Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28159 del 07/06/2016
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28159 Anno 2016
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DI MORO GIUSEPPE N. IL 04/02/1958
avverso la sentenza n. 8616/2013 GIP TRIBUNALE di MILANO, del
14/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
Data Udienza: 07/06/2016
RILEVATO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
fu applicata a DI MORO GIUSEPPE per il reato di bancarotta fraudolenta la pena
concordata con la pubblica accusa nella misura di due anni, un mese e 10 giorni di
reclusione;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato, avv. Fabrizio Cardinali, deducendo violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche;
CONSIDERATO IN DIRITTO
prescrizioni fissate dalla costante giurisprudenza di questa Corte (a partire da Sez.
U, n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135) in ordine all’obbligo di
motivazione del giudice: con riferimento all’applicazione e comparazione delle
circostanze, nel procedimento di applicazione della pena le parti non possono
prospettare con il ricorso per cassazione questioni incompatibili con la richiesta di
patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione
giuridica risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa come giuridicamente
qualificata non può essere rimessa in discussione. L’applicazione concordata della
pena, infatti, presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità,
anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento e al
consenso a essa prestato. Cosicché, in questa prospettiva, l’obbligo di motivazione
del giudice è assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva
valutazione dei termini dell’accordo intervenuto tra le parti e dell’effettuato
controllo degli elementi di cui all’art. 129 c.p.p. conformemente ai criteri di legge
(Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637; Sez. 5, n. 21287 del
25/03/2010, Legari, Rv. 247539);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere
ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro 2000;
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016
Il consigliere estensore
Il presidente
– che il ricorso va dichiarato inammissibile, poiché la sentenza rispetta le