Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28138 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28138 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
n. il 17 novembre 1972

Signorelli Piercarlo
nei confronti di:
1) Gambini Giuliano

n. il 4 maggio 1983

2) Sonrino Vincenzo

n. il 23 dicembre 1976

avverso
la sentenza 15 novembre 2012

GIP del Tribunale di Perugia;

sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr. Alfredo Pompeo Viola, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che
ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata e la trasmissione degli atti al GIP del Tribunale di Perugia;
udito il difensore avv. Giancarlo Viti, il quale, per Signore/li Giancarlo ha concluso
per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 13/06/2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza deliberata in data 15 novembre 2012, depositata in cancelleria il 26 novembre 2012, il GIP del Tribunale di Perugia dichiarava non luogo a
procedere, ai sensi dell’art. 425 comma terzo cod. proc. pen., nei confronti di Gambini Giuliano e Sorvino Vincenzo, imputati del reato di tentato omicidio, resistenza e
lesioni personali volontarie, ritenendo che gli elementi acquisiti risultavano insuffi-

coimputato Manolo Esposito, il medesimo giudice emetteva invece decreto che dispone il giudizio).
In via di premessa, il giudice chiariva che, nel corso di un controllo istituzionale
per la repressione del traffico di droga, a un posto di blocco operato dai Carabinieri,
la vettura condotta da Manolo Esposito, con a bordo Gambini Giuliano e Sorvino
Vincenzo, forzava il blocco medesimo, investendo il Brig. Piercarlo Signorelli e
l’Appuntato Mauro Merli cagionando loro lesioni personali. Il giudice rilevava che gli
elementi acquisiti non potevano valutarsi come sufficienti a sostenere l’accusa in
giudizio non potendo in particolare di ritenere con certezza che gli imputati avessero tenuto una condotta che concretizzasse un contributo agevolatore o determinatore della condotta tipica tenuta dall’autista della vettura, vale a dire Manolo Esposito.
Quanto poi, in particolare, al Servino l’unico elemento di responsabilità risiedeva
nel fatto che il medesimo sedesse all’interno del veicolo, senza che fosse emerso
alcun altro elemento che facesse pensare anche solo a un rafforzamento del proposito criminoso dell’Esposito. Quanto al Gambini, gli elementi a carico erano da individuarsi invece sia nel fatto che fosse stato udito dai presenti, dopo l’investimento,
incitare il guidatore a non fermarsi e di proseguire la marcia e sia nella circostanza
che egli avesse gettato la droga dal finestrino. Il giudice rilevava che tali circostanze attenevano a un momento successivo al tentato omicidio e che, giusta la stagione e l’ora tarda, era presumibile, al contrario, che i finestrini fossero rimasti chiusi e
dunque che non fosse possibile che detto incitamento potesse essere stato udito.
Inoltre, per le modalità proprie del fatto, doveva ritenersi che il dolo dell’Esposito
fosse stato d’impeto, dolo che mal si presta con l’attività concorsuale morale di altri. Nessun elemento poteva ritenersi infine sussistente anche in relazione ai residuali reati di lesioni personali e resistenza.

Ud. in c.c.: 13 giugno 2014 — Signorelli Giancarlo — RG: 12204/14, RU: 24;

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denti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio (per il

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Giancarlo
Viti, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione Signorelli Giancarlo chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
In particolare, è stato rilevato dal ricorrente che il GUP ha apprezzato le risultanze di prova al di fuori dei canoni valutativi previsti dall’art. 425 cod. proc. pen.
esprimendo non una valutazione limitata alla non sostenibilità dell’accusa in dibat-

tare le ragioni per le quali le prove raccolte dalla pubblica accusa non fossero suscettibili di sviluppi in sede dibattimentale esternando dubbi, quali quelli relativi al
fatto che i militi potessero aver percepito le parole di incitamento alla fuga del
Gambini, che ben potevano essere dissipati in giudizio.
Il giudice, inoltre, non ha considerato il contesto dell’azione vale a dire che la
fuga costituiva un comune interesse dei tre occupanti la vettura di sottrarsi a
quell’arresto in flagranza che poi si è realizzato, contesto in cui assumeva rilievo
anche il semplice silenzio dei sodali, rafforzativo del proposito criminoso dell’Esposito. Anche il comportamento successivo tenuto dai complici (l’incitamento alla
fuga e lo speronamento della seconda vettura inseguitrice) si inscrive in quest’ottica
di adesione condivisa.

