Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28169 del 28/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28169 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EL ALAMI MUSTAPHA N. IL 01/01/1970
avverso l’ordinanza n. 79/2014 TRIB. LIBERTA’ di GENOVA, del
28/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
~sentite le conclusioni del PG Dott. A

cLL

L.

Uditi

ensor Avv.;

Data Udienza: 28/05/2014

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 31.01.2014, il G.i.p. presso il Tribunale di Genova,
rilevava che con sentenza in data 28.03.2013, resa dal medesimo G.i.p., l’imputato
El Alami Mustapha era stato condannato alla pena di anni otto di reclusione; che
stante la complessità della motivazione della sentenza, anche per il numero degli
imputati, il giudice aveva indicato in dispositivo ai sensi dell’art. 544, comma 3,
cod. proc. pen., il termine di novanta giorni per il deposito della motivazione; che, a

alla custodia cautelare in atto, restava sospeso durante la pendenza del termine per
la redazione della motivazione della predetta sentenza; che, conseguentemente, il
termine di fase sarebbe andato a scadenza in data 25.06.2014.
Il G.i.p. rilevava, inoltre, che nel caso di specie si era verificata una ipotesi di
sospensione obbligatoria dei termini di fase della custodia cautelare e che in tale
ipotesi il giudice provvede di ufficio.
2. Il Tribunale di Genova, sull’appello proposto dalla difesa dell’imputato
avverso la richiamata ordinanza del G.i.p., considerava che nel caso in cui il giudice
abbia indicato un termine per il deposito della sentenza, ai sensi dell’art. 544,
comma 3, cod. proc. pen., si verifica una proroga ex lege anche del termine di fase
della custodia cautelare, con conseguente effetto meramente dichiarativo della
relativa ordinanza di proroga, pur necessaria, per consentire alle parti di interporre
appello, ex art. 310 cod. proc. pen., per il caso di eventuale abnormità della
disposta proroga. Ciò posto, il Collegio osservava che, nella fattispecie, il termine di
fase sarebbe venuto a scadenza in data 27.06.2014.
Sotto altro aspetto, il Tribunale rilevava che l’eccezione difensiva, relativa
alla mancata traduzione in lingua araba della predetta ordinanza di sospensione del
termine, era priva di pregio. Il Collegio osservava che la direttiva comunitaria citata
dalla difesa era di contenuto generico e non indicativa del novero degli atti
processuali che necessitano di traduzione; e che difettava una indicazione
legislativa nazionale al riguardo, che precisasse il campo di applicazione della
predetta direttiva.
Il Collegio considerava, inoltre, che il provvedimento impugnato non incideva
autonomamente sulla libertà personale dell’imputato in considerazione dell’effetto
meramente dichiarativo dell’ordinanza e della efficacia ex lege della sospensione dei
termini di fase, nel caso di indicazione di un termine per il deposito della sentenza
ex art. 544, comma 3, cod. proc. pen.; ed osservava che la sentenza resa dal G.i.p.
di Genova, all’esito del rito abbreviato, contenente pure le ragioni che avevano
determinato la proroga del termine di 90 giorni, era stata tradotta in arabo a cura
dell’ufficio procedente.

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mente dell’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il termine di fase relativo

3. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione El
Alami Mustapha, a mezzo del difensore.
La parte, con unico motivo, deduce la violazione di legge, in relazione alla
direttiva 2010/64/EU del 20 ottobre 2010.
L’esponente, dopo avere ripercorso i termini di fatto della vicenda, chiarisce
che non intende ulteriormente coltivare le doglianze, già dedotte in sede di appello
avverso l’ordinanza del G.i.p. resa il 31.01.2014, relative ai motivi che avevano
indotto il giudicante ad indicare il termine di 90 giorni per il deposito della sentenza

