Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28186 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28186 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DE PASCALI GIOVANNI N. IL 31/03/1975
avverso l’ordinanza n. 12/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 18/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
1ette/Will:31e conclusioni del PG Dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

idifnsofAW

Data Udienza: 29/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 18/02/2013 la Corte di Appello di Lecce ha rigettato la domanda
di riparazione per ingiusta detenzione presentata da De Pascali Giovanni in
relazione alla privazione della libertà subita, nella forma della custodia in
carcere, dal 14 aprile al 31 maggio 2004 e, nella forma degli arresti domiciliari,
fino al 21 giugno 2004 nell’ambito di un procedimento in cui era indiziato del
reato di cui all’art.416 cod. pen. per essersi associato allo scopo di commettere

di Taranto, Bari e Brindisi, nonchè per il delitto di cui agli artt.110, 624, 625 nn.2
e 7 cod. pen. per essersi impossessato con persona non identificata dell’incasso
pari ad euro 4.400,00 contenuto nella cassaforte posta all’interno della
macchinetta self-service di un distributore di carburante, conclusosi con sentenza
assolutoria emessa dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di
Taranto in data 6/06/2007.

2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condotta ostativa al diritto
all’equa riparazione sulla base delle seguenti specifiche circostanze fattuali: a)
dalla documentazione prodotta risultava che l’istante, contrariamente a quanto
indicato nella sentenza assolutoria, non fosse incensurato, avendo riportato una
condanna per ricettazione; b) l’istante non conviveva con il padre ma aveva un
autonomo nucleo familiare ed avrebbe ben potuto evitare di prestare al genitore,
sapendo che quest’ultimo fosse aduso a furti con scasso, l’autovettura di cui
aveva la disponibilità; c) in sede di interrogatorio di garanzia, l’istante aveva
negato la sua responsabilità e riconosciuto suo padre nella persona ritratta nel
filmato ripreso dalle videocamere di sorveglianza presso il distributore,
dichiarando di avergli prestato l’autovettura senza ulteriori particolari circa
tempi, modalità e motivi di tale comodato; d) nell’ordinanza di custodia cautelare
in carcere per il fatto dell’8 aprile 2004 risultava che numerosissime altre

delitti di furto aggravato ai danni di distributori di carburante siti nelle province

denunce avevano attinto l’istante e il padre per furti commessi su tutto l’intero
territorio nazionale; e) nell’ordinanza del Tribunale di Riesame del 29 aprile 2004
si citavano altri episodi delittuosi rientranti nel quadro indiziante, relativi a furti
aggravati presso vari distributori, che non avevano condotto alla condanna
dell’istante in ragione della scarsa definizione delle immagini; f) il
comportamento processuale dell’istante non era stato realmente collaborativo,
essendo

De Pascali Giovanni a conoscenza del fatto che il proprietario

dell’autovettura prestata al padre lo avesse già indicato come possessore e non
avendo lo stesso fornito alcuna spiegazione circa il ritrovamento nella suai
,
autovettura di un sacchetto di spazzatura contenente una banconota da € 10,
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potendo trattarsi ad avviso della Corte di banconota di piccolo taglio
inavvertitamente rimasta nel sacco di plastica utilizzato per svuotare le casseforti
dopo averle forzate. La Corte territoriale ha, dunque, desunto la condotta
gravemente colposa posta in essere dall’istante da elementi indiziari, avvalorati
dall’uso dell’autovettura di cui De Pascali Giovanni era acquirente e possessore,
dal rapporto di consanguineità e dai tratti somatici comuni rispetto al padre
pluripregiudicato, dal fatto che l’istante certamente non ignorasse l’uso improprio
dell’autovettura che il genitore avrebbe fatto, ritenendo che tali elementi fossero

coinvolgimento nelle condotte delittuose.

3. Ricorre per cassazione De Pascali Giovanni, con atto sottoscritto dal
difensore, censurando l’ordinanza impugnata per violazione di legge in relazione
all’art. 314 cod.proc.pen. e per vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la
colpa grave non potrebbe essere ravvisata in comportamenti, in sé e per sé
leciti, dai quali l’autorità procedente abbia a suo tempo più o meno
fondatamente ritenuto di poter trarre elementi indiziari a carico del soggetto,
integrando l’aver prestato l’autovettura al padre un comportamento
extraprocessuale lecito e non valutabile ai fini dell’applicazione dell’art.314
cod.proc.pen., tanto più che la Costituzione impone ai figli l’obbligo di assistenza
nei confronti dei genitori. La condotta successiva alla conoscenza dell’attività di
indagine, si assume, per configurarsi come ostativa alla concessione
dell’indennizzo deve tradursi in silenzio o mendacio, mentre il ricorrente non ha
fornito spiegazione in ordine alle somme rinvenute in suo possesso in quanto non
risulta che tale spiegazione gli sia mai stata chiesta. L’ordinanza impugnata,
secondo il ricorrente, si fonderebbe su elementi non contenuti negli atti
procedimentali laddove ha ritenuto che il giudizio di somiglianza tra padre e figlio
sia stato una delle cause giustificative del provvedimento di conferma della
misura cautelare emesso dal Tribunale della libertà. La Corte territoriale avrebbe
illogicamente e in violazione dell’art.314 cod.proc.pen. ritenuto che i precedenti
penali del padre del ricorrente e una serie di denunce riportate da quest’ultimo,
non presenti in atti, siano state giusta causa di applicazione della misura
cautelare, sebbene il richiedente fosse persona incensurata, come emergente
dalla sentenza assolutoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

