Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28172 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28172 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

Data Udienza: 09/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PINI ANDREA N. IL 14/05/1950
FERRARO DOMENICO N. IL 24/01/1944
FERRARO MARIO N. IL 10/12/1948
avverso la sentenza n. 1387/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
04/07/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA VITELLI CASELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. EL„ 04, Vst mir
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv ,

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Uditi difensor (Avv.

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rì p, „_, <_1/4 4141. V ci-A' c"-.4 0_1/44 5 „La F 5. C0-1,0-A V e4 Ricorrenti PINI Andrea - FERRARCI Domenico FERRARO Mario. Ritenuto in fatto Il 9 aprile 2004, ad ore 17.00 circa, in comune di Tavarnelle Val di Pesa, il lavoratore Ferrarci Pasquale,dipendente della ditta "Agliana Società Consortile a quest'ultimo della società "D'Alessandro Giuseppe s.a.s.", al posizionamento di un tubo di sei metri per condotta fognaria sul fondo di uno scavo, profondo circa tre metri e largo meno di un metro,a causa dell'improvviso cedimento di una delle pareti della trincea, trovava la morte venendo sepolto dalla frana. Il compagno Abisso, pur colpito anch'egli dal movimento franoso, restava bloccato solo in parte e veniva tratto in salvo dall'immediato intervento degli altri operai ed addetti al cantiere. L'infortunio mortale si era verificato perché il terreno si presentava particolarmente instabile a causa delle abbondanti piogge dei giorni precedenti e soprattutto perché le pareti del profondo scavo non erano state protette da adeguate armature né alle stesse era stata data un'inclinazione adeguata e sufficiente ad inibire improvvisi e pericolosi crolli. Dell'imputazione di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica erano chiamati a rispondere, dinanzi al Tribunale di Firenze: PINI Andrea, coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione; FERRAR° Mario, in qualità di responsabile e direttore di cantiere della ditta "D'Alessandro s.a.s " e FERRARO Domenico che rivestiva, all'epoca il ruolo di preposto e di capo cantiere della stessa ditta. Al PINI, quale redattore del piano di sicurezza e di coordinamento per conto della ditta committente "Publiacqua s.p.a. ", si muoveva lo specifico addebito di aver disatteso l' obbligo di controllare in concreto l'osservanza dei suddetti piani di sicurezza,tenuto anche conto delle prescrizioni contenute negli altri piani operativi di sicurezza della ditte appaltatrici e subappaltatrici: D'Alessando s.a.s. e Agliana Società Consortile a r.l. e quindi di aver omesso di garantire l'incolumità degli operai. Il Pini aveva altresì mancato di esercitare lo specifico potere di sospensione dei lavori, previsto dalli art. 5 comma 1° lett. f) D. I.vo n. 494 del 1996 e successive modifiche, di cui era titolare nella qualità rivestita, una volta avvertito, ad ore 11,30 di quella stessa mattinata,da Tarocchi Gabriele, direttore dei lavori della società committente, della mancanza di adeguati mezzi di contenimento delle pareti dello scavo (quali le armature del tipo" bgndo - scavo" ) - benchè giunto alla profondità di quasi tre metri - nel quale erano - ciononostante - r.l." ,mentre era intento, insieme al compagno Abisso Aurelio, dipendente costantemente presenti, due lavoratori. Agli altri imputati, si addebitava l'inosservanza per colpa specifica e generica, di precisi obblighi loro incombenti in materia di sicurezza, in ragione delle specifiche qualifiche rivestite tantopiù che, nel corso della riunione tenutasi il 23 novembre 2004, cui avevano partecipato il PINI, FERRAR() Mario ed il Tarocchi, si era preso atto dei rischi per l'incolumità dei lavoratori che l'intervento di ripristino fognario avrebbe comportato, sottolineandosi la necessità di istruirli specificamente. La responsabilità di FERRAR() Domenico, presente in veste di preposto,quella lavoratori impegnati all'interno della trincea, era conseguita al fatto di non aver impedito, con ogni mezzo, a costoro di entrarvi. Analogamente FERRARO Mario, responsabile e direttore di cantiere della ditta "D'Alessandro Costruzioni s.a.s.", avendo piena consapevolezza di non aver adempiuto alle specifiche prescrizioni antinfortunistiche preodinate, in relazione alla natura delle lavorazioni in corso, a tutelare la incolumità dei lavoratori impegnati nello scavo, avrebbe dovuto Immediatamente recarsi al cantiere ed impedire anch'egli fisicamente la prosecuzione del lavoro nelle rilevate condizioni di pericolo. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza 4 luglio 2011, confermava la sentenza emessa il 10 dicembre 2007 dal Tribunale di Firenze che, riconosciuti gli imputati colpevoli del delitto loro ascritto, li aveva condannati alla pena di anni DUE di reclusione ciascuno, concesse le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata oltreché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, a ciascuna di esse liquidati con la stessa sentenza. Aveva altresì subordinato la sospensione condizionale della pena concessa a tutti gli imputati, all'effettivo pagamento, entro entro giorni centoventi dal passaggio in giudicato della sentenza,delle somme liquidate a titolo di risarcimento. Propongono gli imputati distinti ricorsi per cassazione, per tramite dei rispettivi difensori. PINI Andrea articola quattro motivi per vizi di violazione di legge, di seguito così riassunti. Con jt primo motivo deduce la mancata insorgenza, nei confronti del coordinatore per la sicurezza,dell'obbligo di sospensione dei lavori, previsto dall'art. 5 D.I.vo n. 494 del 1996 e succ.modif. ( sulla cui violazione faceva perno l'affermazione della penale responsabilità ). La ditta appaltatrice non aveva invero ottemperato all'obbligo di informarlo tempestivamente dell'inizio dell'attività lavorativa nel cantiere in cui si verificò l'infortunio mortale, anche in violazione di una specifica pattuizione contrattuale, non valendo, quale equipollente, la comunicazione telefonica ricevuta ad ore 11,30 di quella stessa mattinata allorchè il Pini si trovava a Pisa e quindi relativamente distante da Tavarnelle Val di Pesa. Secondo la difesa, in difetto dell'insorgenza dell'obbligo 2 stessa mattina, in cantiere e ben consapevole del pericolo che incombeva sui I giuridico, fonte della condotta attiva disattesa, l'evento mortale non avrebbe potuto esser imputato al Pini, ex art. 40 cpv. cod. pen. Con la secQnda ccosura, lamenta il ricorrente la violazione dell'art. 41 cod.pen. La condotta della vittima risultò priva della connotazione di prevedibilità, sostanziandosi in un comportamento eccezionale ed estemporaneo, gravemente imprudente, dal momento che il Tarocchi ( direttore dei lavori ) ed il prepostot Ferraro Domenico, prima dell'accaduto, ebbero occasione di informare i lavoratori della pericolosità del cantiere, mettendoli in condizione di apprendere compiere ( mediante l'impiego della benna meccanica per il posizionamento dei tubi ) e vietando loro espressamente di calarsi nello scavo. Con il terzo motivo si duole il difensore della ritenuta sussistenza della colpa, per avere la Corte distrettuale totalmente svalutato l'elemento dell'affidamento legittimamente riposto dall'imputato su quanto riferitogli dal direttore dei lavori in relazione alle condizioni di pericolo del cantiere e dell'avvenuta messa in sicurezza dello stesso. Il che avrebbe dovuto far propendere il Giudice d'appello sia per l' inesigibilità dell' obbligo per il coordinatore per la sicurezza, di esser fisicamente presente nel cantiere, per tutta la durata dei lavori sia per il difetto di prevedibilità ex ante dell'evento dal momento che il Pini fu informato dallo stesso direttore dei lavori che il cantiere versava in una condizione di pericolo" non attuale ". Con la quarta dogliangt, lamenta il ricorrente l'eccessività della pena, dovuta all'errata applicazione dell'art. 133 cod.pen. per aver omesso la Corte d'appello di tener conto degli elementi favorevoli alla posizione del Pini, pur emersi nel giudizio, che avrebbero consigliato una quantificazione del trattamento sanzionatorio, più prossima ai minimi edittali. Con ricorsi per la massima parte sovrapponibili, gli imputati FERRAR() Mario e FERRARO Domenico articolano due ordini di censure per vizi di violazione di legge e per vizi motivazionali, così sintetizzate. Con il primo motivo censurano le statuizioni della sentenza impugnata che, condividendo la ricostruzione della