interesse di GARONFOLO
Pietro, n. a Campo Calabro (CS) il 12.10.1964 e di SGAMBELLONE
Pina, n. a Locri (RC) il 05.01.1975, entrambi rappresentati e assistiti
dall’avv. Marco Alessandro Morabito, avverso la sentenza emessa
dalla Corte d’Appello di Milano, quarta sezione penale, n. 2861/2013,
in data 04.10.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
udita la discussione del Sostituto procuratore generale dott. Giuseppe
Volpe che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi nonché
della difesa, avv. Morabito, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

Con sentenza emessa in data 19.02.2013, ii Tribunale di Milano,
sezione distaccata di Legnano, all’esito del giudizio ordinario,
dichiarava Garonfolo Pietro e Sgambellone Pina responsabili dei reati
di cui agli artt. 81 cpv., 640, comma 2 n. 1 prima parte cod. pen.,
477, 482, 61 n. 2 cod. pen. e, ritenuto il vincolo della continuazione e
concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di
equivalenza alle contestate circostanze aggravanti, li condannava alle
seguenti pene:

1.

– il Garonfolo, a mesi sette di reclusione ed euro 90,00 di multa;
– la Sgambellone, a mesi dieci di reclusione ed euro 120,00 di multa.
All’esito del dibattimento era emerso come l’indagine nei confronti di
Garonfolo Pietro e di Sgambellone Pina fosse scaturita su impulso dei
funzionari Inps di Castano Primo, i quali avevano rilevato delle
incongruenze di alcuni certificati medici emessi dalla dottoressa
Puricelli Gabriella relativa ai periodi di malattia fruiti nel corso del
2005 dai due imputati, airepoca dipendenti della Cooperativa
Dimensione Lavoro di Parabiago. La dottoressa Puricelli, medico di
famiglia dei coniugi Garonfolo e Sgambellone, confermava che i
certificati di malattia dalla stessa emessi erano stati falsificati nella
parte recante la chiusura della malattia. In particolare, la stessa
faceva notare che:
– in relazione al certificato di malattia n. 2024028292 emesso il 29
luglio 2005 in favore di Garonfolo Pietro, la data di chiusura della
malattia era stata alterata e in luogo della data del 10 agosto 2005
era stata apposta la data 18 agosto 2005;
– in relazione al certificato di malattia n. 2024028291 emesso il 29
luglio 2005, in favore di Sgambellone Pina la data di chiusura della
malattia era stata alterata e in luogo della data del 12 agosto 2005
era stata apposta la data 22 agosto 2005;
-in relazione al certificato di malattia n. 2024028292 emesso il 3
ottobre 2005 in favore di Sgambelione Pina, la data di chiusura della
malattia era stata alterata e in luogo della data del 4 ottobre 2005
era stata apposta la data 31 ottobre 2005;
-in relazione al certificato di malattia n. 1918813231 emesso il 2
novembre 2005 in favore di Sgambellone Pina, la data di chiusura
della malattia era stata alterata e in luogo della data dell’8 novembre
2005 era stata apposta la data del 28 novembre 2005;

2

- in relazione al certificato di malattia n. 2024669497 emesso il 2
dicembre 2005 in favore di Sgambellone Pina, la data di chiusura
della malattia era stata alterata e in luogo della data del 6 dicembre
2005 era stata apposta la data 30 dicembre 2005.
Garonfolo Pietro, sia nel corso dell’interrogatorio del 5 settembre
2008 che in sede di spontanee dichiarazioni rese nel corso
dell’udienza del 19 settembre 2012, aveva ammesso di aver

proceduto all’alterazione dei sopracitati certificati medici, ma
escludeva che la moglie Sgambellone Pina fosse consapevole di detta
alterazione, avuto anche riguardo alle sue condizioni di salute al
momento dei fatti e, in modo particolare, all’encefalite a seguito di
varicella che aveva comportato un lungo ricovero della stessa presso
l’ospedale di Cuggiono nel corso del 2004.
2. Avverso detta pronuncia veniva proposta impugnazione; con
sentenza in data 04.10.2013, la Corte d’Appello di Milano, rigettando
i gravami, confermava la sentenza di primo grado.
3. Avverso la sentenza d’appello, Garonfolo Pietro e Sgambellone Pina,
assistiti da difensore, proponevano ricorso per cassazione,
lamentando:
-erronea applicazione della legge penale: mancata derubricazione del
reato di truffa in quello previsto e punito dall’art. 316-ter cod. pen.
(primo motivo);
-erronea applicazione della legge penale: violazione degli artt. 640,
comma 2 n. 1, 477-482 cod. pen. e concorso apparente di norme
(secondo motivo);
– inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di
inutilizzabilità: violazione dell’art. 192, comma 3 cod. pen. (terzo
motivo);
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale: art. 157
cod. pen. (quarto motivo).
In relazione al primo motivo, evidenziano i ricorrenti come il reato in
contestazione doveva essere derubricato in quello di indebita
percezione di erogazioni ai danni dello Stato ed essendo la somma
indebitamente percepita inferiore ad euro 3.999,96, si doveva
applicare soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una
somma di denaro da euro 5.164,00 che non poteva essere
quantificata superando il triplo del beneficio conseguito.