dell’intervenuto deposito della motivazione oltre il termine indicato. Al riguardo, la
parte evidenzia che intende coltivare unicamente il secondo motivo che era stato
dedotto in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., relativo alla mancata
traduzione in lingua araba dell’ordinanza resa il 31.01.2014.
La parte osserva di non condividere le motivazioni espresse dal Tribunale di
Genova, sul punto di interesse.
L’esponente considera che la Direttiva 2010/64/EU vincolava l’Italia ad
adottare misure normative idonee a tutelare il diritto dell’imputato alloglotta alla
interpretazione ed alla traduzione degli atti nel corso del processo penale; e
considera che, in difetto di misure adottate dal legislatore nazionale, il giudice deve
dare diretta applicazione alla direttiva self executing e disapplicare le norme interne
confliggenti con i principi stabiliti dalla direttiva.
Il ricorrente rileva che la Direttiva 2010/64/EU fa riferimento agli atti
processali che privano della libertà personale l’imputato; e ritiene che l’ordinanza ex
art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., dilatando il termine massimo di
custodia cautelare, rientri tra gli atti che devono essere tradotti. Osserva che la
giurisprudenza di legittimità sembra escludere il carattere meramente dichiarativo
della predetta ordinanza, avendo chiarito che il meccanismo del contraddittorio
differito, previsto dall’impugnazione ex art. 310 cod. proc. pen., può essere
proposto per contrastare l’uso distorto della stessa scelta di differimento dei termini
ex art. 544, comma 3, cod. proc. pen.
Osserva l’esponente che la traduzione dell’ordinanza in oggetto avrebbe
consentito all’imputato di proporre personalmente diverse ragioni di censura, posto
anche mente al fatto che El Alami si trova ristretto nella Casa Circondariale di
Pesaro, circostanza che pure limita la possibilità di dialogo tra il prevenuto e lo
scrivente difensore. Considera, infine, che ai fini di interesse, non assume rilievo
l’intervenuta traduzione in lingua araba della motivazione della sentenza di
condanna.
3.1 La parte ha depositato memoria difensiva evidenziando che
successivamente alla redazione del ricorso è entrata in vigore la normativa
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ex art. 544 comma 3, cod. proc. pen. e pure afferenti alla circostanza

nazionale di recepimento della direttiva 2010/64/UE, con decreto legislativo
4.03.2014, n. 32.
Considerato in diritto
4. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.
4.1 Con riguardo alla intervenuta parziale rinunzia agli originari motivi di
doglianza, osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non
opera il principio della necessità della procura speciale, ai fini della validità della
rinuncia del difensore alla impugnazione, nel caso in cui quest’ultima non investa

(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3820 del 10/01/2013, dep. 24/01/2013, Rv. 254567).
Pertanto, deve ritenersi che validamente, nel caso di specie, il difensore ha
rinunciato ai motivi di doglianza afferenti alle ragioni per le quali il G.i.p. presso il
Tribunale di Genova ha indicato il termine di 90 giorni per il deposito della sentenza
ex art. 544 comma 3, cod. proc. pen., come pure relativi all’intervenuto deposito
della motivazione oltre il termine indicato.
4.2 Si viene, quindi, ad esaminare la questione relativa alla mancata
traduzione in lingua araba dell’ordinanza resa il 31.01.2014, che costituisce oggetto
del presente scrutinio di legittimità.
Giova in primo luogo soffermarsi sull’ambito funzionale della ordinanza ex
art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Al riguardo, occorre richiamare i principi espressi dalle Sezioni Unite della
Suprema Corte di Cassazione, nell’analizzare il procedimento al quale mette capo
l’ordinanza di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, ai sensi
dell’art. 304, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., in pendenza dei termini per la
redazione della sentenza (Cass. Sez. U, Sentenza n. 27361 del 31/03/2011,
dep. 13/07/2011, Rv. 249969).
Con specifico riferimento al tema di interesse, deve osservarsi che le Sezioni
Unite, con la sentenza ora richiamata, hanno chiarito: che il provvedimento di
sospensione dei termini di durata della custodia cautelare per il tempo di redazione
della sentenza può essere assunto di ufficio, senza previo contraddittorio con le
parti; che l’ipotesi in esame rientra tra i casi di “sospensione obbligatoria”, previsti
dal comma 1 dell’art. 304 cod. proc. pen., sia pure operante solo dopo l’adozione
della apposita ordinanza sospensiva, appellabile ai sensi dell’art. 310 cod. proc.
pen.; e che la statuizione di sospensione pronunciata ai sensi del primo comma,
lett. c), dell’art. 304 cod. proc. pen. ha natura sostanzialmente ricognitiva e
dichiarativa, in quanto subordinata al mero verificarsi della condizione ivi prevista,
sicché la valutazione richiesta per l’adottabilità del provvedimento rimane limitata
all’accertamento della sussistenza del relativo presupposto, dato dalla pendenza dei
termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3, cod. proc. pen.
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l’atto di appello ma sia limitata ad alcuni dei motivi su cui l’impugnazione si articoli

Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, hanno pure considerato: che
la previsione di un contraddittorio differito – essendo previsto che l’ordinanza di
sospensione dei termini di custodia cautelare sia appellabile ai sensi dell’art. 310
cod. proc. pen. – risponde al principio per il quale in materia di provvedimenti de
libertate é sempre prevista l’interlocuzione delle parti, pur rimanendo nell’ambito
della discrezionalità legislativa tempi e modi di attuazione di siffatta interlocuzione;
che il margine di discrezionalità, che pure é ravvisabile nell’antecedente giudizio di