dinamica dell'incidente basata sulle inattendibili dichiarazioni del solo teste Abisso Aurelio, avrebbe erroneamente omesso di ritenere unico responsabile dell'evento il lavoratore deceduto per aver questi disatteso le espresse disposizioni impartite dal direttore dei lavori e dal capocantiere che gli avevano vietato di scendere nello scavo; ciò ad inequivoca smentita dell'assunto dei Giudici di seconda istanza secondo i quali Ferraro Domenico, non essendosi attivato in modo radicale al fine di esigere che nessuno entrasse nello scavo, avrebbe di fatto tollerato o consentito una siffatta pericolosa condotta. Da tanto era conseguito, secondo i ricorrenti, l'interruzione del nesso di causa, dovendo farsi risalire unicamente alla condotta della vittima 3 i rischi concreti cui erano esposti; provvedendo ad istruirli sulle operazioni da la causa dell'evento morte. Sostiene in particolare FERRARRO Mario che la Corte distrettuale,con argomenti illogici, lo avrebbe giudicato corresponsabile dell'evento per omessa ottemperanza ad un obbligo di intervento in cantiere cui non avrebbe mai potuto adempiere trovandosi, al momento del fatto, a 500 km. di distanza. Il ricorrente invero, ben lungi dall'aver implicitamente consentito la prosecuzione dei lavori alla condotta fognaria ( come si assume nella sentenza impugnata ) dopo essersi assicurato per telefono che il direttore dei lavori ed il direttore del cantiere (ivi presenti ) avevano provveduto a sospendere i lavori, a dello scavo, concordò con costoro, per l'indomani, una riunione al cantiere per stabilire le misure protettive da adottare. Con la seconda censura si dolgono i ricorrenti della sproporzione per eccesso del trattamento sanzionatorio applicato, avuto riguardo al concorso di colpa della vittima. Del tutto ingiustificata ritiene il difensore di entrambi gli imputati la subordinazione della sospensione della pena al risarcimento del danno posto che, essendo il cantiere Publiacqua spa coperto dall'assicurazione infortuni, l'effettiva esecuzione della pena restava subordinata alla eventuale inadempienza del terzo. In particolare il Ferrarci Mario,pur instando per la riduzione al minimo della pena, censura la mancata graduazione della responsabilità civile in considerazione del ruolo marginale da lui stesso svolto, attesochè, non essendo presente in cantiere al momento del fatto, non avrebbe potuto garantire la sospensione dei lavori,demandata al direttore dei lavori ed al capocantiere,invece presenti sul posto, alle cui determinazione si era necessariamente rimesso. Considerato in diritto Ricorsi Droposti da FERFtAR_Q Domenico e da FERRARO Mario. I ricorsi,come osservato quest'oggi anche dal Procuratore Generale, non si sottraggono alla declaratoria di inammissibilità, posta la deduzione di censure di merito (In gran parte costituenti reiterazione di quelle oggetto dei motivi d'appello ) non consentite nel giudizio di legittimità e peraltro palesemente infondate. Giova innanzitutto ricordare che, per consolidato, pacifico e risalente assunto giurisprudenziale di questa Corte, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente 4 causa delle condizioni di pericolo sopravvenute per l'incrementata profondità risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità deve risultare, per espressa previsione normativa, dal testo del provvedimento impugnato, ovvero - a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma 1°, lett. e), cod.proc.pen. dall'art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 - da "altri atti del quanto al vizio di manifesta illogicità - per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30). Sicchè, esulando dal poteri della Corte di cessazione quello di" rilettura" degli elementi di fatto, sui quali è basata la decisione impugnata - il cui apprezzamento resta riservato in via esclusiva al giudice di merito - non integra vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa - e per il ricorrente - più adeguata valutazione delle risultanze processuali ( cfr. S.U. n.6402 / 1997). Nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su di una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo. La Corte d'appello, diversamente dalle dedotte obiezioni, ha confermato il giudizio di colpevolezza di FERRAR° Domenico in esito alla complessiva ed organica valutazione