Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28177 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28177 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAPERE CARMINE N. IL 26/06/1993
avverso l’ordinanza n. 33/2008 CORTE APPELLO di SALERNO, del
30/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette~le conclusioni del PG Dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 29/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 30/05/2013 la Corte di Appello di Salerno ha rigettato la domanda
di riparazione per ingiusta detenzione presentata da Sapere Alfonso, e da Sapere
Carmine in qualità di erede dopo il decesso del primo, in relazione alla
detenzione sofferta dal mese di novembre 1999 al mese di ottobre 2000 in
relazione ad un procedimento in cui Sapere Alfonso era indagato per i reati di cui
agli artt.110,416 bis, e 513 bis cod. pen. aggravato ai sensi dell’articolo 7 d.l. 13

conclusosi con assoluzione dal reato di concorso esterno in associazione
camorristica con sentenza del Tribunale di Salerno del 13/01/2003 e dal reato di
cui all’art. 513 bis cod. pen. con sentenza della Corte di Appello di Salerno.

2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condotta ostativa al diritto
alla riparazione per ingiusta detenzione sulla base delle seguenti specifiche
circostanze fattuali: a) il Tribunale aveva assolto Sapere Alfonso dall’imputazione
di concorso nel reato associativo di stampo camorristico per non essere stato
provato che l’attività posta in essere dall’imputato fosse finalizzata ad agevolare
il consolidamento del sodalizio criminoso, pur avendo accertato come pacifica
l’esistenza di rapporti di colleganza tra Sapere Alfonso e Procida Roberto, affiliato
a clan camorristico, che, oltre ad avere natura commerciale, consentivano a
Sapere Alfonso di ottenere, tramite il Procida, la fornitura di calcestruzzo e al
Procida di acquisire informazioni sulla costituzione di nuovi cantieri nell’ambito
del territorio di sua spettanza; b) nel corso di un’intercettazione ambientale del
14 aprile 1998 Sapere Alfonso aveva fornito al camorrista il nominativo delle
ditte che avevano ottenuto appalti nella Piana del Sele nonché gli importi dei
relativi lavori; c) in sede di interrogatorio di garanzia Sapere Alfonso aveva
sostenuto di conoscere il Procida dal 1992 e di averne assecondato le richieste
per il timore che fossero incendiati gli automezzi di sua proprietà, negando
l’esistenza del rapporto sinallagmatico emergente dagli atti istruttori; d) nel
corso di un’intercettazione ambientale del 4 giugno 1998 era emerso che Sapere
Alfonso fosse legato al Procida da rapporti caratterizzati da costanti e continui
contatti inerenti alla consegna di denaro e a trattative di vario genere, connotate
dall’intermediazione di Sapere Alfonso presso il Procida a favore di imprenditori
locali, ai quali veniva chiesto denaro per lavorare in sicurezza e tranquillità; e)
l’applicazione della misura cautelare era fondata, oltre che sull’obiettiva gravità
dei fatti ascritti, sulla esistenza di precedenti giudiziari concernenti fatti
assolutamente analoghi. Sulla base di tali elementi, la Corte territoriale ha
ritenuto che il richiedente avesse posto in essere una condotta gravemente
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maggio 1991, n.152, convertito con modificazioni dalla I. 12 luglio 1991, 203,

colposa, opinando che una persona dotata di minima diligenza avrebbe potuto
prevedere che quella particolare ed inequivocabile condotta di contiguità e di
cointeressenza con esponenti di pericolose organizzazioni criminali, che
mantenevano il controllo delle attività economiche ed imprenditoriali nella Piana
del Sete, avrebbe potuto provocare l’intervento dell’autorità.

3. Ricorre per cassazione Sapere Carmine, in qualità di erede di Sapere
Alfonso, deceduto il 29 settembre 2010, censurando l’ordinanza impugnata per

Secondo il ricorrente, la Corte di Appello non avrebbe tenuto in debita
considerazione che i fatti per i quali Sapere Alfonso era stato condannato erano
stati accertati negli anni che andavano dal 1985 al 1991, per cui non potevano
assumere valore di dolo o colpa grave nel presente procedimento. Il richiedente,
si assume, nel procedimento in relazione al quale era stato sottoposto a misura
cautelare, era persona offesa, avendo subito minacce dal clan di Procida
Roberto, come evidenziato nella sentenza di assoluzione; l’ordinanza della Corte
di Appello sarebbe manifestamente contraddittoria per non aver tenuto conto dei
motivi dell’assoluzione e per non aver esaminato gli interrogatori resi da Sapere
Alfonso all’autorità giudiziaria, nei quali vi era la prova della sua innocenza. Il
ricorrente sostiene che non vi sarebbe alcun elemento tale da poter ritenere
provato un comportamento inquadrabile in termini di dolo o colpa grave.

