Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28184 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28184 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCIACQUA FRANCESCO N. IL 28/08/1973
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 74/2008 CORTE APPELLO di BARI, del
21/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lette~e le conclusioni del PG Dott
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Data Udienza: 29/05/2014

P1

E 2,

,
Bari, con ordinanza resa
La Corte di Appello di
all’udienza camerale del giorno 21.05.2013 rigettava
l’istanza di riparazione presentata da Sciacqua
Francesco per ingiusta detenzione in regime di
custodia in carcere dal 23/02/03 al 5/06/07 perché
sospettato del delitto di concorso in omicidio
aggravato. Il procedimento a suo carico veniva
dapprima definito in primo grado con sentenza emessa
in data 14/03/2006 dalla Corte di Assise di Bari con
declaratoria di prescrizione in ordine al reato di
occultamento di cadavere e di condanna per il delitto
di omicidio preterintenzionale, così modificata
con
Successivamente,
imputazione.
l’originaria
sentenza emessa in data 5.06.2007, divenuta
irrevocabile, la Corte di Assise di appello di Bari
lo assolveva dai delitti a lui ascritti per non aver
commesso il fatto e ne ordinava l’immediata
scarcerazione.
Lamentava la difesa che la lunga detenzione subita
aveva cagionato danni sia all’attività lavorativa,
sia alla vita personale del ricorrente e pertanto
chiedeva alla Corte di appello di Bari la
liquidazione dell’indennizzo previsto dagli articoli
314 e seguenti c.p.p..
La Corte di appello di Bari rigettava l’istanza in
quanto riteneva che il richiedente avesse contribuito
con colpa grave all’emissione ed al mantenimento del
provvedimento restrittivo disposto nei suoi confronti
e che pertanto non poteva essere liquidata alcuna
somma a titolo di riparazione per ingiusta
detenzione.
Avverso tale provvedimento Sciacqua Francesco, a
mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per
cassazione e concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione dell’articolo 314,
comma 1, cod.proc.pen. e per manifesta illogicità
ex art. 606 comma l lett. e)
della motivazione
cod.proc.pen. e deduceva che la Corte territoriale
non aveva adeguatamente motivato in ordine alla
sussistenza del presupposto del dolo o della grave
del richiedente, che costituiva causa impeditiva per
il riconoscimento dell’importo previsto per la
riparazione dell’ingiusta detenzione subita e che
inoltre non era stata valutata la possibilità che la
colpa del richiedente fosse di grado lieve e quindi
non ostativa alla concessione dell’indennizzo.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava
tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler

Ritenuto in fatto

r

(3
dichiarare inammissibile ovvero di rigettare ricorso.

Il ricorso è fondato.
Osserva la Corte
che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314 e
ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi
che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,
di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra
responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e
responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass.
11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in
SS.UU. civ.
l’assetto delle regole generalissime che
materia,
disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697
c.c. posto che il procedimento relativo alla
riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si
riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto
pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei
poteri officiosi del giudice, e’ tuttavia ispirato
ai principi del processo civile, con la conseguenza
che l’istante ha l’onere di provare i fatti
della domanda, la custodia cautelare
costitutivi
subita e la successiva assoluzione.
Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla
esistenza di una condotta del richiedente che al tempo
del processo in nulla abbia dato causa o concorso a
dare causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare
solo l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione
ragionevole e non congetturale il giudice a stabilire
la misura della detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n.
43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice ,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e
sia dopo la perdita della libertà personale,
che
conoscenza
dall’eventuale
indipendentemente
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine, al