delle emergenze istruttorie, come analiticamente evidenziate nella diffusa motivazione della sentenza di primo grado. Ha in particolare messo in luce che l'imputato, presente sul posto fin dalla mattina del giorno dell'infortunio (sopravvenuto alle ore 17 ) aveva avuto modo di constatare de visu unitamente al direttore dei lavori Gabriele Tarocchi (che, presentatosi anch'egli al cantiere nelle stesse ore, aveva ingiunto alla vittima di no stazionare nella trincea ) le condizioni di estrema pericolosità,per la •1.0D incolumità, cui gli operai erano esposti a cagione della Incrementata profondità raggiunta dallo scavo - privo delle armature di contenimento alle pareti - nel quale si trovavano a lavorare; ciò in dispregio al 5 procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame"; il che vuol dire - preciso disposto dell'art. 13 d.P.R. n. 164 del 1956. Ebbene questi, benchè titolare, in veste di preposto e di capocantiere, di poteri di supremazia gerarchica nei confronti dei lavoratori, non ottemperò al preciso dovere di vietare agli stessi di introdursi e di stazionare all'interno della trincea ed al correlativo obbligo di assicurare l'attuazione ed il controllo dell'ordine impartito al fine di salvaguardarne l'incolumità, così incorrendo nella violazione dell'art. 4 d.P.R. n.547 del 1955 e dall'art.4, comma 5 0 lett. h) D. I.vo n. 626 del 1994, citati nel capo di imputazione. Era invece accaduto che l'imputato di fatto continuassero l'intervento manutentivo alla conduttura fognaria (che avrebbe necessariamente richiesto la presenza di un addetto sul fondo della trincea al fine di provvedere manualmente alla congiunzione dei tubi, tanto non essendo possibile agendo con la benna meccanica, dal piano di campagna ) restando in tal modo fisicamente esposti al rischio di essere investiti dal crollo delle pareti dello scavo, non adeguatamente protette. A titolo esemplificativo i Giudici di secondo grado hanno perspicuamente evidenziato che, allo scopo di ottenere materialmente l'adempimento effettivo all'ordine di interruzione dei lavori, sarebbe stato sufficiente " condurre i lavoratori altrove con i mezzi aziendali con cui erano logicamente giunti sul posto ed impiegarli in altre operazioni; togliere loro la materiale disponibilità delle scale con cui scendere e risalire dalla trincee;o prelevare le chiavi di avviamento della benna - o comunque interromperne i circuiti - rendendo impossibile il proseguimento dello scavo ed il calaggio dei tubi che, essendo lunghi sei metri, certamente non potevano esser gestiti esclusivamente in modo manuale ". E' infine ovvio che, al fine prioritario di garantire l'incolumità dei lavoratori anche da condotte imprudenti ed avventate eventualmente da loro stessi poste in atto,in dispregio agli ordini ricevuti, l'osservanza di siffatte prescrizioni ingiunte dal preposto o dai superiori awl eL. a ¼- gerarchici doveva esser pretesa ed attuaegónseguita con atti d'imperio, Anche nel confronti di FERRARO Mario, in veste di responsabile e direttore di cantiere della s.a.s. "D'Alessandro Costruzioni " appaltatrice dei lavori di sostituzione di un tratto di fognatura comunale nei pressi del lago di Cortifedi, alla stessa commissionati dalla "Publiacqua " s.p.a., hanno evidenziato i Giudici di seconda istanza profili di indubbia responsabilità per l'infortunio mortale occorso a Ferrar° Pasquale, in coerenza con un 'ineccepibile lettura delle risultanze di fatto, congruamente motivata. In primo luogo si è sottolineata l'omessa, preventiva predisposizione contenimento e dei blindo - scavi, prescritta delle armature di sia dalla citata normativa antinfortunistica che dal POS e dal PSC in caso di scavi di profondità superiore a mt. 1,50. Inoltre l'imputato era incorso in un'ulteriore, grave colpevole 6 tollerò e consentì che sia Pasquale Ferraro che il compagno Abisso Aurelio omissione allorchè, appresa della situazione di pericolo sopravvenuta in cantiere a causa della ben maggiore profondità raggiunta dallo scavo, non si recò immediatamente nel cantiere al fine di "impedire fisicamente la prosecuzione de/lavoro negli stessi termini in cui avrebbe potuto fare, ma non fece, il fratello Domenico " risultando egli, ancor più di quest'ultimo, investito di poteri direttivi il cui esercizio avrebbe consentito di ottenere il rispetto