Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28188 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28188 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCALISE TONINO N. IL 19/09/1963
avverso l’ordinanza n. 63/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 05/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
letteegntini le conclusioni del PG Dott.
Massimo Galli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;

4511111ren – e •

Data Udienza: 29/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 5/05/2013 la Corte di Appello di Catanzaro ha rigettato la
domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Scalise Tonino in
relazione alla misura cautelare sofferta, nella forma della custodia in carcere, dal
21 gennaio 2008 al 21 marzo 2008 e, nella forma degli arresti domiciliari, fino al
18 aprile 2008 nell’ambito di un procedimento penale in cui era indagato per il
reato di furto aggravato da destrezza, conclusosi con sentenza irrevocabile del

non doversi procedere, previa esclusione dell’aggravante, per difetto di querela.

2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condotta ostativa al
riconoscimento del diritto sul presupposto che l’istante fosse stato arrestato in
flagranza di reato in quanto immediatamente riconosciuto come la persona che
era entrata nella cabina di guida di un autocarro, mentre il proprietario stava
scaricando della merce in un negozio, prelevando un borsello contenente
documenti e la somma di euro 1.200,00. Nell’ordinanza impugnata si è posta in
correlazione causale la condotta dolosa del richiedente con la convinzione
ingenerata nell’autorità inquirente che il reato fosse procedibile d’ufficio,
ritenendosi non chiare le ragioni per le quali il giudice del dibattimento avesse
ritenuto insussistente la contestata aggravante.

3. Ricorre per cassazione Scalise Tonino, con atto sottoscritto dal difensore,
deducendo con unico motivo violazione di legge processuale e sostanziale e vizio
di motivazione in relazione all’interpretazione dell’art.314 cod.proc.pen.
sostenendo che, versandosi nell’ipotesi prevista dall’art.314, comma 3,
cod.proc.pen., la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscergli de plano il diritto
all’indennizzo per la restrizione subita mentre, erroneamente, la Corte di Appello
ha ritenuto che il richiedente avesse tenuto una condotta tale da legittimare il
provvedimento dell’autorità inquirente. Non può trascurarsi, si assume, quanto
stabilito dal giudice del dibattimento, che con sentenza irrevocabile ha escluso
l’aggravante contestata, derubricando il reato in un diverso titolo che non
consentiva la cautela, con conseguente diritto alla riparazione ai sensi
dell’art.314, comma 2, cod.proc.pen. per l’ingiusta detenzione sofferta in regime
carcerario e domiciliare.

4. Il Procuratore Generale, in persona del dott. Massimo Galli, nella sua
requisitoria scritta ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza con rinvio alla
Corte di Appello di Catanzaro.
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Tribunale di Rossano emessa il 26/11/2011, con cui il Tribunale ha dichiarato

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.

2. Occorre prendere le mosse dalla pronuncia con la quale le Sezioni Unite di
questa Corte sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione se la circostanza
dell’avere dato o concorso a dare causa alla misura custodiale per dolo o colpa

riparazione per ingiusta detenzione anche nell’ipotesi, di cui all’art. 314, comma
2, cod. proc.pen., di riparazione per sottoposizione a custodia cautelare in
assenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc.pen.
(Sez. U, n.32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247663).
2.1. Il diritto alla riparazione viene, infatti, riconosciuto, in via principale,
nel comma 1 dell’art. 314 cod. proc.pen., con riferimento all’ipotesi di una
custodia cautelare (nozione comprensiva sia della custodia carceraria che di
quella domiciliare), la cui ingiustizia (cosiddetta ingiustizia sostanziale) derivi,
non da elementi afferenti al momento della sua applicazione bensì, dal semplice
dato postumo del definitivo proscioglimento del soggetto con una delle ampie
formule in facto o in iure previste. Il riconoscimento del diritto è esplicitamente
subordinato alla condizione della inesistenza di una condotta dolosa o
gravemente colposa del soggetto causativa o concausativa della custodia stessa.
2.2. Ai sensi dell’art. 314, comma 2, cod.proc.pen., il diritto alla riparazione
spetta anche al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del
processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione
irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è
stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità
previste dagli artt. 273 e 280 cod.proc.pen. Le disposizioni citate si applicano,
alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato
provvedimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere.
L’ipotesi normativa prevista dall’art. 314, comma 2, cod.proc.pen. riguarda,
pertanto, i casi in cui, a prescindere dall’esito del processo (quindi anche in caso
di condanna), venga accertato con decisione irrevocabile che la custodia
cautelare è stata disposta o mantenuta illegittimamente (ingiustizia formale della
restrizione subita dall’imputato: in questo caso l’ingiustizia appartiene alla
situazione cautelare, rilevano cioè i vizi della misura tipizzati dal legislatore ed
accertati con provvedimento irrevocabile), cioè nell’assenza delle condizioni di
applicabilità previste dagli artt. 273 (gravi indizi di colpevolezza, cause di
giustificazione e di non punibilità, cause di estinzione del reato) e 280
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grave operi quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa

cod.proc.pen. (titolo del reato, ovvero nell’ipotesi del reato punito con pena
edittale inferiore al limite quantitativo ivi indicato).
2.3. Nel secondo comma dell’articolo, lo “stesso diritto” (di cui al primo
comma) è dunque riconosciuto, indipendentemente dall’esito finale del processo
di merito, a chiunque sia stato sottoposto a custodia cautelare, della cui
applicazione sia stata accertata, con decisione irrevocabile, la non conformità alle
previsioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc.pen. (cosiddetta ingiustizia
formale). Tale disposizione contiene due limitazioni: una, inerente al titolo della

esclusione della rilevanza della violazione delle regole in tema di esigenze
cautelari. Su tale impianto normativo è più volte intervenuta (con richiamo alle
fonti internazionali), nel senso di ampliare il campo di applicazione dell’istituto
riparatorio, la Corte Costituzionale.
2.4. L’orientamento contrario all’applicabilità della condizione ostativa nella
ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 314 cod. proc.pen. era stato espresso,
in particolare, in tre sentenze di questa Sezione (Sez.4, n.38192 del
29/09/2009, Catacchio Sez. 4, n. 28599 del 16/04/2009, Fortunato, Rv. 244686;
Sez.4, n.10895 del 14/02/2007, Aligi, Rv. 236201). Nella prima delle citate
sentenze, in particolare, la Corte aveva preso atto che il richiedente,
originariamente accusato di tentata estorsione, era poi stato prosciolto per
mancanza di querela, previa derubricazione del reato in quello di cui all’art. 393
cod.pen., e, ricordando che, ai fini dell’applicabilità del secondo comma
dell’art.314 cod. proc.pen., la “decisione irrevocabile” richiesta dalla norma può
essere, oltre che quella emessa in sede cautelare, anche quella di merito, ove
dalla stessa risulti in maniera evidente l’insussistenza delle condizioni di
applicabilità della misura, come nel caso di derubricazione del reato
originariamente contestato ad altro punito con pena edittale non superiore nel
massimo a tre anni di reclusione (e insuscettibile, come tale, di essere posto a
base di misura custodiale, ai sensi dell’art. 280 cod. proc.pen.), aveva rilevato
che, in tali situazioni, null’altro è “richiesto a fondare il diritto dell’istante al
conseguimento della riparazione”, così come, parallelamente, in presenza di
giudicato cautelare, quest’ultimo è per sé sufficiente a costituire “il titolo
legittimante al riconoscimento di quel diritto”.
2.5. La richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, pur condividendo il
principio (Sez. 4, n.6628 del 16/02/2009, Totaro, Rv. 242727) secondo il quale
ragioni esegetiche e di razionalità dell’istituto militano a favore dell’operatività
della condizione ostativa di cui all’art. 314, comma 1, ult. parte, cod. proc.pen.
anche nelle ipotesi cosiddette di “ingiustizia formale”, ha tuttavia ritenuto
presupposto necessario e sufficiente per il riconoscimento del diritto alla
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privazione della libertà (circoscritto alle misure detentive), e l’altra, relativa alla

riparazione la sola pronuncia definitiva (di merito o cautelare, si vedano in
proposito gli approdi giurisprudenziali di Sez. 4 nn. 10983/2007, 36907/2007,
8869/2007, 23896/2008) che abbia accertato l’insussistenza delle condizioni di
applicabilità della misura cautelare, qualora l’illegittimità della misura cautelare
fosse riconoscibile dal Giudice per le indagini preliminari nel momento in cui
emise il provvedimento.
2.6. Occorre, poi, ricordare i reiterati interventi ampliativi dei casi di
applicazione dell’istituto della Corte Costituzionale, giustificati dal fondamento