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Osserva in diritto

3. — Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
3.1 — La ricorrente parte civile deduce, con l’unico motivo di gravame, l’inosservanza od erronea applicazione dell’art. 425 cod. proc. pen. che subordina il proscioglimento all’accertamento di una situazione tale di innocenza da non essere ritenuta superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da
una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito. Sussisterebbe ad avviso dell’impugnante una motivazione non corretta, essendo la vicenda,
sottoposta all’attenzione del GUP, meritevole del vaglio dibattimentale e la contraddittorietà della motivazione, non avendo peraltro il medesimo giudicante formulato
un vero e proprio giudizio prognostico non spiegando perché sia imprevedibile che,
all’esito del dibattimento, si giunga a diversa decisione.

Ud. in c.c.: 13 giugno 2014 — Signore/li Giancarlo — RG: 12204/14, RU: 24;

timento, bensì di non colpevolezza dei due imputati omettendo del tutto di esplici-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -Prima Sezione penale

3.2 — Va premesso che, sia in giurisprudenza che in dottrina, si è dell’avviso
che all’udienza preliminare debba riconoscersi natura processuale e non di merito,
non essendovi alcun dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il legislatore a disegnare e strutturare l’udienza preliminare, quale oggi si presenta,
all’esito dell’evoluzione legislativa registrata al riguardo, e nonostante l’ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova: lo scopo (dell’udienza preliminare) è
quello di evitare dibattimenti inutili, non quello di accertare la colpevolezza o l’in-

re sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza dì
una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento
dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione
del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l’art. 425 cod. proc. pen., comma 3 “gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”: tale
disposizione è la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza
preliminare non è l’innocenza, bensì – dunque, pur in presenza di elementi probatori
insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell’eventualità del dibattimento) – l’impossibilità di sostenere
l’accusa in giudizio. In altri termini, il provvedimento ai sensi dell’art. 425 cod. proc.
pen., pur motivato sommariamente, assume natura di sentenza solo perché la valutazione dopo il contraddittorio svolto in udienza preliminare è difforme da quella del
pubblico ministero, ed implica assunzione del giudice della scelta d’inibire allo stato
l’esercizio dell’azione penale contro l’imputato, salvo potenziale revoca. Pertanto, a
fronte del ricorso, va tenuto in conto che il controllo di questa Corte sulla sentenza
non può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal P.M., bensì solo la
giustificazione resa dal giudice nel valutarli.
3.3 — L’unico controllo ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. d)
ed e) consentito in sede di legittimità della motivazione della decisione negativa del
processo, qual è la “sentenza di non luogo a procedere”, concerne la riconoscibilità
del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti
dal pubblico ministero (Sez. 4, 27 novembre 2008, n. 2652, rv. 242500). Diversamente, si giungerebbe ad attribuire al giudice di legittimità un compito in effetti di
merito, in quanto anticipatorio delle valutazioni sulla prova da assumere. Ne deriva
che solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso
favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto, e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga a una valutazione di innocenza dell’imputato,

Ud. in c.c.: 13 giugno 2014 — Signorelli Giancarlo — RG: 12204/14, RU: 24;

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nocenza dell’imputato. Di tal che, il giudice dell’udienza preliminare deve pronuncia-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -Prima Sezione penale

può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere (Sez. 5, 15 maggio 2009,
n. 22864, rv. 244202 e successive conformi).
3.4 — Tanto premesso, deve riconoscersi come, nel caso di specie, il GUP non
sia affatto incorso in omissioni valutative e che la motivazione adottata si è correttamente esaurita nell’apprezzamento della prognosi di inutilità del dibattimento da
cui potesse scaturire uno sviluppo del materiale probatorio in senso favorevole

te (in relazione a tutti i reati contestati) che, in quanto esaustivamente motivata, si
sottrae a censure in questa sede di legittimità. In particolare, il giudicante ha ritenuto che il comportamento adesivo dei ricorrenti e la condivisione degli interessi a
sottrarsi a un controllo istituzionale non fosse improntata, sulla base degli elementi
acquisiti, al forzamento del posto di blocco a tutti i costi, vale a dire anche a costo
di ledere l’incolumità delle parti offese.
4. — Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende
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per questi motivi
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 13 giugno 2014

Il C sigliere estensore

Il Presidente

all’accusa. In altre parole, il giudizio ha svolto una stima valutativa logica e coeren-

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