trae origine il presupposto fattuale al quale si collega la pronuncia meramente
dichiarativa di sospensione dei termini di fase, trova sufficiente contemperamento
nella facoltà di interlocuzione mediante appello; e che deve ritenersi ammessa la
sindacabilità della scelta del termine differito, ai fini della sospensione della custodia
cautelare, le volte in cui sia la stessa motivazione dell’assegnazione del maggior
termine a confessare l’uso distorto della facoltà di differimento del termine di
deposito della sentenza, perché correlata a ragioni estranee alla complessità del
momento motivazionale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 27361 del 31/03/2011,
dep. 13/07/2011, cit.).
E bene, le considerazioni si qui svolte conducono pertanto a rilevare che
l’ordinanza ex art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. ha certamente natura
ricognitiva; che l’effetto sospensivo, rispetto alla decorrenza dei termini di fase di
custodia cautelare, discende dell’accertamento della condizione ivi prevista, data
dalla pendenza dei termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3, cod. proc. pen.; e
che, in sede di appello cautelare, secondo il meccanismo del contraddittorio
differito, la parte può sindacare la scelta del differimento del termine per la stesura
della motivazione, che costituisce il presupposto fattuale della sospensione.
4.2.1 Ciò chiarito, si deve – incidentalmente – considerare che, nel caso di
giudizio, la scelta operata dal G.i.p. di Genova, di indicare, nel dispositivo della
pronuncia di condanna resa in data 28.03.2013, il termine di 90 giorni per il
deposito della sentenza, risulta rispondente ai parametri indicati dalla stessa
disposizione di legge di cui all’art. 544, comma 3, cod. proc. pen., relativi al numero
delle parti ed alla complessità delle imputazioni; il giudicante, infatti, ha
espressamente rilevato che il procedimento riguardava dieci imputati e che
constava di 35 diversi capi di imputazioni. E’ poi appena il caso di rilevare che il
fatto che il giudice abbia depositato la sentenza oltre il termine di novanta giorni
non assume alcun rilievo, ai fini di interesse, atteso che, come legittimamente
considerato dal Tribunale di Genova in sede di appello cautelare, il meccanismo
normativo prevede che il termine di fase decorra dalla data di emissione della
sentenza e che la sospensione di cui si tratta operi per 90 giorni, in corrispondenza
al termine indicato nel dispositivo, senza che il ritardo nel quale possa incorrere il
5

complessità della stesura della motivazione della sentenza, dal quale – soltanto –

giudice, nel deposito della sentenza, riverberi effetti negativi per l’imputato,
sull’operatività dei descritti termini.
4.3 A questo punto della trattazione è dato allora specificamente soffermarsi
sul tema relativo alla mancata traduzione in lingua araba dell’ordinanza resa dal
G.i.p. in data 31.01.2014.
Il ricorrente ritiene che, in applicazione della Direttiva 2010/64/EU l’autorità
giudiziaria avrebbe dovuto disporre la traduzione dell’ordinanza in oggetto.

alla interpretazione ed alla traduzione nei procedimenti penali. La citata Direttiva,
alla quale gli Stati membri avevano tempo di adeguarsi entro il 27 ottobre 2013,
stabilisce norme minime comuni da applicare in materia di interpretazione e
traduzione nei procedimenti penali ed ha la finalità di rafforzare la fiducia reciproca
degli stati membri. E non sfugge che questa Corte regolatrice ha anche
recentemente affermato che l’inutile decorso del termine per l’attuazione di una
direttiva ne determina l’applicazione immediata, con conseguente disapplicazione
della norma interna in contrasto. Preme, peraltro, evidenziare che la giurisprudenza
di legittimità ha chiarito che le previsioni di una direttiva possono ritenersi

self

executing, qualora: 1) sia scaduto inutilmente il termine di recepimento; 2) abbiano

contenuto precettivo chiaro ed incondizionato, sicché non occorre l’emanazione di
atti da parte delle autorità nazionali; 3) prevedano per l’individuo effetti giuridici
favorevoli nei confronti dell’ordinamento (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26027 del
08/06/2011, dep. 01/07/2011, Rv. 250938).
4.3.1 Ebbene, deve osservarsi che la citata direttiva 2010/64/EU muove dal
rilievo che la garanzia dell’equità del procedimento esige che i documenti
fondamentali, o almeno le parti rilevanti di tali documenti, siano tradotti a beneficio
di indagati o imputati. In tale prospettiva, la Direttiva riconosce un diritto
all’interpretazione ed alla traduzione degli atti fondamentali del processo penale, in
favore di coloro che non parlano e non comprendono la lingua del procedimento al
fine di garantire loro il più ampio diritto ad un processo equo, sancito nell’art. 6 n. 3
lett. a) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – in base al quale “ogni
accusato ha diritto ad essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua
che egli comprende ed in maniera dettagliata, della natura e dei motivi della accusa
a lui rivolta” – nonché negli artt. 47 e 48, comma 2, della Carta dei Diritti
fondamentali.
Nel testo della direttiva si osserva, poi, che alcuni documenti dovrebbero
sempre essere considerati fondamentali a tale scopo (n. 30) e dovrebbero quindi
essere tradotti, quali le decisioni che privano la persona della propria libertà. La
direttiva, come sopra già si è rilevato, specifica di avere ad oggetto norme minime,
nella materia di interesse; considera che gli Stati membri hanno facoltà di ampliare
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Come noto, la direttiva 2010/64/UE, del 20 ottobre 2010, concerne il diritto

