Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2815 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2815 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

CAMBI Fernando, nato a il 20/01/1971;
avverso la sentenza del Tribunale di Pistoia del 12/07/2012;

visto il ricorso, gli atti e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Gabriele Mazzotta, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, l’avv. Luca Del Favero, sostituto processuale dell’avv. Pier Nicola
Badiani, difensore del Cambi, che si è riportato al ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Pistoia confermava la
sentenza del 13/01/2011 con la quale il Giudice di pace di quella stessa città aveva
dichiarato Fernando Cambi colpevole del reato di cui all’art. 594 cod.pen. perché,
nel corso di una conversazione telefonica, offendeva l’onore ed il decoro di Manzari
Francesco dicendogli “… Voi dell’Ina siete tutti de/ladri sei un imbecille;

e, per

Data Udienza: 12/11/2013

l’effetto, l’aveva condannato alla pena di € 300,00 di multa nonché al risarcimento
del danno in favore della persona offesa quantificato in € 500.

2. Avverso la pronuncia anzidetta impugnata l’imputato, assistito dall’avv. Pier
Nicola Badiani, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura
indicate in parte motiva.

1. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia inosservanza od
erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui avrebbe
dovuto tenersi conto nell’applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 lett.
b),

cod.proc.pen.; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della

motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) e mancata assunzione di prova decisiva,
ai sensi dello stesso art. 606 lett. d) del codice di rito. Contesta, in particolare,
l’affermazione del giudice di appello che aveva ritenuto corretta la decisione del
primo giudice di non ammettere i testi presentati ai sensi dell’art. 468 del codice di
rito sull’assunto dell’inapplicabilità, alla procedura innanzi al giudice di pace, del
meccanismo anzidetto. Sostiene, in proposito, che la facoltà di contrapporre testi di
prova contraria al testimoniale offerto da controparte non era subordinata all’onere
della previa presentazione della lista. Contesta, ad ogni modo, la motivazione resa
sul punto dal giudice di appello.
Con il secondo motivo si deduce inosservanza e/o erronea applicazione della
legge penale, ai sensi dell’art. 606 lett. b); mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) del codice di rito. Si duole,
al riguardo, che il giudice di appello abbia compiuto erronea valutazione del
materiale probatorio, senza avvedersi dell’inidoneità dello stesso a sostenere la
responsabilità dell’imputato oltre il ragionevole dubbio.
Con il terzo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione, ai sensi dell’ad 606 lett. e) per l’asserita
contraddittorietà con le risultanze processuali e relativo travisamento, con
particolare riferimento alle testimonianze specificamente indicate.

2. Il primo profilo di censura attiene alla mancata assunzione di prova
asseritamente decisiva sub specie della negata ammissione dei testi di prova
contraria. Al riguardo, il ricorrente critica l’orientamento interpretativo recepito dal
giudice a quo, secondo cui la facoltà di chiedere la citazione di testi è data a
ciascuna parte con funzione integrativa delle liste già presentate e non può,
pertanto, essere esercitata da chi non abbia tempestivamente presentato la lista
testimoniale e la cui richiesta probatoria è divenuta, quindi, inammissibile.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

La censura, in linea astratta, non può ritenersi priva di fondamento. Ed
invero, sulla questione processuale questa Corte di legittimità ha già avuto modo di
pronunciarsi con interpretazione che va, di certo, ribadita in questa sede. Si è,
infatti, statuito che la parte che abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel
termine di legge ha la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria dei
testimoni, periti e consulenti tecnici, considerato che il termine perentorio per il
deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall’art. 468,
comma primo, soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria,

