Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28174 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28174 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) ORRU’ GIANFRANCO, N. IL 5/9/1980,
avverso la sentenza n. 773/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di Cagliari il
5/12/2011;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Aniello Roberto, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Cagliari ha
confermato quella emessa dal Tribunale di Cagliari che ha dichiarato Orrù
Gianfranco responsabile, in concorso con Sitzia Francesco, del reato di
detenzione per uso non esclusivamente personale e di cessione a terzi di
sostanze stupefacenti del tipo hashish, di analogo reato di detenzione in
concorso con Mara Alessia Steri ed infine della cessione di droga in quantitativo
imprecisato per un corrispettivo di euro 22.600 e lo ha condannato, unificati i
reati sotto il vincolo della continuazione, concesse le attenuanti generiche,
equivalenti alla contestata recidiva e computata la diminuente per il rito, alla
pena di anni quattro mesi otto di reclusione ed euro 30.000 di multa.
In particolare, secondo l’accertamento operato nei gradi di merito,
1’8.2.2011 l’Orrù ed il Sitzia vennero scorti da alcuni carabinieri della Stazione di
Selargius mentre in via Negri di Quartu Sant’Elena venivano avvicinati da alcuni

Data Udienza: 12/04/2013

giovani, si allontanavano verso via Prati, quindi prelevavano qualcosa da un
pluviale e lo consegnavano ricevendo a loro volta delle banconote, che
intascavano.
Intervenuti, i militari rinvenivano nel tubo pluviale una scatola contenente
sostanza stupefacente; grazie alla perquisizione domiciliare eseguita a casa della
madre dell’Orrù si reperivano ulteriori 8 grammi di sostanza da taglio mentre la
donna consegnava 2600 euro; nella sua camera da letto veniva rinvenuta
l’ulteriore somma di euro 20.000. Estesa la perquisizione all’abitazione della

La Corte di Appello ha respinto il solo motivo proposto, relativo alla
mancanza di responsabilità dell’Orrù per la cessione del quantitativo di droga dal
quale, secondo la decisione di primo grado, aveva ricavato la somma di 26000
euro rinvenuta, e alla riferibilità di quest’ultima alla madre dell’Orrù. In
particolare essa ha ritenuto che la somma di 22.600 euro in contati fosse
provento dell’attività di spaccio dell’Orrù.
2.1. Ricorre per cessazione nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia
avv. Marco Antonio Lisu, deducendo vizio motivazionale in relazione al
trattamento sanzionatorio definito in grado di merito, sia sotto il profilo della
ritenuta recidiva che per quanto concerne la misura della pena.
Per il primo aspetto si osserva che l’imputato è gravato di un unico
precedente specifico, modesto e risalente nel tempo; i giudici di secondo grado
hanno omesso di indicare quali sono gli elementi sintomatici di una maggiore
capacità a delinquere dell’Orrù a seguito del nuovo reato. Non può, a tal
riguardo, essere sufficiente il generico richiamo all’entità del fatto e alla
personalità dell’imputato.
2.2. Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione alla ritenuta sussistenza della prova della cessione di
droga per 22.600 euro.
Si assume che la somma di denaro era stata sequestrata nella camera da
letto dell’abitazione della Falqui, la quale forniva spiegazioni del possesso della
stessa; per contro, il silenzio serbato dalla donna circa la presenza del denaro
non è sicuro elemento sintomatico della provenienza illecita dello stesso, perché
ben può spiegarsi con il timore che esso potesse essere sequestrato, stante le
attività illecite del figlio. Gli elementi indiziari valorizzati dalla Corte di Appello
evidenziano l’illogicità del significato ad essi attribuito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è parzialmente fondato, nei sensi di seguito precisati.
3.1. La sentenza di primo grado si limita ad enunciare il giudizio di
equivalenza della contesta recidiva con le concesse attenuanti generiche, senza

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Steri, vi venivano rinvenuti altri quantitativi di stupefacente.

tuttavia esplicitare le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente tale aggravante.
Con l’atto di appello era stato formulato uno specifico motivo al riguardo, ma
anche la Corte di Appello ha omesso di esplicare le valutazioni che l’hanno
condotta a confermare il giudizio impugnato.
Orbene, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che “il
rigetto della richiesta di esclusione della recidiva facoltativa, pur richiedendo
l’assolvimento di un onere motivazionale, non impone al giudice un obbligo di
motivazione espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita” (Sez. 2,
Tuttavia, nel caso che occupa, non è possibile ritenere che si sia in presenza
di motivazione implicita, giacché la Corte di Appello ha argomentato unicamente
in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto che la somma sequestrata presso la
Falqui sia da attribuirsi all’Orrù. Si versa, pertanto, in un caso di motivazione
omessa, che importa l’annullamento della sentenza iapu nata, limitatamente
alla ritenuta recidiva, con rinvio alla Corte di Appello di per l’ulteriore corso
sul punto.
4. L’ulteriore motivo di ricorso è infondato.
I rilievi che il ricorrente muove alla sentenza impugnata non colgono il
segno. La Corte di Appello ha richiamato l’inverosimiglianza delle dichiarazioni
della Falqui, per la quale la somma serviva ad un intervento di implantologia,
rilevando come essa non abbia documentato la prenotazione del medesimo o
fosse stato acquisito altro elemento che indicasse la prossimità dell’impegno, tale
da giustificare il deposito in casa dell’ingente somma piuttosto che presso una
banca. Ha poi rilevato il giudice di seconde cure che non è corrisponde al vero
che l’Orrù non frequentasse la casa della madre, come dimostrato dal fatto che
fu egli stesso a consegnare spontaneamente agli inquirenti la sostanza da taglio
occultata nella parte laterale di un computer. Infine, la Corte di Appello ha
spiegato che la circostanza dell’esser risalente a quindici anni prima la vendita
dell’appartamento che era stata indicata dall’imputato a dimostrazione della
provenienza lecita del denaro non permettesse di convalidare siffatta asserzione.
Trattasi di motivazione non manifestamente illogica, che non può essere
sindacata in sede di legittimità.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta recidiva e rinvia
sul punto alla Corte di Appello di Cagliari. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/4/2013.

n. 40218 del 19/06/2012 – dep. 12/10/2012, Fatale e altri, Rv. 254341).

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