degli ordini dettati al fine di garantire l'incolumità dei lavoratori, esposti a sì rilevante rischio. In coerenza con Il procedimento di logica inferenza cui è rilevando in contrario le generiche obiezioni del ricorrente, la Corte d'appello ha Inoltre sottolineato,anche in riferimento a Ferrara Mario, che l'aver rinviato all'indomani l' " incontro in cantiere con gli altri responsabili " di fatto comportò l'implicita ed egualmente colpevole autorizzazione alla prosecuzione ed al completamento dell' interventi sulla condotta fognaria " con strumenti e modalità operative del tutto insufficienti a garantire la sicurezza degli operai ". E' pertanto fuori discussione che l'evento morte dell'operaio trova causa nelle plurime omissioni ascritte a titolo di colpa sia generica che specifica ai predetti imputati, pacificamente titolari di posizioni di garanzia in rapporto ai ruoli gerarchici rivestiti nei confronti del lavoratore, da cui discendeva l'obbligo di attivarsi ai fini della salvaguardia della sua incolumità ( art. 40 cpv. cod.pen. ). Eguale giudizio di palese infondatezza va formulato in ordine alle censure dedotte dagli stessi ricorrenti in punto pena. La Corte distrettuale dedica due pagine della motivazione ( nn. 19 e 20 ) - alle quali in questa sede giova far riferimento - per esporre le argomentazioni - congrue e perspicue - in ordine alla gravità del fatto ed all'elevato "grado della colpa " che ha reso del tutto giustificata l'applicazione della pena in misura superiore al minimo edittale. Sul punto ha ineccepibilmente rilevato la Corte d'appello l'impraticabilità di una differenziazione del trattamento sanzionatorio, in particolare tra gli imputati Ferrara Domenica e Ferrara Mario posto che tutti ( ivi Incluso il Pini ) ebbero la "possibilità effettiva ed autonoma di scongiurare l'evento, ma nessuno fece nulla di decisivo ", rimarcando altresì conclusivamente che "ciascun imputato ha personalmente omesso quanto era adeguato e sufficiente a scongiurare l'evento ". Né - come pure evidenziato la Corte distrettuale - può obiettivamente affermarsi che la condotta imprudente della vittima abbia Integrato alcun fattore concausale dell'evento " poiché essa rappresenta proprio l'oggetto della tutela che deve esser approntata e la conseguenza delle omissioni contestate " agli imputati, di guisa che non è concepibile che essi possano giovarsi, di un qualsivoglia ridimensionamento " della gravità delle loro condotte " o del " livello della loro colpevolezza " , per non aver essi agito, per quanto fosse loro possibile, al fine di impedire l'evento morte 7 integralmente improntato l'iter argomentativo della sentenza impugnata, a nulla dell'operaio, militando Imprudenze. i presidi antinfortunistici anche a tutela delle proprie Confermata quindi pacificamente la sussistenza della responsabilità civile,la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno - oggetto di ulteriore censura dedotta con i ricorsi costituisce inoltre misura adeguata e giustificata a tutelare le ragioni delle parti civili, a fronte della già evidenziata gravità della condotta degli imputati. Tutto ciò premesso, osserva in conclusione la Corte che apparente, oltrechè infondata, risulta la deduzione dei vizi motivazionali intendendo in realtà una non consentita " rilettura " delle risultanze istruttorie poste a fondamento della impugnata sentenza. Attesa l'inammissibilità dei ricorsi,resta pacificamente precluso - anche per quanto attiene all'altro imputato PINI Andrea, come si dirà in seguito - il rilievo della sopravvenuta estinzione del reato per maturata prescrizione in data 9 giugno 2012 , in difetto di cause di sospensione, compiutosi quindi, successivamente alla pronunzia della sentenza d'appello ( 4 luglio 2011 ), il termine massimo di anni sette e mesi sei. Deve al riguardo considerarsi il tempus commissi delicti: 9 dicembre 2004; il titolo del reato: omicidio colposo di cui alli art. 589, comma 2° cod. pen. ( nel testo vigente all'epoca del fatto ) nella forma aggravata dalla specifica violazione della normativa antinfortunistica; la pena edittale in concreto applicata al reato dal Tribunale - e confermata in grado d'appello - all'esito del riconoscimento a tutti gli imputati delle attenuanti generiche dichiarate prevalenti sulla contestata aggravante, ferma l'applicazione