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idonei ad ingenerare nell’autorità procedente il convincimento circa un suo

2. Secondo principi ripetutamente affermati da questa Corte e consolidati in
una recente pronuncia delle Sezioni Unite Penali (Sez. U, n. 32383
del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664), il giudice di merito deve, in modo
autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione,
con particolare riferimento alla sussistenza di comportamenti sia anteriori che
successivi alla perdita della libertà personale connotati da eclatante,
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi e regolamenti,
fondando la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi che consentano di

ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa
apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di causa ad effetto.
2.1. Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa
riparazione è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi, che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato
dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti. In particolare, è consentita al
giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti, non nella loro valenza indiziaria
o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in
ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione
della misura, traendo in inganno il giudice.
2.2. Inoltre, quanto alla utilizzabilità del materiale probatorio, va osservato
che la procedura riparatoria presenta connotazioni di natura civilistica, e, quindi,
nel suo ambito non possono operare automaticamente i divieti previsti dal codice
di rito esclusivamente per la fase processuale penale dibattimentale, e tra di
essi, il divieto di utilizzo degli atti delle indagini, che possono invece trovare
ingresso nell’alveo di una causa con impronta civilistica, quali fonti di prova
inquadrabili nella categoria delineata dall’art. 2712 cod.civ. (Sez. 4, n. 11428 del
21/02/2012 , Nocerino, Rv. 252735 ; Sez. 4, n.38181 del 23/04/2009, Ferrigno,
Rv. 245308; Sez. 4, n. 37026 del 03/06/2008, Bologna, Rv. 241981).
2.3. Tale possibilità incontra, però, due limiti:
– il primo è costituito dalla inutilizzabilità patologica di atti probatori assunti
in violazione di espressi divieti di legge (art. 291 cod.proc.pen.) come ad
esempio intercettazioni captate illegalmente (art. 271 cod.proc.pen.: sul punto
Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 241667);
– il secondo è costituito dalla verifica che gli elementi di prova acquisiti nelle
indagini e da utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti (non
semplicemente non confermati) inequivocabilmente da acquisizioni del processo
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stabilire con valutazione ex ante se la condotta tenuta dal richiedente abbia

dibattimentale. In tal caso, infatti, la verità acclarata nel pieno contraddittorio tra
le parti deve avere la prevalenza sulle acquisizioni probatorie captate nella fase
inquisitoria.

3. Con particolare riguardo al comportamento anteriore alla perdita della
libertà personale indicato nel provvedimento impugnato, le censure mosse dal
ricorrente risultano infondate, in quanto la Corte territoriale si è attenuta ai
principi di cui sopra, avendo posto a base della pronuncia di rigetto della

giudizio penale, concretata dal fatto che avesse messo a disposizione del padre
l’autovettura in suo possesso, nella consapevolezza, desunta con
argomentazione congrua da una serie di indizi, che sarebbe stata utilizzata,
come poi effettivamente avvenuto, per commettere reati.
3.1. Mette conto sottolineare che le doglianze mosse con riferimento a tale
preciso elemento fattuale tendono a porre in discussione la valutazione operata
dal giudice della riparazione degli atti istruttori acquisiti nel procedimento penale
in quanto i medesimi atti sarebbero stati giudicati insufficienti a fondare un
giudizio di colpevolezza, ignorando il costante indirizzo giurisprudenziale,
affermato da questa Corte anche a Sezioni Unite (Sez. U n. 43 del 13/12/1995,
dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv.203638), per cui, nel procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione, è necessario distinguere nettamente
l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento
della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da
quella propria del giudice della riparazione, il quale, pur dovendo eventualmente
operare sul medesimo materiale, deve seguire un percorso logico-motivazionale
del tutto autonomo, essendo suo compito stabilire non se determinate condotte
costituiscano o meno reato, ma se queste condotte si siano poste come fattore
condizionante alla produzione dell’evento ‘detenzione’; in relazione a tale aspetto
della decisione tale giudice ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale
acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la
ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, sia in senso positivo che negativo,
compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla
riparazione (Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Rv. 247867; Sez. 4, n.23128
del 22/10/2002, dep. 27/05/2003, Iannozzi, Rv. 225506); tale valutazione
costituisce attività riservata al giudice del merito e, ove non contrastante con
fatti accertati o esclusi dal giudice del processo penale, non è sindacabile i
sede di legittimità.

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riparazione la condotta del ricorrente, indicata come fatto storico accertato nel

4. La condotta successiva all’applicazione della misura cautelare è stata
ritenuta idonea a giustificare il mantenimento della custodia in carcere con
argomentazione congrua ed esente da manifesta illogicità, in quanto considerata
reticente.