3

In relazione al secondo motivo, evidenziano i ricorrenti come nella
fattispecie si fosse in presenza dei presupposti del concorso o
conflitto apparente di norme essendo il reato di falsità materiale
assorbito in quello di truffa.
In relazione al terzo motivo, si evidenzia come le affermazioni
autoaccusatorie formulate dal Garonfolo dovevano essere valutate
unitamente agli altri elementi di prova che ne confermavano

l’attendibilità; al riguardo, occorreva prendere in considerazione la
coerenza interna e la convergenza esterna, non essendo necessari i
riscontri oggettivi positivi ed essendo invece sufficiente l’assenza di
riscontri negativi contrastanti con l’assunto: nessun riscontro
negativo o contrasto era emerso nel giudizio di merito, essendo
invece emerso come la Sgambellone, proprio nel periodo in
contestazione, si trovava in uno stato di incapacità data da una
malattia invalidante che l’aveva acclarata portatrice di handicap al
94%.
In relazione al quarto motivo, si evidenzia come i reati in parola,
considerando le cause di sospensione maturate, risultavano prossimi
alla prescrizione (quelli a carico del Garonfolo nel luglio del 2014 e
quelli a carico della Sgambellone nel novembre del 2014): la pretesa
punitiva doveva quindi venir meno atteso il venir meno delle esigenze
repressive e di prevenzione generale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

Il ricorso, con riferimento a tutti i profili di doglianza proposti, è
manifestamente infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.

5. Prima di passare alla trattazione dei motivi di ricorso proposti, si ritiene
necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del
2006, che, a parere di questo Collegio, la predetta novella non ha
comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare
un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici
di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso

4

per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di
queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere
dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento
della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le
prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in
volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da

parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato
le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso,
conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass., Sez.
un., n. 24 del 24/11/1999-dep. 16/12/1999, Spina, rv. 214794; Id., n.
12 del 31/05/2000-dep. 23/06/2000, Jakani, rv. 216260; Id., n. 47289
del 24/09/2003-dep. 10/12/2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo,
deve tuttora escludersi sia la possibilità di un’analisi orientata ad
esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi
di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai
diversi atti ed ai motivi ad essi relativi (Cass., Sez. 6, n. 14624 del
20/03/2006-dep. 27/04/2006, Vecchio, rv. 233621; Cass., Sez. 2, n.
18163 del 22/04/2008-dep. 06/05/2008, Ferdico, rv. 239789), che la
possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass.,
Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006-dep. 01/08/2006, Lobriglio, rv.
234559; Id., n. 25255 del 14/02/2012-dep. 26/06/2012, Minervini, rv.
253099).
Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una

5

prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass., Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006-dep.
14/06/2006, Salaj, rv. 234115; Cass., Sez. 6, n. 45036 del
02/12/2010-dep. 22/12/2010, Damiano, rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la

doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
probatorio

invocato,

nonché

esistenza

dell’effettiva

dell’atto

processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 cod. proc.
pen., il compito di accertare (Cass., Sez. 6, n. 35964 del 28/09/2006dep. 26/10/2006, Foschini ed altro, rv. 234622; Cass., Sez. 3, n.
39729 del 18/06/2009-dep. 12/10/2009, Belluccia ed altro, rv.
244623; Cass., Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007-dep. 23/10/2007,
Casavola ed altri, rv. 238215):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati,

ove non risulti detto

requisito);
(d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.
«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà

6

storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ocull ed assuma
anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico quindi,
anche contraddittorio).
Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono

essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass., Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002-dep.
14/01/2003, Delvai, rv. 223061).
In presenza di una doppia conformej affermazione di responsabilità, va,
peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre
che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non
contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo
della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata,
non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed
ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle
sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass.,
Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993-dep. 04/02/1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; Cass., Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011-dep. 12/04/2012,
Valerio, rv. 252615).
Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione «oltre
ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art. 533
cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno

7

evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in
proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato ne

comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2 cod. proc. pen., sicché non si è in presenza di un diverso e
più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello
precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il
principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento
costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass., Sez.
un., n. 30328 del 10/07/2002-dep. 11/09/2002, Franzese, rv. 222139
– e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 cod.
proc. pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia
la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr.
Cass., Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006-dep. 07/06/2006, Serino ed
altro, rv. 233785; Id., n. 16357 del 02/04/2008-dep. 18/04/2008,
Crisiglione, rv. 239795; Id., n. 7035 del 09/11/2012-dep. 13/02/2013,
De Bartolomei ed altro, rv. 254025).
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come lo sviluppo
argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, da
integrarsi con quella di primo grado, risulti fondato su una coerente
analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un
organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi
del requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente
la responsabilità dei ricorrenti in ordine ai reati loro contestati.
La motivazione della sentenza impugnata supera quindi il vaglio di
legittimità demandato a questa Corte, alla quale non è tuttora
consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari
finalizzata, nella prospettiva dei ricorrenti, ad una ricostruzione dei
medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.
Di contro, le censure genericamente proposte si profilano inammissibili
posto che, con le stesse, si muovono non già precise contestazioni di

8

illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito, non
condividendosi dai ricorrenti le conclusioni attinte ed anzi proponendosi
versioni più persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata.
Su queste premesse va esaminato il proposto ricorso.
6. Con riferimento al primo motivo, occorre doverosamente premettere
come, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass.,
Sez. 2, n. 46064 del 19/10/2012-dep. 27/1/2012, Santannera, rv.