fondamentale del diritto di difesa, ne risulterebbe vanificato(cfr. Sez. 5, n. 9606 del
03/11/2011, dep. 13/03/2012, Rv. 252158). Nell’occasione, si è osservato che la
contraria opinione espressa dai giudici di merito prendeva le mosse
dall’interpretazione meramente letterale della norma di cui all’art. 468, comma 4,
che, nell’affermare: in relazione alle circostanze indicate nelle liste, ciascuna parte
può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici
non compresi nella propria lista, ovvero presentarli al dibattimento, sembra davvero
subordinare l’esercizio della facoltà in oggetto (specie con la locuzione non compresi
nella propria lista) alla tempestiva presentazione della lista e, dunque, alla rituale
richiesta di prova diretta.
Siffatta interpretazione non è però condivisibile, in quanto, relegando la prova
contraria in ambito ancillare, o subalterno, rispetto alla prova diretta, offre una
lettura meramente riduttiva del ruolo della riprova, che costituisce, invece, una
delle più pregnanti espressioni del diritto di difesa.
La centralità della prova contraria, in piena sintonia con i principi ispiratori del
processo penale e con i precetti costituzionali, ha trovato, del resto, formale
consacrazione nel disposto dell’art. 495, comma 2 (secondo cui l’imputato ha diritto
all’ammissione delle prove, indicate a discarico, sui fatti costituenti oggetto delle
prove a carico) non a caso richiamato dall’art. 606, lett. d), nel testo novellato dalla
legge 20 febbraio 2006, n. 46, all’evidente fine di far assurgere l’eventuale
violazione a specifico motivo di ricorso per cassazione (mancata assunzione di
prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruttoria
dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dall’art. 495 comma 2).
Del resto, il diritto di articolare la prova contraria, ai sensi del menzionato art. 468,
comma 4, è svincolato dalle forme indicate nel primo comma di tale articolo
(deposito della lista almeno sette giorni prima del dibattimento) e prescinde dalla
deduzione probatoria della parte avversa (così Cass. 13.1.1995, n. 1607, rv.
200658 richiamata dalla stessa sez. 6 n. 17222/2010). In particolare, il termine
perentorio per il deposito della lista testimoniale è stabilito, a pena
d’inammissibilità, dall’art. 468, comma 1, soltanto per la prova diretta e non anche
per quella contraria, giacché diversamente il diritto alla controprova, che costituisce

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giacché diversamente, il diritto alla controprova che costituisce espressione

un aspetto fondamentale del più generale diritto di difesa, ne risulterebbe vanificato
(cfr. Cass. sez. 5, 17.2.2003, n. 12559, rv. 228023). E’ significativo, inoltre, che
nella fattispecie esaminata dalla menzionata sentenza. n. 1607/1995 il Supremo
Collegio abbia stigmatizzato il rigetto dell’istanza difensiva volta ad ottenere
l’audizione del proprio consulente medico-legale, sull’erroneo assunto che il P.M.
non aveva indicato nella propria lista alcun perito ed aveva rinunciato all’esame del
suo consulente. Tanto, ad eloquente conferma che l’esercizio del diritto alla riprova

2. Nondimeno, la riconosciuta fondatezza della censura non comporta gli
auspicati effetti demolitori della pronuncia impugnata.
Ed invero, la doglianza relativa alla mancata ammissione di prova decisiva non può
prescindere – in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso dall’assolvimento dell’onere di specificazione volto ad indicare il coefficiente di
decisività della prova pretermessa, ossia la sua potenziale capacità, ove ammessa,
di contrastare efficacemente le prove a carico sì da scardinare la tenuta logica del
costrutto giustificativo della sentenza impugnata e da ribaltare il giudizio di
colpevolezza. Nel caso di specie, l’onere dell’allegazione non può dirsi assolto,
avendo omesso il ricorrente di indicare le ragioni per le quali la prova non ammessa
sarebbe stata capace di disarticolare il percorso logico-giuridico seguito del giudice
a quo,

valendo a dimostrare la reclamata estraneità dell’imputato, odierno

ricorrente.
La seconda e terza censura – congiuntamente esaminabili per identità di

rado

contestativa, con riferimento alla contestata congruità del compendio motivazionale
– si pongono entrambe ai limiti dell’ammissibilità. Ed invero, l’insieme giustificativo
della sentenza impugnata non merita le critiche del ricorrente, posto che, con
argomentazioni immuni da vizi di sorta, ha dato ampio conto del ribadito giudizio di
colpevolezza a carico dell’imputato.
La stessa struttura motivazionale rivela, altresì, corretta valutazione delle
emergenze probatorie nel pieno rispetto degli ordinari canoni di apprezzamento
delle emergente probatorie.

3.

Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato

deve essere

rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 12/11/2013

I I M.. • wo.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

non può essere, in alcun modo, condizionato dalle strategie di controparte.

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