i diritti previsti dalla presente direttiva al fine di assicurare un livello di tutela più
elevato anche in situazioni non espressamente contemplate dalla direttiva
medesima, con la precisazione che il livello di tutela non dovrebbe mai essere
inferiore alle disposizioni della Corte EDU o della Carta, come interpretate nella
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo o della Corte di giustizia
dell’Unione europea.
4.3.2 I cenni che precedono inducono a ritenere che la valutazione espressa

Invero, del tutto conferentemente, i giudici dell’appello cautelare hanno
considerato che la Direttiva 2010/64/EU è di contenuto oggettivamente generico, in
quanto non specifica quali atti vadano necessariamente tradotti, di talché resta
devoluta all’interprete l’individuazione dei provvedimenti da tradurre, in materia di
libertà personale. E, nell’esercizio di tale potere discrezionale, i giudici del gravame
cautelare hanno considerato che la natura meramente dichiarativa dell’ordinanza di
che trattasi, discendente dal fatto che l’effetto sospensivo viene a dipendere dalla
pendenza dei termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3, cod. proc. pen., portava ad
escludere che l’ordinanza rientrasse nel novero degli atti in materia di libertà
personale da tradurre.
Deve poi considerarsi che legittimamente i giudici di merito hanno altresì
evidenziato che la sentenza resa dal G.i.p. di Genova, all’esito del rito abbreviato,
contenente pure le ragioni che avevano determinato la proroga del termine di 90
giorni, era stata tradotta in arabo a cura dell’ufficio procedente. Si osserva, al
riguardo, che la Corte regolatrice ha chiarito che l’obbligo di traduzione dei
provvedimenti in materia di libertà personale trova un preciso limite nel fatto che
l’imputato sia comunque edotto del contenuto del provvedimento di cui si tratta
(cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 43482 del 22/04/2013, dep. 24/10/2013, Rv.
257403).
4.4 Si osserva inoltre, per mera completezza argomentativa, che nelle more
del presente procedimento, alla direttiva in commento è stata data formale
attuazione. Si fa riferimento al Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 32 (pubblicato
in Gazz. Uff. 18 marzo 2014, n. 64) che ha dato attuazione alla direttiva
2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto
alla interpretazione ed alla traduzione nei procedimenti penali., sostituisce l’art. 143
del codice di procedura penale.
Ai fini di interesse, si rileva che il novellato art. 143, comma 2, cod. proc.
pen., per effetto dell’art. 1, del d.lgs. n. 32 del 4 marzo 2014, stabilisce ora che
l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo “tale
da consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa” di determinati atti, tra

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dal Tribunale di Genova risulta immune dalle dedotte censure.

i quali vengono indicati i “provvedimenti che dispongono misure cautelari
personali”.
Come si vede, il legislatore nazionale ha posto in diretta relazione l’obbligo
per l’autorità procedente di disporre la traduzione scritta di determinati atti con
l’esercizio delle facoltà difensive; e, in riferimento a tale specifico ambito funzionale,
ha pure richiamato genericamente i provvedimenti che “dispongono” misure
cautelari personali, senza ulteriori specificazioni.

del ragionamento sviluppato dai giudici di merito sembra confermata anche alla
luce delle disposizioni nazionali che, per il futuro, disciplinano la materia della
traduzione scritta degli atti, in riferimento ai provvedimenti in materia di libertà
personale.
4.5 Si osserva, infine, che le valutazioni sopra espresse, rispetto alla
legittimità della intervenuta esclusione dell’ordinanza ex art. 304, comma 1, lett. c),
cod. proc. pen. dal novero degli atti per i quali l’autorità giudiziaria procedente deve
disporre la traduzione, assolve il Collegio dal soffermarsi sulla diversa ed ulteriore
questione relativa alla individuazione dell’autorità che deve concretamente
procedere alla traduzione dell’ordinanza cautelare, in caso di imputato alloglotto
detenuto (in argomento: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 35878 del 19/06/2012,
dep. 19/09/2012, Rv. 253283).
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali. Viene disposta la trasmissione di copia della presente ordinanza
al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessokal
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. del cod. proc. pen.
Così deciso in Roma in data 28 maggio 2014.

I cenni che precedono inducono conclusivamente a rilevare che la correttezza

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