Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28164 del 28/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28164 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BARHOUMI HASSEN N. IL 16/01/1985
avverso la sentenza n. 5987/2012 (HP TRIBUNALE di PERUGIA, del
18/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
lette/sefttite le conclusioni del PG Dott. G:,)Q-j(lì VoOtt-

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Data Udienza: 28/05/2014

Ritenuto in fatto
1. Barhoumi Hassen ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del G.i.p. presso il Tribunale di Perugia in data 18.04.2013, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in
ordine al reato di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, per la detenzione di
gr. 22 di hashish. Il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio
motivazionale, in ordine al mancato apprezzamento della ricorrenza dei presupposti
legittimanti l’adozione di sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che la

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Suprema Corte annulli senza rinvio la sentenza impugnata, con trasmissione degli
atti al G.i.p. presso il Tribunale di Perugia. L’esponente ha considerato che, pure a
fronte della inammissibilità del ricorso, sussistevano i presupposti per annullare la
sentenza in oggetto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
2014, che ha determinato una favorevole modifica del trattamento sanzionatorio.
Considerato in diritto
3. Il ricorso muove alle considerazioni che seguono.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, sentenza n. 5777 del
27.03.1992, dep. 15.05.1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Cass. Sez. U, sentenza
n. 10372 del 27.09.1995, dep. 18.10.1995, Serafino, Rv. 202270). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola
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come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha rilevato che sulla base delle risultanze acquisite – verbale di arresto, verbale di

perquisizione e sequestro, analisi della sostanza – doveva escludersi la sussistenza
delle condizioni per procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
4. Tanto ritenuto, osserva il Collegio che sussistono i presupposti per
rilevare l’illegittimità della pena inflitta al prevenuto, in riferimento al reato di cui al
capo a) della rubrica.
Invero, l’inammissibilità del ricorso non impedisce a questa Corte regolatrice
di annullare la sentenza impugnata, in ragione delle modifiche normative che sono
intervenute dopo il deposito del presente ricorso. Deve in questa sede ribadirsi che
per il caso di modifiche normative sopravvenute, l’inammissibilità del ricorso non
impedisce l’adozione di una pronuncia di annullamento da parte della Corte
regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI, sentenza n. 21982, del 16 maggio 2013, n. 21982,
Rv 255674, ove l’inammissibilità del ricorso non ha impedito l’annullamento della
sentenza impugnata, in conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale
della norma applicata al caso di giudizio).
Deve, allora, considerarsi che, per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze
stupefacenti che viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella
versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272,
convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena
per le sostanze di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14, nell’ipotesi di cui all’art. 73,
comma V, risulta ricompresa dal minimo di sei mesi al massimo di quattro anni di
reclusione, oltre la multa.
Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 12.02.2014 n. 32 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
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comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le disposizioni colpite dalla
declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche
nell’ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in
materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le
droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente
disciplina, di cui al d.P.R. n. 309/1990.

Occorre considerare che, a causa della intervenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale, ad opera della citata sentenza n. 32 del 2014, la pena
edittale relativa all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n.
309/1990, rispetto alla detenzione a fine di spaccio di sostanze rientranti nelle
tabelle II e IV, è quella della reclusione da sei mesi a quattro anni, oltre la multa,
laddove il testo oggetto della declaratoria di incostituzionalità, stabiliva un più
grave trattamento sanzionatorio, compreso da uno a sei anni di reclusione, oltre la
multa.
E’ poi appena il caso di rilevare che il trattamento sanzionatorio ora
richiamato risulta, in concreto, più favorevole rispetto all’ipotesi di cui all’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 2,
comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Ai fini di interesse, si rileva, infatti,
che a seguito delle richiamate modifiche è oggi prevista, per l’ipotesi di cui all’art.
73, comma V, cit., la pena della reclusione da uno a cinque anni, oltre la multa.
Si osserva poi che la materia di interesse è stata peraltro oggetto di un
ulteriore intervento correttivo, ad opera della legge 16 maggio 2014, n. 79, di
conversione, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, recante
Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di
impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale
(pubblicata in G.U. n.115 del 20.05.2014).
Per effetto del richiamato intervento normativo, il tenore dell’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309/1990, è il seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca più
grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che,
per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e
quantità delle sostanze, e’ di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da
sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”. La cornice
sanzionatoria, per il caso di cui al V comma, dell’art. 73, cit., pertanto, risulta

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compresa – sia per le droghe leggere che per le droghe pesanti – tra il minimo di
sei mesi ed il massimo di quattro anni di reclusione, oltre la multa.
In conclusione, la cornice edittale applicabile alla fattispecie oggetto del
presente giudizio, anche in base al principio di retroattività della legge più
favorevole, ex art. 2, comma 4, cod. pen., prevede pene sensibilmente inferiori,
rispetto a quelle alle quali hanno fatto riferimento le parti nel concludere l’accordo
di poi ratificato dal giudice. Ed invero, la pena base, in riferimento alla detenzione
della richiamata aliquota di hashish, di cui al capo a), è stata determinata in due

si colloca in una diversa fascia del trattamento sanzionatorio. Conseguentemente,
deve rilevarsi che la valutazione effettuata dal giudice, nell’apprezzare la congruità
della pena concordata dalla parti, non risulta altrimenti conferente, stante
l’intervenuta modifica sostanziale del quadro sanzionatorio di riferimento. Non è chi
non veda, allora, che l’accordo concluso dalle parti e ratificato dal giudice concerne
l’applicazione di una pena che non può ritenersi congrua, rispetto ai fatti per i quali
si procede.
5. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, giacché l’evidenziata incongruità della pena applicata ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., rende invalido il patto concluso dalle parti. Deve disporsi la
trasmissione degli atti al Tribunale di Perugia, perché proceda a nuovo giudizio. La
giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, in tali ipotesi, le parti sono
reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo sulla pena su altre basi e che, in
mancanza, il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (cfr. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 16766 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246930).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al
Tribunale di Perugia per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, in data 28 maggio 2014.

anni di reclusione oltre la multa, pena che, rispetto ai limiti di pena oggi applicabili,

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