Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2813 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2813 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LICARI SALVATORE N. IL 18/08/1974
GENNA GIANCLAUDIO RAIMONDO N. IL 03/10/1979
avverso la sentenza n. 349/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
29/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/10/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Angelo Di Popolo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
per la parte civile è presente l’avv. Rosanna Fratarcangeli, in sostituzione
dell’avv. Roberto Ferrara, la quale si riporta alle conclusioni scritte, che deposita
unitamente alla nota spese;
per gli imputati è presente l’avv. Giacomo Frazzitta, in sostituzione dell’avv.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 gennaio 2013, la Corte d’appello di Palermo riformava
parzialmente la sentenza del 28 aprile 2011 del Tribunale di Marsala, con la
quale Licari Salvatore e Genna Gianclaudio Raimondo, rispettivamente capitano e
dirigente della squadra di calcio Real Marsala, erano condannati per diverse
ipotesi di minaccia aggravata, ingiuria aggravata, minaccia nei confronti di
pubblico ufficiale e lesioni in danno dell’arbitro federale Santangelo Francesco,
durante e dopo un incontro di calcio; la Corte territoriale derubricava le ipotesi di
minaccia nei confronti di pubblico ufficiale in tentata violenza privata, con
conseguente rideterminazione della pena.
2.

Propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con atto del

difensore, avv. Stefano Pellegrino, affidato a tre motivi:
a) violazione dell’art. 606 c.p.p., lettera E, per mancanza e manifesta illogicità
della motivazione, in relazione ad alcune deduzioni dell’atto d’appello,
rappresentate dalla eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio, per
violazione dell’articolo 552 cod. proc. pen., in relazione alla identità degli
imputati (risulta la citazione di tal Brignone Francesco); in riferimento alle
contraddizioni emerse durante la deposizione della persona offesa; in
considerazione della condotta successiva al reato tenuta dalla stessa (l’arbitro si
fece una doccia invece di rivolgersi ad un medico, come sarebbe stato logico); in
relazione alle dichiarazioni rese dai testi Isaia, Volpe e Genna Agostino, che
contraddicono quelle della vittima;
b) violazione di legge in relazione agli articoli 357 e 61 n. 10 cod. pen., poiché
una volta esclusa la qualifica di pubblico ufficiale dell’arbitro di gara andava
esclusa anche l’aggravante di cui all’articolo 61 n. 10 cod. pen., cosa che non è
avvenuta, se si considerano gli aumenti di pena applicati nella continuazione,
incompatibili con le ipotesi non aggravate dei reati;
c) violazione di legge in relazione agli articoli 539 e 541 cod. proc. pen., poiché
una volta ridotta la pena, andava ridotto anche l’ammontare dei danni e delle
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Stefano Maria Pellegrino, che chiede l’accoglimento del ricorso e dei motivi nuovi.

spese processuali liquidate alla parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso degli imputati va rigettato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1 L’eccezione di nullità del decreto di citazione è stata rigettata dal Tribunale di

osserva che la nullità del decreto di citazione di cui alla lettera A dell’art. 552
cod. proc. pen. si realizza solamente quando “l’imputato non è identificato in
modo certo” e dunque il dubbio si riverberi sull’instaurazione di rapporto
processuale con un soggetto che potrebbe essere, nella sua connotazione fisica,
diverso dall’autore effettivo dell’azione criminosa per cui si procede. La nullità
non si determina quando vi siano solo incertezze lessicali del nome o cognome
dell’imputato, o per l’erronea indicazione della data di nascita, ma non vi siano
dubbi in ordine all’identità dell’imputato tratto a giudizio con colui nei cui
confronti è stato promosso il procedimento. Nel caso di specie i nomi dei tre
imputati sono correttamente riportati in altri due passaggi del decreto e l’errore
materiale riguarda solo la parte relativa alla citazione per l’udienza, tanto che la
notifica è stata correttamente eseguita in favore di Licari e Genna, che hanno
anche rilasciato nomina e procura speciale al difensore per questo procedimento,
dopo aver ricevuto il decreto.
In tal senso si è pronunciata in più occasioni questa Corte, osservando che non
è causa di nullità del decreto di citazione e degli atti ad esso conseguenti
l’erronea indicazione delle generalità dell’imputato, qualora l’atto abbia raggiunto
i suoi effetti e l’imputato ne abbia avuto conoscenza (Sez. 4, Sentenza n. 36794
del 02/07/2004, Palermo, Rv. 229762) e che non è causa di nullità del decreto di
citazione l’indicazione di una diversa data di nascita del soggetto chiamato a
giudizio, qualora la sua identità non risulti incerta (Sez. 6, n. 41714 del
02/10/2006, Capezzuto, Rv. 235295).
2.2 Con riferimento poi ai vizi di illogicità e mancanza di motivazione, per
omesso esame delle doglianza formulate con l’atto di appello e riguardanti
presunte contraddizioni in cui sarebbe incorsa la persona offesa nel narrare i fatti
nonchè il diverso tenore delle dichiarazioni dei testi escussi, la sentenza
impugnata in maniera coerente e priva di cadute logiche fornisce una risposta
esplicita a tutte le censure, poiché afferma che la circostanza che l’arbitro di gara
volesse fare una doccia non era incompatibile con le lesioni riportate, attesa la
non grave entità, come anche la scelta del Pronto Soccorso di Partinico, in luogo

