Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28198 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28198 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MUSTO ARMANDO N. IL 03/11/1978
avverso la sentenza n. 15/2013 TRIBUNALE di NAPOLI, del
24/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lette2S-entife-le conclusion del PG Dott.
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Data Udienza: 29/05/2014

Ritenuto in fatto

Musto Armando, imputato in ordine al reato p.e p.
dall’art.73 comma quinto d.PR. 309/90, ricorre per
cassazione contro la sentenza di applicazione concordata
della pena in epigrafe indicata, con la quale veniva
determinata la pena di anni uno,mesi quattro di reclusione

una pianta di marijuana e di detenzione illecita di fogliame
della medesima droga, deducendo violazione di legge e
difetto di motivazione della medesima in ordine
all’insussistenza di una delle “cause di non punibilità” di
cui all’articolo 129 c.p.p..
Considerato in diritto

Il ricorso sarebbe inammissibile,

ex articolo 606, comma 3,

c.p.p., perché proposto per motivi manifestamente infondati.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr.

ex

plurimis Cass. S.U. 27 settembre 1995, Serafino), l’obbligo
della motivazione della sentenza di applicazione concordata
della pena va conformato alla particolare natura della
medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia
atto, ancorché succintamente, ovvero implicitamente, come
nella fattispecie di cui è processo, di aver proceduto alla
delibazione degli elementi positivi richiesti (la

ed euro 4.500,00 di multa per il delitto di coltivazione di

sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta
qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di
eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la
congruità della pena, la concedibilità della sospensione
condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia
ad essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba
essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma
dell’articolo 129 c.p.p.).

P1

3
In particolare, il giudizio negativo in ordine alla
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’articolo 129
c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione
soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle
parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece,
ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione

compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non
ricorrono le condizioni per una pronuncia di proscioglimento
ai sensi della disposizione citata.
Nel procedimento speciale di applicazione della pena su
richiesta delle parti, il giudice decide, invero, sulla base
degli atti assunti ed è tenuto, pertanto, a valutare se
sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se
le stesse preesistano alla richiesta e siano desumibili
dagli atti medesimi.
Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e
ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla
mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p., senza
precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione
avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio.
Nella fattispecie che ci occupa il giudice non si è affatto
sottratto

all’obbligo

motivazionale,

avendo

fatto

riferimento, pur con la sinteticità tipica del

consistente nell’enunciazione, anche implicita, che è stata

provvedimento, agli atti acquisiti, di cui aveva preso
completa cognizione, tanto da motivare in modo esauriente il
ricorrere dell’ipotesi di cui al comma quinto dell’art.73
d.PR.309/90.
Ciò rilevato il Collegio non può non tener conto che la
disposizione di cui al D.L. n.146 de123.12.2013 (conv. In L.
n. 10 del 21.02.2014) e la recentissima disposizione di cui
al D.L. 20.03.2014 n.36 (conv. in L. del 16.05.2014
n.79),nel qualificare il V comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90

t

quale figura autonoma di reato, hanno rideterminato la pena
edittale, la prima, da uno a cinque annidi reclusione ed e
3.000,00 a 26.000,00 di multa, la seconda da sei mesi a
quattro anni di reclusione0.4 00-, AAA)Jk 41

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Inoltre la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
2014, depositata il 25.02.2014, ha dichiarato la
illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis della L.

nella formulazione di cui alla predetta legge c.d. “FiniGiovanardi”, determinando, come dalla Corte Costituzionale
espressamente affermato, l’applicazione dell’art. 73 del
predetto d.P.R. 309/90 e relative tabelle nella
formulazione originaria (Legge c.d. “Iervolino-Vassalli”).
La Corte Costituzionale ha definito i limiti oggettivi del
proprio intervento in relazione al D.L. 146/2013,
precisando che “trattandosi di

ius superveniens

che

riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo lo
stesso non poteva esplicare alcuna incidenza sulle
questioni oggetto del giudizio della Corte relative a
disposizioni diverse da quelle oggetto di modifica
normativa e che gli effetti del presente giudizio di
legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la
modifica disposta con il decreto legge n. 146 del
2013,

, in quanto stabilita con disposizione successiva

a quella censurata e indipendente da quest’ultima”: Ha poi
affermato che “rientra nei compiti del giudice comune

21.02.2006 n. 49, cioè del testo dell’art. 73 d.P.R. 309/90

individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non
siano più applicabili perchè divenute prive del loro
oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e
quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in
quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4 bis e 4
vicies ter, oggetto della presente decisione”.
Ritiene, però,i1 Collegio che la suddetta sentenza, avendo
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4 bis
e 4 vicies ter della L. 49/2006, abbia travolto l’intero

(91

art. 73 d.P.R. 309/1990, facendo rivivere, almeno per i
reati commessi prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 146
del 2013 anche il precedente testo del comma V con la
ripartizione del trattamento sanzionatorio previsto tra
droghe leggere e droghe pesanti, più favorevole al reo per
quel che concerne le droghe leggere, che prevede una pena
detentiva da sei mesi a quattro anni di reclusione.

del ricorso, occorre domandarsi se possa, ciò non di meno,
risultando alla fattispecie applicabile una pena edittale
più mite, ritenere l’illegalità dei parametri edittali
utilizzati

per

il

patteggiamento

e,

in

sostanza,

l’illegalità della pena applicata.
Tanto premesso si osserva che la sentenza delle sezioni
unite di questa Corte n.23428/2005, Bracale, ha ritenuto
che,in presenza di impugnazione inammissibile, vi sia
un’unica ipotesi di cognizione possibile: quella
dell’intervenuta “abolitio criminis” o della declaratoria
di incostituzionalità della norma incriminatrice.
Pertanto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio in
quanto le argomentazioni di cui sopra, che incidono sulla
pena concordata, determinano la caducazione del patto e gli
atti devono essere trasmessi al Tribunale di Napoli-nord
per il corso ulteriore.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone
trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli- nord per il
corso ulteriore.
Così deciso nella camera di consiglio del 29.05.2014

Orbene, tornando al caso di specie,stante l’inammissibilità

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