Considerato in diritto

ri

fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè in
presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurazione come illecito
penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di
causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent.
n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).
Tanto premesso si osserva che, nella fattispecie che
ci occupa, il giudice della riparazione non ha
applicato correttamente tali principi.
Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince
che il ricorrente era stato tratto in arresto a
seguito dell’emissione di ordinanza di custodia
cautelare del G.I.P. di Bari, perché gravemente
indiziato del delitto di concorso in omicidio
aggravato di Fanelli Luigi; che l’ipotesi del suo
coinvolgimento nel citato delitto derivava dalle
dichiarazioni della coimputata Bressan Fausta,
dell’accertata presenza dell’istante all’interno del
pub dove in precedenza si era verificato un violento
litigio tra la citata Bressan e la vittima e dalle
dichiarazioni rese dopo l’arresto dallo stesso
Sciacqua in merito ai rapporti con la vittima ed ai
suoi movimenti nel corso della serata.
La Corte di appello di Bari aveva poi rilevato che
l’emissione ed il mantenimento del provvedimento
restrittivo ingiustamente emesso nei confronti del
richiedente aveva anche avuto causa nella condotta
gravemente colposa del ricorrente e aveva posto in
evidenza, a tal fine, le risposte inverosimili rese
dall’imputato nel corso dell’interrogatorio e la
versione dei fatti da questi resa nell’immediatezza
dei fatti. Dagli accertamenti eseguiti, secondo la
Corte di appello, era possibile desumere che l’istante
aveva reso dichiarazioni in relazione ai suoi rapporti
con la vittima ed aveva taciuto circostanze rilevanti
omettendo di indicare che il Fanelli, nel corso della
serata, aveva rivolto a lui ed al coimputato
Masciopinto frasi offensive e che costui aveva
manifestato propositi di vendetta. Le dichiarazioni
rese dal ricorrente in relazione alle modalità di
svolgimento della serata contrastavano poi con le
dichiarazioni rese dal citato Masciopinto tanto da
rendere necessario un confronto tra i due.
Ciò premesso si osserva peraltro che la Corte
territoriale nel proprio provvedimento non ha però
chiarito quali erano stati i comportamenti dolosi o
colposi del ricorrente, quali erano i rapporti del
ricorrente con i coimputati, quale sia stato il
contributo di questi nel compimento dell’azione
illecita e quale sia stata, oltre alle dichiarazioni

o

PQM
Annulla la impugnata ordinanza e rinvia per nuovo
esame alla Corte di appello di Bari cui demanda il
regolamento delle spese tra le parti anche per il
presente giudizio.

Così deciso in Roma il 29.05.2014

difensive, la condotta da questi posta in essere e che
possa considerarsi in rapporto di causa ad effetto
rispetto alla detenzione. La Corte territoriale ha
altresì omesso di spiegare in che modo il
comportamento posto in essere dal ricorrente aveva
avuto efficienza causale sull’adozione o sul
mantenimento della misura cautelare dal momento che le
sole dichiarazioni rese dall’imputato, nell’ambito
della sua strategia difensiva, non possono costituire
di per sé sole indice di comportamento doloso o
colposo in grado di avere incidenza sull’emissione e
sul mantenimento della misura custodiale. La Corte
territoriale ha deciso basandosi solo sulla
circostanza che l’indagato aveva reso dichiarazioni
che non giustificavano il suo comportamento, senza
indicare quali fossero le circostanze non indicate
dall’istante che avrebbero potuto comportare la sua
immediata scarcerazione e senza indicare l’azione
dolosa o colposa posta in essere dallo Sciacqua e che
aveva influito sulla emissione e sul mantenimento del
provvedimento restrittivo, tanto più che la Corte di
Assise di appello, che aveva assolto con formula ampia
l’imputato, aveva posto in evidenza che costui aveva
fornito nell’immediatezza dei fatti una versione
sostanzialmente corrispondente a quanto accertato nel
corso della fase istruttoria.
11 provvedimento in questione non appare quindi
congruamente motivato non avendo individuato la Corte
di appello quali condotte dolose o gravemente colpose
abbia posto in essere Sciacqua Francesco che abbiano
avuto incidenza causale sull’adozione della misura
cautelare, non avendo altresì indicato le ragioni che
avevano reso necessaria la protrazione della
detenzione da lui subita.
L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata
con rinvio alla Corte di appello di Bari per nuovo
esame, cui viene demandato il regolamento delle spese
tra le parti anche per il presente giudizio.

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