particolare evidenza nella sentenza 16 dicembre 1997, n. 446, della Consulta,
nella quale si è precisato che “in presenza di una lesione della libertà personale
rivelatasi comunque ingiusta con accertamento

ex post,

la legge, in

considerazione della qualità del bene offeso, ha riguardo unicamente alla
oggettività della lesione stessa.”
2.7. è vero che l’ipotesi principale oggetto della norma è quella
dell’accertamento, con valutazione ex ante, della insussistenza originaria delle
condizioni ex artt. 273 e 280 cod. proc.pen. per l’adozione o il mantenimento
della misura custodiale, ma tale norma ha trovato applicazione estensiva (le cui
premesse si rinvengono già nella sentenza Sez. U n.20 del 12/10/1993, Durante)
in numerose pronunce di questa Corte, tra le quali meritano qui menzione Sez.
4, n. 43458 del 15/10/2013, Taliento, Rv. 257194 e Sez. 4, n.23896 del
9/04/2008, Rv. 240333, relative all’ipotesi di misura cautelare applicata in
difetto di condizione di procedibilità, la cui necessità sia stata accertata solo
all’esito del giudizio di merito.
2.8. In altre pronunce, questa Sezione (Sez. 4, n. 21342 del 19/04/2011,
Min. Econ., in proc. Calabrese, Rv. 250474; Sez.4 n.13559 del 2/12/2011, dep.
11/04/2012, Borselli, Rv.253319; Sez. 4, n.36907 del 5/06/2007,Rv. 237317) si
è espressa in merito al riconoscimento del diritto all’indennizzo anche in caso di
derubricazione, avvenuta in sede di merito per effetto di elementi emersi
soltanto nell’istruzione dibattimentale, del reato contestato in altro per il quale
non era consentita, in ragione della pena edittale, l’adozione di misura
custodiale, ritenendo le Sezioni Unite che, in ipotesi analoghe, non vi fossero
ragioni per differenziare la disciplina dell’ingiustizia sostanziale dalla cosiddetta
ingiustizia formale desunta in concreto solo ex post a seguito dell’acquisizione di
un materiale diverso e arricchito rispetto a quello conosciuto dal Giudice per le
indagini preliminari.

3. Risulta, ora, imprescindibile, in ossequio ai principi espressi dalla più volte ,
citata pronuncia a Sezioni Unite, una specifica verifica da parte del giudice della
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squisitamente solidaristico dell’istituto in esame. Il concetto è stato espresso con

riparazione, tenuto ad accertare se l’assenza delle condizioni di applicabilità della
misura sia stata affermata (nel procedimento cautelare o nel giudizio di merito)
sulla base di decisivi elementi emersi in un momento successivo a quello della
sua adozione (o conservazione) ovvero sulla base dei medesimi elementi
conosciuti dal giudice della cautela. Se, infatti, il Giudice per le indagini
preliminari fosse stato oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare la
misura, nessuna efficienza causale nella sua determinazione potrebbe avere
avuto la condotta dolosa o gravemente colposa dell’indagato.
3.1. Giova, in proposito, rimarcare come sia costante nella giurisprudenza di

questa Corte l’affermazione di principio per cui tra le cause di non punibilità la
cui emergenza importa l’inapplicabilità delle misure cautelari ai sensi dell’art.273,
comma 2, cod.proc.pen. rientri anche il difetto di una condizione di procedibilità
(Sez.2, n.19180 del 16/04/2013, Nicita, Rv.255409; Sez.1, n.40222 del
24/10/2007, Pignataro, Rv.237912; Sez.2, n.862 del 2/12/2002,
dep.13/01/2003, Rindi, Rv.223479; Sez.1, n.2128 del 9/05/1994, Tarek,
Rv.197879).
3.2. E, nel caso concreto, pur vertendosi in ipotesi di arresto in flagranza in
relazione al reato di furto, che a norma dell’art.381, comma 3, lett.g)
cod.proc.pen. consente, in combinato disposto con l’art.391, comma 5,
cod.proc.pen., l’applicazione della misura cautelare anche al di fuori dei limiti di
pena previsti dall’art.280 cod.proc.pen., non incidendo dunque l’esclusione della
circostanza aggravante sulle condizioni di applicabilità della misura cautelare
prevista da quest’ultima norma, la Corte territoriale avrebbe dovuto, nondimeno,
verificare se ricorressero tutte le condizioni di applicabilità alle quali fa
riferimento l’art.314, comma 2, cod.proc.pen., ivi inclusa la sussistenza di una
causa di non punibilità a norma dell’art.273, comma 2, cod.proc.pen., onde
valutare se il caso fosse sussumibile nell’ipotesi di cui all’art.314, comma 2,
cod.proc.pen.

