Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28187 del 07/06/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28187 Anno 2016
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PRATO LUIGI N. IL 01/09/1959 parte offesa nel procedimento
c/
CAPODIECI SALVATORE N. IL 02/01/1950
POMPEO LUIGI N. IL 08/01/1956
avverso il decreto n. 1485/2014 GIUDICE DI PACE di LECCE, del
11/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 07/06/2016

RITENUTO IN FATTO

– che il difensore di PRATO LUIGI propone ricorso per cassazione contro il
decreto di archiviazione emesso dal giudice di pace di Lecce, a seguito di
opposizione proposta nel procedimento contro CAPODIECI SALVATORE e
POMPEO LUIGI per il reato di cui all’art. 612 cod. pen., per la particolare tenuità
del fatto;
– che il ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli articoli 34 D. Lgs.

disciplina la particolare tenuità del fatto, in relazione alla fattispecie concreta,
poiché gli indagati tennero una condotta persecutoria nei confronti del PRATO e
dunque non occasionale ed in relazione agli elementi probatori raccolti;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è inammissibile, poiché, pur rubricando il motivo come carenza di
motivazione, il ricorrente censura, in realtà, la motivazione del provvedimento. Il
decreto di archiviazione, infatti, è stata emessa all’esito del contraddittorio (sia
pure cartolare, a seguito della opposizione del ricorrente) previsto dall’art. 17 del
D. Lgs. 274/2000 e secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “nel
procedimento per reati di competenza del Giudice di pace, l’opposizione della
persona offesa alla richiesta di archiviazione consente unicamente la
realizzazione di un contraddittorio cartolare, all’esito del quale, il giudice, se
accoglie la richiesta del P.M., decide

“de plano”, non essendo prevista la

celebrazione dell’udienza camerale; ne consegue l’impossibilità di esaminare, in
sede di legittimità, censure inerenti alla congruenza della motivazione del
decreto di archiviazione ovvero all’inammissibilità dell’opposizione, poiché, ai
sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 6, il decreto è ricorribile per cassazione solo nei
casi di nullità previsti dall’art. 127 c.p.p., comma 5 (ovvero per la mancata
fissazione dell’udienza camerale o per il mancato avviso ai soggetti interessatí),
e non per questioni inerenti al merito od alla congruenza della motivazione”
(Sez. 4, n. 22297 del 08/04/2008, Pregadio, Rv. 239889; Sez. 5, n. 9727 del
19/09/2014 – dep. 05/03/2015, Sambrotta, Rv. 262940);
– che osta a una diversa lettura il principio di tassatività dei mezzi
d’impugnazione e non v’è ragione costituzionalmente imposta di un ampliamento
della piattaforma dei vizi denunziabili mediante ricorso, considerata la natura,
“interlocutoria e sommaria… finalizzata a un controllo di legalità sull’esercizio
dell’azione penale e non a un accertamento sul merito dell’imputazione”

(Corte

cost. ord. n. 153 del 1999; ord. n. 54 del 2003), dell’archiviazione e la ratio,

2

274/2000 e 112 Costituzione, contestando l’applicazione della norma che

esclusivamente servente il controllo di legalità e obbligatorietà dell’azione
penale, che tradizionalmente si riconosce assistere gli strumenti di tutela
dell’offeso;
– che del resto alla pretesa sostanziale del denunziante/querelante offrono
comunque adeguata garanzia, la possibilità di sollecitare una riapertura delle
indagini, anche sulla scorta di indagini difensive, e di mantenere l’intatta facoltà
di esercitare i propri diritti d’azione e difesa, ampiamente e senza preclusione
alcuna, nella sede (civile) propria;

caratteri dell’atto abnorme (secondo i parametri fissati da Sez. U, n. 25957 del
26/03/2009, Toni, Rv. 243590): sotto l’aspetto strutturale, infatti, non può dirsi
abnorme il provvedimento sol perché eventualmente viziato da errata
interpretazione di norme sostanziali o processuali; sotto l’aspetto funzionale, poi,
un siffatto provvedimento non è suscettibile di produrre alcuna paralisi
processuale;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui
all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad
escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro 2000;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016
Il consigliz
r es ecore

Il presidente

– che devesi comunque escludere che il provvedimento denunziato abbia i

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