4. Il Procuratore Generale, in persona del dott. Francesco Salzano, nella sua
requisitoria scritta ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Occorre premettere che questa Corte, anche a Sezioni Unite (Sez. U
n. 43 del 13/12/1995,dep. 09/02/1996,Sarnataro,Rv.203638), ha ripetutamente
enunciato il principio che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta
detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del
giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato
e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice
della riparazione, il quale, pur dovendo eventualmente operare sul medesimo
materiale, deve seguire un percorso logico-motivazionale del tutto autonomo,
essendo suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste condotte si siano poste come fattore condizionante alla
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violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod.proc.pen.

produzione dell’evento `detenzione’; in relazione a tale aspetto della decisione il
giudice della riparazione ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale
acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la
ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, sia in senso positivo che negativo,
compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla
riparazione.
2.1. Questa Corte ha anche, ripetutamente, enunciato il principio che la
condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata

comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che
possono essere di tipo extraprocessuale o di tipo processuale.
2.2. Il presente ricorso si connota, con riferimento alle censure concernenti
la condotta ostativa descritta dalla Corte territoriale, per una sostanziale
ripetizione di argomentazioni difensive proprie del giudizio penale e difetta,
inoltre, di specificità ed autosufficienza nella parte in cui, censurando l’ordinanza
impugnata per aver travisato i fatti, richiama genericamente il contenuto della
sentenza assolutoria e di atti del processo di cognizione senza allegarli e senza
riportarne il testo.
2.3. Va in proposito osservato che, in tema di impugnazioni, il principio
secondo il quale alla Corte di Cassazione è consentito esaminare gli atti del
fascicolo nel caso in cui venga dedotto un motivo di natura processuale,
presuppone che nel ricorso venga quantomeno specificamente indicato l’atto dal
quale si ritiene derivino conseguenze giuridiche e che l’atto da esaminare sia
contenuto nel fascicolo processuale medesimo o che, comunque, la parte ne
richieda l’acquisizione al giudice di merito ovvero lo produca nel giudizio di
legittimità. Se invece questa indicazione non venga fornita o, sebbene fornita,
l’esame dell’eccezione richieda l’acquisizione di atti o documenti o notizie di
qualsiasi genere che non formano parte del fascicolo del processo, deve ritenersi
nel primo caso che il motivo sia inammissibile per genericità, non consentendo al
giudice di legittimità di individuare l’atto affetto dal vizio denunziato; nel secondo
caso che costituisca onere della parte richiederne l’acquisizione al giudice del
merito, se il problema si pone in questa fase, ovvero produrlo nel giudizio di
legittimità nei casi in cui la Corte di Cassazione sia anche giudice del fatto.
Diversamente, verrebbe attribuito al giudice di legittimità un compito di
individuazione, ricerca e acquisizione di atti, notizie o documenti del tutto
estraneo ai limiti istituzionali del giudizio di legittimità (Sez.U, n.39061 del
16/07/2009, De brio, Rv.244328; Sez.1, n.26492 del 9/06/2009, Bellocco,
Rv.244039; Sez.4, n.25310 del 7/04/2004, Ardovino, Rv.228953).

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dall’aver il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in

3. La Corte territoriale ha, peraltro, indicato analiticamente le precise e
circostanziate condotte, accertate nella sentenza assolutoria, che il richiedente
ha posto in essere, segnatamente la contiguità con esponenti di pericolose
organizzazioni criminali, desumendone con argomentazione esente da illogicità la
sussistenza di quella condotta ostativa che, a norma dell’art. 314 cod.proc.pen.,
esclude il diritto all’equa riparazione.

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto del ricorso

pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 29/05/2014

segue, a norma dell’art. 616 codice procedura, la condanna del ricorrente il

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