Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28170 del 28/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28170 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PANUCCIO GIULIANO N. IL 06/01/1987
avverso l’ordinanza n. 89/2014 TRIB. LIBERTA’ di GENOVA, del
25/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
151K/sentite le conclusioni del PG Dott. ALA9E4o PoHPEo v ot A
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Data Udienza: 28/05/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 25/2/2014 il Tribunale di Genova, ritenuta la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari e la
inadeguatezza di altre misure, rigettava la richiesta di riesame proposta da
Panuccio Giuliano avverso l’ordinanza emessa in data 14/1/2014 con la quale il
G.I.P. del Tribunale di Imperia ha applicato nei suoi confronti (e di altri
coindagati) la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione al reato p.

contestato perché «con più azioni in violazione della medesima disposizione di
legge, talvolta anche in concorso con altri e previo accordo, vendeva o
comunque cedeva sostanza stupefacente tipo cocaina (in quantità volta a volta
imprecisate ma comunque corrispondenti per lo più a singole dosi da strada) a
vari soggetti»: fatti accertati tra il 13/3/2013 e il 5/5/2013.

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il predetto
indagato sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo deduce inosservanza di norme processuali relative
all’interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen., nonché vizio di
motivazione in relazione al rigetto della preliminare eccezione di inefficacia della
misura per nullità dell’interrogatorio di garanzia.
L’eccezione era stata proposta sotto il duplice profilo della mancata
concessione al difensore della possibilità di conferire in modo riservato con il
proprio assistito prima dell’interrogatorio, essendo stato tale colloquio
consentito, su indicazioni del caposcorta, in un luogo ove erano presenti quattro
agenti penitenziari a distanza inferiore a 3 m e, inoltre, della mancata
contestazione all’indagato del fatto attribuitogli, degli elementi di accusa esistenti
contro di lui e delle fonti relative, essendosi il giudice limitato a sincerarsi che
l’interrogando avesse ricevuto copia dell’ordinanza custodiale («unico atto precisa il ricorrente – in possesso di quel giudice»), la quale però faceva
riferimento ed era fondata su una copiosa serie di atti d’indagine.
Il ricorrente si duole del rigetto di tale eccezione, deducendo l’inconducenza
delle motivazioni al riguardo addotte nell’ordinanza impugnata: motivazioni
rappresentate, da un lato, dal rilievo che il difensore aveva comunque «avuto
modo di conferire con l’arrestato … sia pure alla necessaria presenza degli agenti
di polizia penitenziaria», il cui allontanamento era da ritenersi incompatibile con
le esigenze di sicurezza e il regolamento di polizia penitenziaria, e, dall’altro,
dalla considerazione che l’indagato aveva ricevuto rituale notifica dell’ordinanza
2

e p. dagli artt. 81 cpv., 110 cod. pen. e 73 comma 1 d.P.R. 309/90 a lui

cautelare.
Osserva, infatti, che, quanto alla prima doglianza, piuttosto che farsi
condizionare dalle indicazioni della polizia penitenziaria, il G.I.P. avrebbe potuto
e dovuto preservare le rappresentate esigenze di difesa, collocando il detenuto e
il difensore nella apposita camera di consiglio ubicata accanto all’aula di udienza,
agevolmente controllabile, attraverso le due porte di cui era dotata, dai quattro
agenti di scorta presenti; quanto alla seconda, che la mera ricezione
dell’ordinanza custodiale non soddisfa il diritto dell’indagato di ottenere una

atteso che a tal fine egli avrebbe dovuto avere cognizione anche del copioso
incarto (oltre 500 pagine di indagini preliminari, contenenti intercettazioni e
annotazioni di P.G.) sul quale la stessa era fondata.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e alla
pure affermata inadeguatezza di misure meno afflittive.

Considerato in diritto

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Il primo motivo di ricorso deve invero ritenersi inammissibile, sotto
entrambi i profili evidenziati.
È al riguardo assorbente il rilievo che, come questa S.C. ha avuto modo di
affermare, non è deducibile, né rilevabile d’ufficio, la questione inerente
all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o
comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., a
nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi
genetici del provvedimento impugnato, sicché la stessa non può costituire
oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 4817 del
23/10/2012 – dep. 30/01/2013, Russo, Rv. 254447)
Si è al riguardo invero condivisibilmente evidenziato che nel procedimento
incidentale di riesame disciplinato dall’art. 309 cod. proc. pen. – e nel successivo
giudizio di Cassazione – non sono deducibili, né rilevabili di ufficio, in difetto di
espressa previsione da parte del citato art. 309, questioni relative all’inefficacia
della misura cautelare diverse da quelle concernenti l’inosservanza dei termini
stabiliti dai commi 5 e 9 dello stesso articolo.
Soltanto quest’ultima – sanzionata dal successivo comma 10 con la
automatica perdita di efficacia dell’ordinanza impositiva della misura cautelare 3

rituale contestazione dell’accusa ai sensi dell’art. 65, comma 1, cod. proc. pen.,

può a piena ragione essere dedotta in sede di riesame (nonché essere
eventualmente rilevata, anche di ufficio, in Cassazione, a seguito del ricorso
avverso l’ordinanza di riesame), poiché il giudice della procedura incidentale di
impugnazione è, in quanto tale, non soltanto giudice della propria competenza,
ma anche giudice della regolare instaurazione del contraddittorio e della validità
di ogni suo atto, e quindi del rispetto dei termini che la procedura incidentale
deve rispettare; peraltro, detta inosservanza sarebbe rilevabile in base a dati
oggettivi, documentalmente verificabili, che non richiedono accertamenti

