Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28178 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28178 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

Data Udienza: 29/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ACQUISTA CARMINE ALESSANDRO N. IL 12/01/1967
avverso l’ordinanza n. 5/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 26/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
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Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di
Lecce-sezione distaccata di
Taranto, con ordinanza resa all’udienza camerale del
giorno 29.05.2012 rigettava l’istanza di riparazione
presentata nell’interesse di Acquista Carmine Alessandro
per ingiusta detenzione in regime di arresti domiciliari
dal
19.04.2005
al
16.05.2005,
data
in cui veniva
scarcerato e la misura applicata veniva sostituita con
quella interdittiva delle attività connesse all’esercizio
della professione medica per la durata di mesi due, perché
sospettato dei delitti di associazione a delinquere e
truffa aggravata e continuata in concorso con numerosi
altri indagati, nella sua qualità di sanitario in servizio
presso l’istituto di diagnosi e terapia denominato “srl di
Marangi Michele”, reati da cui era stato assolto per non
aver commesso il fatto con sentenza emessa dal G.U.P. di
Taranto in data 19.11.2009, divenuta irrevocabile.
La Corte territoriale aveva rigettato l’istanza poiché
aveva ritenuto che l’Acquista avesse contribuito, con
colpa grave, all’emissione del provvedimento restrittivo
disposto nei suoi confronti e che pertanto non poteva
essere liquidata alcuna somma a titolo di riparazione per
ingiusta detenzione.
Acquista Carmine Alessandro, a mezzo del suo difensore,
proponeva ricorso per cassazione avverso la sopra
ordinanza e concludeva chiedendo di volerla annullare.
impugnata per
censurava
l’ordinanza
Il
ricorrente
violazione di legge e per carenza della motivazione,
atteso che, a suo avviso, la Corte di appello non aveva
adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del dolo
o della colpa grave che costituisce causa impeditiva per
la
richiesto
per
dell’importo
riconoscimento
il
riparazione dell’ingiusta detenzione subita ed aveva
malamente interpretato le conclusioni a cui era giunto il
G.U.P. del Tribunale di Taranto nella sentenza di
assoluzione. Il ricorrente inoltre osservava che la corte
territoriale non aveva in alcun modo motivato in ordine
alla sussistenza del nesso causale tra l’asserita condotta
colposa e l’emissione del provvedimento restrittivo, né
era stata analizzata la sua condotta processuale al fine
di verificare la legittimità del mantenimento della
misura.
L’Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del
Ministero dell’Economia e delle Finanze presentava
tempestiva memoria e concludeva chiedendo di volere
rigettare il ricorso.

Considerato in diritto

ri

E3

Il ricorso è fondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione per
l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314 e ss.
c.p.p., trova fondamento nella condizione soggettiva della
persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso
ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è un quadro
di diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un
danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi che
producono il sorgere, quali conseguenze di principi di
solidarietà e di giustizia distributiva, di
responsabilità da atto lecito (la distinzione tra
responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e
responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass.
SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in materia,
l’assetto delle regole generalissime che disciplinano
l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il
procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta
detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il
rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, e’
tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la
conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i
della
domanda,
la
custodia
fatti costitutivi
cautelare subita e la successiva assoluzione
Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla
esistenza di una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione intesa a
cogliere tali condizioni deve scandagliare solo
l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel concorso
dell’altrui errore, secondo una valutazione ragionevole
e non congetturale il giudice a stabilire la misura della
detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000
n. 1705) .
Il giudice ,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia
dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente
dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto
dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi
di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha
ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione
come illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite,
Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).