nel caso di specie, ex art. 10, comma 3° della legge n. 251/2005, del più favorevole trattamento previsto dagli artt. 157, commi 1° n. 4 e comma 2° e 160 cod. pen., nella formulazione previgente. Alla stregua del consolidato e prevalente insegnamento della giurisprudenza di questa Corte ( cfr. ex multis: S.U. n.32 / 2000; Sez. 4 n. 18641/2004; S.U. n. 23428/2001), "l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. " Segue, per legge, la condanna dei ricorrenti FERRARO Domenica e FERRAR° Mario al pagamento delle spese processuali ed anche al versamento di euro 1.000,00, ciascuno, in favore della cassa delle ammende, trattandosi di inammissibilità per causa riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, degli stessi: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000). Ricorso proposto da PINI Andrea. 8 entrambi i ricorrenti, attraverso le riferite doglianze, indurre questa Corte ad Osserva preliminarmente il Collegio che lo stesso reato di omicidio colposo contestato anche all'imputato PINI Andrea - risulta, alla data odierna, estinto per il definitivo compimento del termine massimo di prescrizione di anni sette e mesi sei, richiamata le considerazioni poc'anzi illustrate, alla quali si rinvia per economia di esposizione. Ex art. 129 cod. proc. pen. deve quindi farsi luogo a conforme declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione. Né presenta il ricorso profili di inammissibilità a tanto ostativi come emerge dai motivi dedotti dal svolte dalla Corte d'Appello di Firenze nell'impugnata sentenza. Il gravame prospetta invero doglianze ( infondate ) concernenti tematiche attinenti a vizi di erronea interpretazione od applicazione della legge penale sostanziale, con specifico rilievo alla ritenuta sussistenza del nesso eziologico e dei contestati profili di colpa. Nè tuttavia sussistono le condizioni di legge per la sussumibilità del caso nella previsione dell'art. 129, 2° comma cod. proc. pen. Il sindacato di legittimità ai fini dell'eventuale applicazione dell'art. 129, secondo comma cod. proc. pen. resta invero circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti, ictu °culi, evidente, sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 cod. proc. pen., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, prevale l'esigenza della definizione immediata del processo. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui già risulti una causa di estinzione del reato, financo la sussistenza di una nullità ( pur se di ordine generale) non è rilevabile nel giudizio di cassazione, "in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva" (in tal senso, ex plurimis: S. U. n. 1021 / 2001; S. U. n. 35490/2009). Come pure è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti, agli effetti penali, finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione (sia con riferimento alle valutazioni del compendio probatorio, sia con riferimento al vaglio delle altre deduzioni). Nella concreta 9 ricorrente e riassunti in narrativa (cui si rinvia) in relazione alle argomentazioni fattispecie la Corte distrettuale, nel far luogo alla reiezione dei motivi d'appello ha invero ritenuto di affermare, con motivazione congrua e strettamente coerente con le risultanze ( volendo in sintesi anticipare quanto in appresso si preciserà agli effetti del disposto dell'art. 578 cod proc. pen.) che la penale responsabilità del Pini, in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione dei cantieri Publiacqua s.p.a., discendeva dal mancato esercizio, per negligenza ed imprudenza, degli autonomi poteri di intervento,previsti dall'art. 5, lett. f) D.I.vo n.494 del 1996, come modificato apprezzamento discrezionale, alla sospensione delle lavorazioni sino all'avvenuto adeguamento delle condizioni di sicurezza, una volta appreso alle ore 11,30 di quella stessa mattina per telefono da Tarocchi Gabriele,direttore dei lavori, della situazione di estrema pericolosità in cui si operava nel cantiere aperto nei pressi del lago di Cortifedi in comune di Tavernelle Val di Pesa. L'impugnata sentenza deve pertanto essere annullata senza rinvio, ai fini penali, nei confronti di PINI Andrea,perché il reato è estinto per prescrizione. La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta, ex art. 578 cod.proc.pen. l'obbligo di esaminare