254354), il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello
Stato o di enti pubblici si distingue da quello di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche, perché la condotta non ha
natura fraudolenta, in quanto la presentazione delle dichiarazioni o
documenti attestanti cose non vere costituisce «fatto»
strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, e per l’assenza della
induzione in errore (cfr., Corte cost. n. 95 del 2004).
La medesima giurisprudenza (Cass., Sez. 2, n. 8613 del 12/02/2009dep. 25/02/2009, Accardo e altri, rv. 243313) ha statuito che la
fattispecie criminosa di cui all’art. 316-ter cod. pen., che sanziona
l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, costituisce
norma sussidiaria rispetto al reato di truffa aggravata, sicchè la
semplice presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti
cose non vere non integra necessariamente il primo delitto ma, quando
ha natura fraudolenta, può configurare gli “artifici o raggiri” descritti
nel paradigma della truffa e, unitamente al requisito della “induzione in
errore”, può comportare la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 640
o 640-bis cod. pen..
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come nella fattispecie corretta
sia stata la qualificazione giuridica del fatto dal momento che gli
imputati non hanno ottenuto o tentato di ottenere indebitamente
contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello
stesso tipo, comunque denominati, come è richiesto dall’art. 316-ter
cod. pen., bensì si sono procurati con gli artifizi e raggiri, specificati nei
capi d’imputazione sub 1) e sub 3), inducendo in errore i funzionari
Inps di Castano Primo, l’ingiusto profitto di ottenere – presentando
all’INPS certificati medici alterati nella data di fine malattia e successivi

certificati rilasciati in continuazione di malattia (il Garonfolo per giorni
26 e la Sgambellone per complessivi giorni 122) – indennità di malattia
non dovute: fatto che integra sicuramente il delitto di truffa aggravato

9

contestato. Sussiste inoltre l’aggravante dell’aver commesso il fatto in
danno di ente pubblico.
7. Pari manifesta infondatezza involge il secondo motivo di ricorso.
Anche sul punto la univoca giurisprudenza di questa Suprema Corte
(cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, n. 45965 del 10/10/2013-dep.
15/11/2013, Muratore, rv. 257946) riconosce la configurabilità del
concorso materiale e non dell’assorbimento tra il reato di falso in atto

pubblico e quello di truffa quando la falsificazione costituisca artificio
per commettere la truffa; in tal caso, infatti, non ricorre l’ipotesi del
reato complesso per la cui configurabilità è necessario che sia la legge
a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza
aggravante di un altro e non quando siano le particolari modalità di
realizzazione in concreto del fatto tipico a determinare una occasionale
convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati.
8. Conclusioni non dissimili vanno assunte in relazione al terzo motivo di
doglianza alla luce della motivazione esauriente, logica, non
contraddittoria, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede
operata dalla Corte territoriale sulla questione proposta.
Sul presupposto che in ordine alla riconducibilità dei falsi alla
Sgambellone non vi può essere dubbio, essendo l’imputata la diretta
interessata alla falsificazione dei certificati (falsificazione che era
finalizzata ad un allungamento della malattia della donna e
all’ottenimento di indebite somme di denaro da parte dell’Inps),
riconosce la Corte come “la circostanza che il Garonfolo abbia
dichiarato di aver posto essere lui tutte le falsificazioni in contestazione
non è sufficiente per escludere la responsabilità della Sgambellone,
trattandosi di un eventuale concorso del marito con l’imputata nella
contestata alterazione dei documenti in questione”; inoltre – prosegue
la Corte -” il fatto che al Garonfolo non sia stato contestato il concorso
nei reati ascritti alla Sgambellone non esclude comunque la penale
responsabilità della donna per le condotte di truffa e di falso a lei
contestate”.
9. Altrettanta manifesta infondatezza assiste il quarto motivo di ricorso
con il quale si pretende una declaratoria di prescrizione dei reati, pur
convenendosi che la stessa non è ancora maturata, sebbene sia
prossima. Appare evidente l’impossibilità di una pronuncia (si potrebbe
dire, in prevenzione) di tal genere che si porrebbe ai margini del

10

principio di legalità e che non richiede ulteriori motivazioni per
sconfessarne un qualsivoglia fondamento.
10. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen.,
la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché
al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla
Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 6.6.2014

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea Pellegrino

p

Il Presidente
Dott. Ciro P

i

equitativamente in euro 1.000,00 per ciascuno

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