4.1. Giova sottolineare, in proposito, che questa Suprema Corte ha, sin dal
2001, affermato il seguente principio di diritto: “In caso di richiesta di
riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice deve tenere conto anche della

pur nel rispetto del diritto di costui a non rendere dichiarazioni, può
legittimamente ritenere che la circostanza di non avere il ricorrente risposto in
sede di interrogatorio e non fornito spiegazioni su circostanze obiettivamente
indizianti abbia contribuito alla formazione del quadro indiziario che ha indotto i
giudici della libertà all’applicazione e alla protrazione della custodia” (Sez. 4,
n.2154 del 9/05/2001, Bergamin, Rv. 219490). Tale posizione ha trovato
conferma in altre pronunce della Corte, secondo cui il silenzio dell’imputato su
circostanze non altrimenti acquisibili o, a maggior ragione, il suo mendacio
integrano gli estremi di quella colpa che, ai sensi dell’art. 314, comma 1,
cod.proc.pen., esclude il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione (Sez. 4,
n.956 del 24/03/1998, Longo, Rv.210632), sul presupposto che il
comportamento mendace dell’imputato, sebbene rientri nel diritto di difesa,
come oggetto di scelta di linea difensiva, non può però giustificare la domanda di
riparazione, se proprio dal comportamento mendace sia derivata la conferma o la
protrazione della custodia cautelare. Principi contrari sono stati affermati nella
giurisprudenza della Corte, laddove si è affermato che un comportamento che si
configuri come espressione del diritto di difesa e di libertà non può al contempo
essere qualificato illegittimo nella particolare prospettiva della riparazione per
ingiusta detenzione (Sez.4, n.1745 del 03/06/1998, Ben Salah A., Rv. 211648;
Sez. 4, n.2758 del 05/05/2000. PG in proc. Minino L., Rv. 217429), ma è bene
evidenziare che tali principi sono stati affermati con riguardo al comportamento
dell’indagato datosi alla fuga o resosi irreperibile. Con specifico riguardo alla
condotta di mendacio, tenendo presente il principio enunciato dalla Corte a
Sezioni Unite, in base al quale la valutazione dei comportamenti successivi alla
conoscenza da parte dell’indagato del procedimento a suo carico deve essere
effettuata con particolare cautela, dovendosi sempre, e con adeguato rigore,
avere rispetto per le strategie difensive che abbia ritenuto di adottare (quale che
possa esserne la ragione) chi è stato ingiustamente privato della libertà
personale (Sez. U n. 43 del 13/12/1995, dep. 09/02/1996, Sarnataro,
Rv.203638), le successive pronunce hanno, però, chiarito che il silenzio, la
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condotta del ricorrente successiva all’esecuzione del provvedimento restrittivo e,

reticenza e il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, pur costituendo
esercizio del diritto di difesa, possono rilevare sotto il profilo del dolo o della
colpa grave nel caso in cui egli sia in grado di indicare specifiche circostanze, non
note all’organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di
escludere o caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede
investigativa, che determinarono l’emissione del provvedimento cautelare (Sez.
4, n.4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Lafranceschina, Rv.242760).
Anche in un’ottica di cauto apprezzamento del comportamento endoprocessuale

sia rilevante quale condotta ostativa alla riparazione dell’ingiusta detenzione,
poiché il diritto all’equa riparazione presuppone una condotta dell’interessato
idonea a chiarire la sua posizione mediante l’allegazione di quelle circostanze, a
lui note, che contrastino l’accusa, o vincano ragioni di cautela (Sez.4, n.7296 del
17/11/2011, dep.23/02/2012, Berdicchia, Rv.251928; Sez.3, n.44090 del
9/11/2011, Messina, Rv.251325; Sez. 4, n.40291 del 10/06/2008, Maggi, Rv.
242755; Sez. 4, n.15140 del 24/01/2008, Caria, Rv.239808), pur non
mancando, effettivamente, pronunce di segno contrario, con riferimento al solo
comportamento silenzioso o reticente (Sez.4, n.26686 del 13/05/2008, Marras,
Rv.240940; Sez.4, n.43309 del 23/10/2008, P.G. in proc. Bodaj, Rv.241993).

4.2. Con specifico riferimento alla strategia difensiva adottata
dall’interessato nel corso del procedimento, non vi è dubbio, dunque, che anche
la condotta difensiva possa essere oggetto di valutazione per la individuazione
della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo e che, in
particolare, la reticenza possa di per sé rappresentare, in un determinato
contesto indiziario, condotta tendente ad indurre in errore l’autorità giudiziaria
procedente piuttosto che espressione di una particolare linea difensiva.

4.3. L’impugnata ordinanza ha fatto buon governo dei principi interpretativi
sopra esposti, identificando nell’omessa indicazione di circostanze idonee a
chiarire la sua posizione, in merito ad elementi gravemente indiziari
specificamente indicati (pag.5), la condotta scorretta tenuta dall’indagato nei
confronti dell’autorità giudiziaria, ritenuta logicamente causa determinante del
mantenimento della misura custodiale.

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dell’indagato, si è comunque ritenuto che il comportamento silenzioso o mendace

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, a
norma dell’art.616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 29/05/2014

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