4. Esaminando l’ulteriore profilo di censura, quanto alla utilizzabilità del
materiale probatorio, va osservato che la procedura riparatoria presenta
connotazioni di natura civilistica, e, quindi, nel suo ambito non possono operare
automaticamente i divieti previsti dal codice di rito esclusivamente per la fase
processuale penale dibattimentale e, tra di essi, il divieto di utilizzo degli atti
delle indagini, che possono invece trovare ingresso nell’alveo di una causa con
impronta civilistica, quali fonti di prova inquadrabili nella categoria delineata
dall’art. 2712 cod.civ. (Sez. 4, n. 11428 del 21/02/2012 , Nocerino, Rv. 252735;
Sez. 4, n.38181 del 23/04/2009, Ferrigno, Rv. 245308; Sez. 4, n. 37026 del
03/06/2008, Bologna, Rv. 241981).
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4.1. Tale possibilità incontra, però, due limiti:
– il primo è costituito dalla inutilizzabilità patologica di atti probatori assunti
in violazione di espressi divieti di legge (art. 291 cod.proc.pen.) come ad
esempio intercettazioni captate illegalmente (art. 271 cod.proc.pen.: sul punto
Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 241667);
– il secondo è costituito dalla verifica che gli elementi di prova acquisiti nelle
indagini e da utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti (non
semplicemente non confermati) inequivocabilmente da acquisizioni del processo

le parti deve avere la prevalenza sulle acquisizioni probatorie captate nella fase
inquisitoria.
4.2. Nel caso concreto, la Corte territoriale ha fondato la decisione
sull’asserita sussistenza di una condotta sussumibile nell’ipotesi aggravata del
furto con destrezza sul presupposto che il giudice del dibattimento penale avesse
escluso l’aggravante ‘per ragioni non ben chiare a questo Collegio’, ossia non
specificando se il giudice penale avesse escluso la prova della condotta
qualificabile in termini di “destrezza” ovvero si fosse limitato a qualificare come
furto semplice il fatto storico contestato ed accertato. Tale carenza motivazionale
non consente a questa Corte di valutare se il giudice della riparazione si sia
attenuto ai principi sopra esposti.

5.

L’ordinanza impugnata risulta, pertanto, erroneamente motivata,

laddove ha escluso il diritto alla riparazione sul presupposto che il richiedente
avesse tenuto una condotta sussumibile nell’ipotesi di furto aggravato, con tale
condotta inducendo in errore l’autorità in merito alla perseguibilità d’ufficio del
fatto, senza esaminare, in primo luogo, se il caso fosse inquadrabile nell’ipotesi
prevista

e

disciplinata

dall’art.314,

comma

2,

cod.proc.pen.

e,

conseguentemente, senza verificare se la derubricazione del fatto in reato
perseguibile a querela fosse o meno conseguente all’acquisizione di ulteriori
elementi rispetto a quelli esaminati dal giudice della cautela.
5.1. Ulteriore vizio dell’ordinanza impugnata si riscontra nell’avere la Corte
territoriale fondato la decisione su un elemento del fatto, ossia la sussistenza
della circostanza aggravante della destrezza, senza chiarire se il fatto storico
fosse stato accertato nella sentenza assolutoria.

6. L’ordinanza impugnata, pertanto, in accoglimento del ricorso, deve essere
annullata con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro, per il compimento della
necessaria verifica della sussumibilità del caso concreto nell’ipotesi di cui
all’art.314, comma 2, cod.proc.pen. e della conseguente analisi del compendio
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dibattimentale. In tal caso, infatti, la verità acclarata nel pieno contraddittorio tra

istruttorio in base al quale il Tribunale di Rossano è pervenuto ad affermare,
previa derubricazione del reato di furto aggravato in furto semplice,
l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare in difetto
della condizione di procedibilità della querela.

P.Q.M.

Annulla la impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame alla Corte

Così deciso il 29/05/2014

d’Appello di Catanzaro.

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