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Tanto premesso si osserva che, nella fattispecie che ci
occupa, il giudice della riparazione non ha applicato
correttamente tali principi.
Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che il
procedimento penale nei confronti dell’istante era
iniziato a seguito delle indagini svolte a carico dei
legali rappresentati dell’istituto privato di fisioterapia
“Marangi”, di diversi medici, tra cui l’Acquista, e di
numerosi fisioterapisti dipendenti della struttura. Da
tali indagini era emerso che il predetto istituto erogava
ai pazienti prestazioni fisioterapiche rimborsabili dal
servizio sanitario nazionale, che, per quantità e
tipologia erano inadeguate alle esigenze di cura degli
assistiti. I medici che operavano nella struttura
redigevano piani terapeutici prescrivendo trattamenti
inappropriati alle patologie riscontrate dai medici di
base e sproporzionate alle esigenze di cura dei pazienti,
contribuendo in tal modo ad incrementare i profitti
dell’istituto e ad aumentare i loro compensi.
Il provvedimento impugnato ha ritenuto la sussistenza
della colpa grave dell’istante che impediva la concessione
dell’indennizzo e ha specificato che il consulente tecnico
nominato dal pubblico ministero aveva valutato come
inappropriato un unico piano terapeutico redatto dal
ricorrente; che i periti nominati dal G.U.P. avevano
esaminato 202 piani terapeutici predisposti dall’istante
e ne avevano valutato come inappropriati soltanto 6; che
il nominativo del medico era riportato in una missiva
manoscritta da tale Piero °ronzo Achille, altro medico
dell’istituto, condannato all’esito del procedimento,
indirizzata alla famiglia Marangi proprietaria della
struttura.
Tanto premesso si osserva che la Corte territoriale ha
fatto solo riferimento agli elementi a carico dell’istante
riportati nell’ordinanza di custodia cautelare, senza
specificare quali siano stati, in concreto,i comportamenti
dolosi o colposi del ricorrente che possano considerarsi
in rapporto di causa ad effetto rispetto alla detenzione.
In particolare dall’ordinanza impugnata non emerge quale
sia stato il comportamento incauto, posto in essere dal
ricorrente, che abbia avuto incidenza causale sulla
carcerazione preventiva, atteso che nel provvedimento
impugnato non vengono specificatamente indicate le
condotte poste in essere dall’istante che sarebbero in
rapporto di causalità con il provvedimento emesso e si fa
solo un generico riferimento a quanto riscontrato dai
consulenti del pubblico mistero e dal G.I.P. in relazione
all’attività posta in essere dal sanitario all’interno
della struttura oggetto di indagine. A tale proposito deve
essere posto in rilievo che solo un numero molto esiguo di
piani terapeutici redatti dal ricorrente (6 su 202) erano
stati ritenuti inappropriati dai consulenti tecnici

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L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata con
rinvio alla Corte di appello di Lecce-Sez.Dist. di Taranto
per nuovo esame.
PQM
Annulla la
alla Corte
demanda il
il presente

impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame
di appello di Lecce-Sez. Dist. di Taranto cui
regolamento delle spese tra le parti anche per
giudizio.

Così deciso in Roma il 29.05.2014

nominati dal P.M. e dal G.U.P. in relazione all’attività
posta in essere dal sanitario all’interno della struttura
sulla quale si stava indagando. Soltanto 6 su 202 pianti
terapeutici redatti dal ricorrente, che erano stati
esaminati, erano stati infatti ritenuti inappropriati e
rispetto a nessuno di tali piani terapeutici era stata
accertata una prescrizione eccessiva di cure rispetto alle
necessità del paziente. La Corte territoriale inoltre non
ha posto in evidenza se i piani terapeutici ritenuti
inappropriati erano caratterizzati da valutazioni
parzialmente erronee e se nella redazione degli stessi
poteva riscontrarsi dolo o colpa grave del sanitario che
potesse aver influito sulla emissione del provvedimento
cautelare. Inoltre nel provvedimento impugnato non è
indicato in quale modo l’eventuale condotta colposa del
ricorrente abbia influito anche sul mantenimento nei suoi
confronti del provvedimento restrittivo.
11 provvedimento in questione non appare quindi
congruamente motivato non avendo individuato la Corte di
appello quali condotte dolose o gravemente colpose abbia
posto in essere Acquista Carmine Alessandro che abbiano
avuto incidenza causale sull’adozione della misura
cautelare, non avendo altresì indicato le ragioni che
avevano reso necessaria la protrazione della detenzione da
lui subita.

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