Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28197 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28197 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PILIA DAVIDE N. IL 02/12/1983
avverso la sentenza n. 315/2013 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
17/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
a—a—v—C Q—a-2
Udito il Procuratore Generale in pers na del Dott.
che ha concluso per
O

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 11/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 aprile 2012 la Corte di Appello di Cagliari, in parziale riforma della
sentenza del 27 maggio 2010 emessa dal Giudice per l’udienza Preliminare del Tribunale di
quella città nei confronti di Davide PILIA, imputato del reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. c)
del Codice della Strada, qualificava la condotta in quella prevista dal comma 2 lett. b) dell’art.
186, lasciando inalterata la pena originariamente inflitta dal primo giudice pari a mese uno e

2. Avverso detta sentenza veniva proposto ricorso per Cassazione e la Corte Suprema, con
sentenza del 20 febbraio 2013, annullava la decisione della Corte distrettuale limitatamente al
trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello
di Cagliari e rigettando il ricorso nel resto.
3. La Corte di Appello di Cagliari, pronunciando sul rinvio disposto dalla Corte Suprema,
con sentenza del 17 luglio 2013 determinava la pena – in relazione alla fattispecie di cui all’art.
186 comma 2 lett. b) del Codice della Strada – in mese uno di arresto ed € 400,00 di
ammenda.
4. Avverso tale sentenza propone, ancora una volta, ricorso Davide PILIA a mezzo del
proprio difensore di fiducia, lamentando la inosservanza della legge processuale penale sia in
riferimento all’art. 597 cod. proc. pen. che in riferimento all’art. 627 stesso codice rilevando
che la Corte territoriale, nonostante l’annullamento disposto dalla Suprema Corte in punto di
quantificazione della pena in correlazione con la avvenuta riqualificazione della condotta in
quella meno grave prevista dal comma 2 lett. b) dell’art. 186 CdS, non si era uniformata al
principio di diritto affermato dalla Corte Suprema in relazione alla mancata osservanza del
divieto di reformatio in pejus, lasciando, ancora una volta, inalterata la pena irrogata a suo
tempo dal giudice di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato. Nel richiamare il principio di diritto affermato da questa Corte
Suprema laddove chiarisce che il giudice di appello, qualora il gravame sia proposto dal solo
imputato, ai sensi dell’art. 597 c.p.p., comma 3 è vincolato dal divieto di “reformatio in peius”,
osserva il Collegio che la Corte territoriale non si è adeguata alle prescrizioni imposte dalla
Corte Suprema secondo le quali il Giudice non può irrogare una pena più grave per specie o
quantità, nè applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato con
formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può, in ossequio al tradizionale canone

“iura novit curia”, dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non
siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado.
L’art. 597 comma 4 cod. proc. pen. ribadisce tali regole, stabilendo che se viene accolto

1

giorni dieci di arresto ed € 400,00 di ammenda.

l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla
continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere “corrispondentemente” diminuita.
Come precisato in un passo della decisione di questa Corte Suprema “Con tale previsione,
secondo quanto risulta espressamente dalla Relazione al codice di rito, il legislatore ha voluto
ovviare ad un indirizzo interpretativo della Corte di legittimità in forza del quale veniva
sostanzialmente vanificata l’operatività del divieto, in quanto si affermava che, in presenza
della sola impugnazione dell’imputato, il Giudice d’appello poteva confermare la pena

l’eliminazione di circostanze aggravanti o reati concorrenti”.

1.1 Nel caso in esame è pacifico che il giudice di appello, nel riqualificare la condotta nella
ipotesi meno grave prevista dal comma 2 lett. b) dell’art. 186 CdS, avrebbe dovuto
corrispondentemente diminuire la pena originaria: il che, invece, non è avvenuto avendo la
Corte territoriale determinato la pena in correlazione con la gravità del comportamento
dell’autore del reato, sostanzialmente ignorando il principio affermato da questa Corte
Suprema che esigeva una diversa e meno elevata commisurazione della pena in stretta
correlazione con la qualificazione meno grave della condotta riconosciuta dalla Corte
distrettuale rispetto alla condotta ritenuta dal Giudice di primo grado.
1.2 Né può dirsi avvenuto il rispetto delle regole indicate da questa Corte Suprema per
avere la Corte territoriale indicato sia la pena base (giorni novanta di arresto ed € 900,00 di
ammenda), sia la riduzione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (pari
ad 1/3), avendo invece la Corte l’obbligo soprattutto di rideterminare in melius la pena
originaria per le ragioni dianzi specificate.
2. La sentenza impugnata va quindi annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di
Appello di Cagliari limitatamente alla determinazione della pena ferma restando l’irrevocabilità
della sentenza in punto di affermazione della penale responsabilità ai sensi dell’art. 624 cod.
proc. pen.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio ad
altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari.
Così deciso in Roma 1’11 giugno 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

complessiva irrogata in primo grado, nonostante l’applicazione di circostanze attenuanti o

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