Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28153 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28153 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

Data Udienza: 17/04/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BOCCHETTI MARIO N. IL 14/10/1962
avverso l’ordinanza n. 9728/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
02/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
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4ette/sentite le conclusioni del PG Dott. (2_9 F-

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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 2 gennaio 2014 il Tribunale del riesame di Napoli ha
confermato l’ordinanza emessa in data 12 dicembre 2013 dal G.i.p. presso il
Tribunale di Napoli, che disponeva l’applicazione della misura cautelare della
custodia in carcere nei confronti di Mario Bocchetti per il reato di partecipazione
ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso, denominata clan “SaccoBocchetti”, operante nei settori delle estorsioni, dell’usura, del traffico d’armi e
stupefacenti e delle scommesse clandestine, rivestendo il ruolo di dirigente ed

2. Avverso la su indicata ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto
ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’indagato, deducendo due motivi
di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.

2.1. Carenze motivazionali riguardo alla omessa o insufficiente valutazione
dell’attendibilità delle prove dichiarative a fronte di altre emergenze processuali,
per quel che attiene, in particolare, alle dichiarazioni rese da Zaccaro Antonio e
Selva Giacomo ai fini della ritenuta gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p. . Manca
una concreta valutazione dell’affidabilità intrinseca del dichiarante Zaccaro
Antonio, la quale non può essere di certo risolta con l’asserito ruolo da lui
ricoperto nell’ambito del sodalizio criminale, ciò che gli avrebbe consentito una
perfetta conoscenza delle dinamiche e delle persone che in esso operavano. Va
infatti considerato che, a fronte di numerose pronunzie di condanna emesse dal
1994 al 2001 a carico del clan “Bocchetti”, il nominativo dell’indagato non risulta
essere stato mai menzionato dalle diverse fonti dichiarative. Analoghi rilievi sono
formulati riguardo all’attendibilità di Selva Giacomo, per il quale il Tribunale del
riesame si limita ad evidenziare solo che è stato raggiunto da una sentenza
definitiva di condanna all’ergastolo, prima di intraprendere la scelta
collaborativa.

2.2. Violazioni di legge e carenze motivazionali riguardo alla gravità del
quadro indiziario, sia per quel che attiene alla partecipazione del Bocchetti alla
contestata associazione, sia per quel che inerisce all’aggravante di esserne un
promotore. Sebbene le dichiarazioni rese da Zaccaro descrivano il
comportamento del ricorrente con ampia dovizia di particolari, analoga specificità
di elementi non appare rinvenibile nelle dichiarazioni degli altri collaboratori, che,
anzi, riferiscono circostanze diverse da quelle narrate da Zaccaro (Selva
Giacomo, ad es., non rammenta che un generico episodio di cessione di droga
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organizzatore del sodalizio in seguito alla detenzione del fratello Gaetano.

avvenuto nel 2002-2003, mentre Sacco Carmine riferisce circostanze differenti
rispetto a quanto dichiarato da Zaccaro e Selva, descrivendo un modus operandi
nelle piazze di spaccio, anch’esso ignoto ai predetti collaboratori). Il
collaboratore Lo Russo Salvatore, inoltre, si limita a ricordare la figura del
ricorrente come fratello di Gaetano, senza fare riferimento alla sua intraneità al
“clan”, mentre risulta insufficientemente valutato il ruolo apicale assegnato al
ricorrente, non avendo il Tribunale considerato alcune conversazioni oggetto di
intercettazione nell’agosto del 2006, intervenute fra altri sodali del gruppo

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.