compiutamente i motivi di impugnazione,in tale ottica rilevanti e, di conseguenza, anche il materiale probatorio acquisito, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (in tal senso, ex plurimis, S. U. n. 35490/2009, Tettamanti). Nè può giungersi alla conferma della condanna al risarcimento del danno (sancita dal Giudice di prime cure e condivisa dalla Corte d'appello ) in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129, comma 2° cod.proc.pen. A tali fini civili il ricorso deve essere rigettato, per l'infondatezza delle censure dedotte dal difensore in punto responsabilità. Con la prima e con la terza censura, il difensore ripropone in questa sede doglianze già portate,con l'atto d'appello, all'attenzione del Giudice di seconda istanza la cui fondatezza risulta quindi già ampiamente confutata con la motivazione della sentenza impugnata che dà esaustiva contezza dell'insussistenza dei denunziati vizi di violazione di legge. In sintesi, come peraltro testè si è anticipato, ha preliminarmente la Corte d'appello escluso, in termini del tutto perspicui e dando logica prevalenza alla reale ed effettiva conoscenza,comunque conseguita, che il Pini, nella specifica veste ricoperta sopra ricordata, potesse andare esente da responsabilità, contrariamente a quanto da lui stesso sostenuto, avendo ricevuto comunicazione delle condizioni del cantiere con mezzo diverso dal fax inviato entro le ore otto del mattino, come contrattualmente stabilito. Invero è del tutto pacifico che il Pini, fin dalle ore 11,30 del 9 dicembre 2004, fu avvertito per telefono dal direttore dei lavori lo dall'art. 1 dei D.I.vo n. 528 del 1999, finalizzati, con esclusione di qualsivoglia Tarocchi " dell'operatività del cantiere e dei relativi profili di criticità ", come si legge in ricorso. Sicché da tale momento egli avrebbe dovuto ottemperare alle chiare prescrizioni dettate dall'art.5 lett. a) D.I.vo n. 494 / 1996 come modificato dall'art. 1 del D.I.vo n. 528 / 1999 ( integrante uno specifico profilo di colpa espressamente contestato nel capo d'accusa ). Si sarebbe quindi dovuto recare al cantiere per verificare in concreto l'osservanza delle prescrizioni fissate dai relativi piani di sicurezza e di coordinamento e " la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro ". Una volta soddisfatto detto preciso obbligo di telefono ( raggiunto il cantiere posto a non eccessiva distanza da Pisa ove il Pini si trovava al momento della ricezione della comunicazione dei Tarocchi ) all'imputato non restava altra alternativa che disporre, a' sensi dell'art. 4 dall'art.5 lett. f) D.I.vo n. 494 / 1996 come modificato dall'art. 1 del D.I.vo n. 528 / 1999, l'immediata sospensione delle operazioni in corso eventualmente anticipando detta determinazione con un fax o con una comunicazione telefonica o con altro mezzo, in via di urgenza. Lo stesso coordinatore per la sicurezza avrebbe poi dovuto assicurarsi della materiale ed effettiva interruzione dell'attività lavorativa del cantiere, " allertando " in caso di " irragionevole opposizione " (come sottolineato dalla Corte d'appello ) l'Autorità amministrativa competente o le stesse forze dell'ordine, al fine di impedire il verificarsi dell'evento. Né obiettivamente appariva praticabile una diversa alternativa. Per salvaguardare l'incolumità degli operai esposti al concreto rischio di crollo delle pareti della trincea, nella quale lavoravano ad una profondità di oltre tre metri dal piano di campagna benché priva delle prescritte armature di contenimento o dei blindo-scavi, ciò costituiva l'extrema ratio cui ricorrere. In siffatte omissioni, comunque connotate da generica negligenza e leggerezza, in corretta applicazione della normativa di riferimento, la Corte d'appello ( e prima il Tribunale ) ha ravvisato i contestati profili di colpa. Né appare legittimamente sostenibile,come assume il ricorrente, l'insussistenza della colpa per difetto dei requisiti delle prevedibilità ed evitabilità ex ante, dell'evento. Il Pini era investito di un autonomo potere ( non residuale né eccezionale ) previsto dall'art. 5 lett. f ) del citato D.I.vo, chiaramente preordinato a finalità cautelari. Come già rilevato, l'omesso esercizio di siffatta prerogativa ha integrato la colpa specifica contestata,cui risale una concausa dell'evento. A tale scopo l'imputato