Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28180 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28180 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCALA MARIANO N. IL 25/11/1947
avverso l’ordinanza n. 169/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
11/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lette/~e le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 29/05/2014

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Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di Napoli, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 11.10.2012 rigettava
l’istanza di riparazione
presentata nell’interesse
di Scala Mariano per ingiusta detenzione in regime di
custodia in carcere
dal 30/01/04 al 28/09/06 e in
regime di arrresti domiciliari dal 29/09/06 al
21/05/09
perché
sospettato
del
delitto
di
associazione a delinquere finalizzata alla cessione
di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti,
delitto da cui era stato assolto con sentenza del
21.05.2009 emessa dalla Corte di appello di Napoli
(che aveva riformato la precedente sentenza di
condanna emessa dal Tribunale di Napoli in data
14.12.2006), divenuta irrevocabile il 28.09.2010.
Scala Mariano,a mezzo del suo difensore, proponeva
quindi ricorso per cassazione avverso l’ordinanza
della Corte di appello di Napoli e concludeva
chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione degli articoli 314
e 315 cod.proc.pen. e per manifesta illogicità della
e)
ex art.
606 comma l lett.
motivazione
cod.proc.pen., in particolare nella parte in cui la
Corte di appello rimproverava in termini di colpa
grave condotte insuscettibili di essere riguardate
negligenza
e
macroscopica
stregua
di
alla
trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente,
non sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del
riconoscimento del diritto all’equa riparazione.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava
tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler
rigettare ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314
e ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi

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che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,
di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra
responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e
responsabilità per atto lecito è ben chiarita da
Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo,
in materia, l’assetto delle regole generalissime che
disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697
c.c. posto che il procedimento relativo alla
riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si
riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto
pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei
poteri officiosi del giudice, e’ tuttavia ispirato
ai principi del processo civile, con la conseguenza
che l’istante ha l’onere di provare i fatti
costitutivi
della
domanda,
la
custodia
cautelare
subita
e
la successiva
assoluzione
(Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004
– 20/05/2004 ). Peraltro il sorgere del diritto è
condizionato alla esistenza di una condotta del
richiedente che al tempo del processo in nulla abbia
dato causa o concorso a dare causa a quella ingiusta
detenzione. L’operazione intesa a cogliere tali
condizioni deve scandagliare solo l’eventuale
efficienza causale delle condotte dell’imputato che
possano aver indotto, anche nel concorso dell’altrui
errore, secondo una valutazione ragionevole e non
congetturale il giudice a stabilire la misura della
detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n. 43, Sez IV
10/3/2000 n. 1705.
Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione
su fatti concreti e precisi e non su mere
supposizioni, esaminando la condotta del richiedente,
sia prima e sia dopo la perdita della libertà
personale, indipendentemente dall’eventuale
conoscenza che quest’ultimo abbia avuto dell’attività
di indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex
ante, non se tale condotta integri estremi di reato,
ma solo se sia stato il presupposto che ha
ingenerato, ancorchè in presenza di errore
dell’autorità procedente, la falsa apparenza della
sua configurazione come illecito penale, dando luogo
alla detenzione con rapporto di causa ad effetto
(cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent. n.34559/2002; Cass.,
Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Napoli, con motivazione adeguata, ha enucleato,con
congrua verifica degli accertati elementi di
riferimento, la condotta del richiedente ostativa
all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione. In
primo luogo ha posto in rilievo che la stessa
sentenza di appello, che aveva assolto lo Scala,

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aveva posto in evidenza che dagli atti risultava che
il predetto aveva partecipato all’operazione di
importazione di hashish dalla Spagna per la quale era
stato tratto in arresto insieme a Caparro Michele;
che la sentenza di assoluzione aveva rilevato che
tale circostanza non era sufficiente a ritenere
provato l’inserimento dello Scala nell’associazione,
ma che tuttavia era risultato accertato che lo Scala,
unitamente al Caparro (coimputato e condannato per il
reato associativo contestato all’istante), aveva
partecipato all’importazione di un ingente
quantitativo di hashish dalla Spagna all’Italia e che
quindi si era messo in contatto con un sodale
dell’associazione e che con costui aveva concorso nel
trasporto di un ingente quantitativo di droga dalla
Spagna. Sono risultati quindi accertati i rapporti di
frequentazione tra l’istante e il Caparro, che
unitamente al fratello, aveva un ruolo preminente
all’interno dell’associazione, nonché il contesto nel
quale sono stati perpetrati i delitti oggetto di
indagine, elementi che denotano una condotta di
estrema leggerezza da parte dell’istante che
concretizza il requisito della colpa grave, sia con
riferimento al momento genetico della misura, sia con
riferimento al suo mantenimento, in considerazione
della complessità degli accertamenti da eseguire, non
avendo il ricorrente apportato alcun contributo per
chiarire gli elementi di sospetto a suo carico.
Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo
proposto dall’odierno ricorrente non può essere
accolto.
il
che definisce
impugnato,
Il provvedimento
dell’ingiusta
riparazione
la
procedimento
per
detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte
che è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento
del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
il
suo
logicamente
e
adeguatamente
motivare
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la
gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.
riconosciuto
infatti
non
ha
legislatore
Il
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
come appunto nella
comportamento dell’indagato,
fattispecie de qua, abbia indotto in errore il
giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e alla rifusione delle spese di

questo giudizio in favore del Ministero resistente
che si liquidano in complessivi euro 1.000,00.
PQM

Così deciso in Roma il 29.05.2014

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonchè a
rimborsare al Ministero dell’Economia e delle Finanze
le spese sostenute per questo giudizio che liquida
in complessivi euro 1.000,00.

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