4. Al riguardo occorre, preliminarmente, ribadire il consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato con ricorso per cassazione il vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta alla Corte Suprema il compito
di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti
che ad esso ineriscono, la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, mentre è del
tutto inibito procedere ad una rivisitazione, globale o parziale, della vicenda,
ovvero ad una ricostruzione alternativa dei fatti (Sez. Un., n. 11 del 22/03/2000,
dep. 02/05/2000, Rv. 215828; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, dep.
15/12/2008, Rv. 241997; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007,
Rv. 237012).
Orbene, la gravità del panorama indiziario evocato a sostegno della misura,
e scrutinato in termini di adeguatezza dal Giudice del riesame cautelare, deve
ritenersi congruamente sostenuta dall’apparato motivazionale su cui si radica
l’impugnato provvedimento, che ha correttamente proceduto ad una valutazione
sia particolareggiata che complessiva dei numerosi e convergenti elementi
indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica ed
adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio.
Entro tale prospettiva, l’impugnata ordinanza cautelare ha fatto buon
governo del quadro dei principii che regolano la materia, ponendo in evidenza,
sulla base di una compiuta disamina del contenuto delle numerose e convergenti
dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia Zaccaro Antonio, Selva
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criminoso, il cui contenuto escluderebbe invece la presenza dell’aggravante.

Giacomo, Sacco Claudio, Sacco Carmine – tutti intranei al medesimo sodalizio
criminale, ed alcuni, come lo Zaccaro, in posizione di vertice – nonché di altri
collaboratori appartenenti a sodalizi operanti su territori limitrofi, ed in rapporto
di alleanza con il “clan Sacco-Bocchetti” (ad es., Lo Russo Salvatore, Prestieri
Maurizio e Capasso Carlo), lo stabile e fattivo inserimento dell’indagato, con un
ruolo direttivo ed organizzativo, all’interno della struttura della su indicata
associazione criminale.
A tale riguardo, inoltre, il Tribunale ha dato conto, con lineari ed esaustive
argomentazioni, delle ragioni poste alla base della valutazione di attendibilità

ruolo apicale, coerentemente concludendo per la configurabilità di una base
indiziaria connotata da tratti di particolare gravità, poiché indicativa di un
costante e consapevole contributo, in una posizione di vertice organizzativo, alla
pianificazione ed alla realizzazione degli obiettivi propri del consesso associativo.

5. A fronte di tale completo apprezzamento delle emergenze procedimentali,
esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi
logici, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da
inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal
Tribunale, né ha soddisfatto l’esigenza di una critica puntuale e ragionata che
deve informare l’atto di impugnazione, ma ha sostanzialmente contrapposto una
lettura alternativa delle risultanze processuali, facendo leva, peraltro con
asserzioni del tutto generiche, sull’apprezzamento di profili di merito già
puntualmente vagliati e disattesi in sede di riesame, la cui rivisitazione in punto
di fatto non è, evidentemente, sottoponibile al giudizio di questa Suprema Corte.
Giova al riguardo ribadire il consolidato quadro di principii secondo cui
l’impugnazione è inammissibile, per genericità dei motivi, qualora difetti una
precisa e compiuta indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, il cui
contenuto non può di certo ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (v., ex multis, Sez. 6, n. 39926
del 16/10/2008, dep. 24/10/2008, Rv. 242248; Sez. 4, n. 34270 del
03/07/2007, dep. 10/09/2007, Rv. 236945).
Il ricorrente si è limitato a sottoporre a questa Suprema Corte i passaggi di
talune conversazioni oggetto di intercettazione ambientale, asseritamente
rilevanti nel senso dell’esclusione del proprio ruolo apicale, tralasciandone,
tuttavia, la messa in evidenza dei dati significativi, tali da disarticolare
oggettivamente la struttura del complesso impianto motivazionale che sorregge
l’impugnata ordinanza, ed in tal guisa sollecitando il lettore a trame
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intrinseca dei collaboratori e del reciproco insieme dei riscontri acquisiti sul suo

implicitamente le conseguenze, secondo la sua personale comprensione: tale
metodica deve ritenersi del tutto incompatibile con la natura del giudizio di
legittimità, poiché imporrebbe, sulla base di quanto poc’anzi rilevato, una non
consentita rilettura di merito delle emergenze indiziarie.

6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende
di una somma che si stima equo quantificare nella misura di euro mille.

comma 1-ter, disp. att., c.p.p.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att., c.p.p.

Così deciso in Roma, lì, 17 aprile 2014

Il Consigliere estensore

La Cancelleria provvederà all’espletamento degli incombenti di cui all’art. 94,

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