avrebbe dovuto preventivamente porre in atto fattivi comportamenti, attraverso i quali, in ragione del ruolo rivestito, sarebbe stato in grado di prendere personalmente e direttamente contezza dello stato di fatto. Ciò quindi escludeva che potesse aver rilevanza nello specifico contesto - fino al punto di escludere la colpa,secondo la tesi sostenuta dal Pini, l' "affidamento " riposto in quanto 11 verifica diretta della fondatezza di tale stato di fatto, rappresentatogli per riferitogli per telefono dal Tarocchi, direttore dei lavori circa le condizioni di pericolosità in cui si svolgevano le operazioni di manutenzione della conduttura fognaria cui il predetto avrebbe ovviato ingiungendo sul posto agli operai di sospendere le lavorazioni tantochè per il mattino seguente era stata fissata una riunione nella quale adottare le decisioni necessarie alla prosecuzione dell'attività nel cantiere. Come già osservato, ciò non escludeva la prevedibilità dell'evento ( persistendo le condizioni di pericolosità in cui versava il cantiere, ben note al Pini) essendo per l'incolumità dei lavoratori, non fosse sufficiente, nella situazione data, il mero ordine verbale di interruzione del lavoro. Era invece perfettamente esigibile,a1 fine di impedire, la condotta attiva, sopra descritta, colpevolmente omessa dal Pini. La Corte d'appello ha poi del tutto correttamente fatto discendere dall'inottemperanza di siffatto, specifico obbligo di impedire l'evento ( scaturente dalla posizione di garanzia da cui il coordinatore per la sicurezza era Investito ex lege e contrattualmente ) la sussistenza del nesso di causalità ex art. 40 cpv. cod.pen. Né, passando succintamente a trattare il secondo motivo, appare obiettivamente configurabile una prospettata interruzione del nesso causale per effetto della condotta dell'operaio deceduto per aver continuato a lavorare stazionando sul fondo della trincea, nelle descritte condizioni di estrema pericolosità, in dispregio al divieto verbalmente espressogli da Ferraro Domenico e dal direttore dei lavori Tarocchi, non ricorrendo l'ipotesi, come già osservato dai Giudici d'appello dell' "elemento causale autonomo e sopravvenuto " dotato di una siffatta, eccezionale ed esclusiva efficacia. Deve osservarsi che, da un lato, non ricorreva sicuramente il requisito dell'abnormità o dell'eccezionalità della condotta, peraltro rientrante pacificamente nelle mansioni del lavoratore e che, dall'altro,in difetto dell'esercizio del potere di sospensione delle operazioni da parte del Pini e di quello di controllo e di verifica dell'ottemperanza degli stessi ordini verbalmente impartiti dal preposto e dal direttore dei lavori appariva del tutto prevedibile la condotta attuata dall'operaio, tendenzialmente Incline a violare le regole cautelari dettate a tutela della propria incolumità, com'è del pari notorio secondo la comune esperienza. Osserva quindi conclusivamente il Collegio che,nella concreta fattispecie, la trama argomentativa della decisione impugnata fornisce logica contezza non solo della insussistenza della prova evidente della innocenza dell'imputato PINI (per quanto possa rilevare ai fini penali, per come sopra si è detto), ma anche della sussistenza di elementi di giudizio di evidente ed univoco segno contrario, giustificativi delle rese statuizioni civilistiche. 12 ragionevolmente ipotizzabile ex ente che, a scongiurare eventi pregiudizievoli Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da Ferraro Domenico e da Ferraro Mario ed al rigetto del ricorso proposto da Pini Andrea agli effetti civili consegue la condanna di tutti i ricorrenti in solido, alla rifusione, in favore delle costituite parti civili, delle spese relative a questo giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.500,00 (tremila), oltre accessori come per legge. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di PINI Andrea perché Il reato è estinto per prescrizione. Dichiara inammissibili i ricorsi di Ferraro Domenico e di Ferraro Mario che condanna al pagamento delle spese processuali e - ciascuno - al pagamento della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. Conferma le statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori, come per legge. Così deciso in Roma,lì 9 aprile 2013. PQM

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