Invero, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per la
omissione o la nullità dell’interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen.
(costituente atto successivo all’adozione del provvedimento cautelare) risulta del
tutto estranea all’ambito del riesame, dovendo, invece, formare – per espressa
previsione di legge – oggetto di istanza al giudice del procedimento principale, il
cui provvedimento, pronunciato ai sensi degli artt. 302 e 306 cod. proc. pen.
(che sistematicamente precedono l’art. 309 cod. proc. pen. – dal cui ambito,
pertanto, esulano -, ed esplicitamente attribuiscono proprio al giudice del
procedimento principale una specifica competenza ad hoc), è soggetto all’appello
previsto dall’art. 310 cod. proc. pen., con possibilità di successivo ricorso per
Cassazione in forza dell’art. 311 cod. proc. pen..
D’altro canto, l’art. 306 cod. proc. pen è già stato autorevolmente
interpretato «nel senso che competente a dichiarare la caducazione di una
misura cautelare sia esclusivamente il giudice del procedimento (principale o
incidentale) nell’ambito del quale si è verificato l’evento che l’ha determinata»

(così, in motivazione, Sez. U, n. 14 del 31/05/2000, Piscopo, Rv. 216261).

2.1.1. Va, inoltre, evidenziato che il procedimento di riesame è preordinato
alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare,
e non anche di quelli incidenti sul protrarsi dell’applicazione della misura
disposta: ciò conferma ulteriormente che non è consentito dedurre con tale
mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante
dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti.
Ne consegue che esulano dall’ambito del riesame le questioni relative a
mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art.
294 c.p.p., le quali, inerendo a vicende che prescindono de tutto dall’ordinanza
oggetto di gravame, si risolvono in vizi processuali che non possono inficiare
l’intrinseca legittimità di quest’ultima (alla cui verifica soltanto è legittimato il
giudice del riesame), ma, operando sul diverso piano della persistenza della
misura, ne importano l’estinzione automatica che deve essere disposta all’esito
4

incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità.

di un distinto subprocedimento (come detto, con l’ordinanza specificamente
prevista dall’art. 306 c.p.p., appellabile ex art. 310 c.p.p.).
A tali conclusioni, sia pur incidentalmente, sono di recente giunte le Sezioni
Unite di questa Corte Suprema (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, P.M. in proc.
Polcino, non mass. sul punto), a parere delle quali «l’estinzione di una misura
cautelare può (…) verificarsi ope legis, per caducazione automatica conseguente
al verificarsi di determinati eventi che non incidono di regola, né sulla validità del
provvedimento applicativo, né sui presupposti di applicazione della misura; si

misura ma non ne precludono la rinnovazione, salve le limitazioni previste
dall’art. 307 cod. proc. pen. per la sostituzione della custodia cautelare caducata
per decorso dei termini massimi di durata. E per questa ragione la
giurisprudenza ha sempre escluso che le cause di caducazione ope legis delle
misure cautelari personali possano essere dedotte con le impugnazioni
proponibili contro le ordinanze applicative. In particolare deve escludersi che con
la richiesta di riesame possa essere dedotta la caducazione della custodia
cautelare per omissione o invalidità dell’interrogatorio ex art. 294 cod. proc.
pen., che va dedotta con richiesta al giudice per le indagini preliminari, in quanto
non attiene alle condizioni di legittimità e di merito per l’adozione della misura».

2.2. Con riferimento poi al secondo motivo, giova rammentare in premessa
che, secondo costante insegnamento, in sede di ricorso ex art. 311, comma 2,
cod. proc. pen., la motivazione del provvedimento che dispone una misura
coercitiva è censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice
di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi
logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato
l’applicazione della misura (Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, Alberti, Rv.
215331); il controllo di logicità deve pertanto rimanere all’interno del
provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa
valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti
de libertate, a una diversa valutazione dello spessore degli indizi e delle esigenze
cautelari (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, Martorana, Rv. 210019).
Nel caso di specie il Tribunale del riesame ha motivato in modo compiuto e
intrinsecamente coerente in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari,

sub

specie di pericolo di reiterazione di altri fatti della stessa specie, rilevando in
particolare che il coinvolgimento dell’indagato nel settore dello spaccio di
5

tratta, quindi, di eventi sopravvenuti che determinano la perdita di efficacia della

stupefacenti «emerge dalle numerose telefonate e dal precedente arresto come
abituale e continuativo», di tal che la misura più rigorosa si impone anche come
l’unica idonea a «garantire in modo certo l’interruzione dei contatti tra l’indagato
e i suoi numerosi clienti, ai quali egli era noto come punto di riferimento
facilmente contatta bile mediante contatti telefonici altrimenti suscettibili di
ripresa in caso di attenuazione della misura in atto».
Una tale motivazione si sottrae, nel suo complesso, a censure di manifesta
contraddittorietà o illogicità o di incongruenza rispetto all’esigenza di rendere

Per contro le censure del ricorrente non si confrontano con ciascuno degli
argomenti indicati nel provvedimento impugnato, ma esprimono per lo più un
contenuto genericamente e apoditticamente critico verso la valutazione operata,
come tale estraneo ai limiti del sindacato consentito in questa sede.

2.3. Giova infine rilevare che la descrizione del fatto e della personalità
dell’indagato motivano adeguatamente, sia pure per implicito, l’esclusione della
configurabilità, allo stato, del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. cit., potendosi pertanto anche sotto tale profilo apprezzare la piena
legittimità dell’ordinanza, restando la stessa, per tal motivo, non interessata alle
modifiche normative che da ultimo, come noto, hanno riguardato detta ipotesi.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p.
Così deciso il 28/05/2014

comprensibile e controllabile il fondamento della decisione.

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