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Marsala con l’ordinanza del 1 dicembre 2008, nella quale correttamente si

di quello di Marsala, più vicino, considerato anche che fu accompagnato dal
padre, che era alla guida dell’auto. Anche la certezza dell’identificazione degli
imputati è logicamente argomentata, poiché fondata sulla identificazione
avvenuta prima della gara con documenti identificativi e sul numero di maglia,
oltre che sulla fascia da capitano, indossata dal Licari.
Infine le differenze nel narrato dei testi di difesa (in particolare Isaia Pietro
Giovanni) sono spiegate dalla Corte territoriale per il chiaro interesse a sminuire

quale essi pure appartenevano, non senza rilevare le significative conferme
sostanziali della dinamica dei fatti derivanti dal loro racconto.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché, contrariamente a
quanto affermato dal ricorrente, l’aggravante di cui all’articolo 61 n. 10 cod.
pen., in relazione ai reati di ingiuria, minaccia e lesioni volontarie, è stata
esclusa; il ricorrente desume il riconoscimento dell’aggravante dall’entità
dell’aumento di pena determinato per la continuazione, con ciò trascurando il
principio, affermato da questa Corte, anche a nella sua composizione più
prestigiosa, che in tema di trattamento sanzionatorio del reato continuato,
l’aumento deve essere effettuato procedendo con il metodo della moltiplicazione
sulla pena base, in questa rimanendo assorbite le pene per i reati satelliti anche
quando si dovesse determinare la trasformazione della pena pecuniaria in pena
detentiva e ciò perché la continuazione determina la perdita dell’autonomia
sanzionatoria dei reati meno gravi a causa della loro confluenza nella pena unica
applicata a seguito di tale aumento (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997 – dep.
03/02/1998, Varnelli, Rv. 209486; Sez. U, Sentenza n. 5690 del 07/02/1981,
Viola, Rv. 149259; più recentemente, Sez. 3, n. 44414 del 30/09/2004,
Novaresio, Rv. 230490).
4. Infine il terzo motivo, riguardante la mancanza riduzione dell’ammontare dei
danni e delle spese processuali, in considerazione della riduzione della pena, è
inammissibile, poiché generico e meramente assertivo, oltre che proposto per la
prima volta in sede di legittimità.
4.1 Sul punto basta ricordare che la proposizione di un motivo nuovo è in
contrasto con la disposizione dell’art. 606, comma 3, nella parte in cui prevede la
non deducibilità in Cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di
appello; infatti il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è
delineato dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il quale ribadisce in forma
esplicita un principio già enucleabile dal sistema, e cioè la commisurazione della
cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e
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la gravità della condotta degli imputati, che erano tesserati della società alla

degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (artt. 581, 1°
co, lett. e) e 591, 1° co., lett. c) cod. proc. pen.) – sono funzionali alla
delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle
relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione; il combinato
disposto dell’art. 606, comma 3 e dell’art. 609, comma 1 impedisce la
proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e,
come rileva la più recente dottrina, costituisce un rimedio contro il rischio

impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione
del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in
anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza, con riguardo
al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica
giurisdizionale.
Con riferimento poi alla statuizione relativa alle spese del processo in favore
della parte civile, va ribadito il principio affermato da questa Sezione, secondo
cui è inammissibile, in quanto generico, il motivo di ricorso per cassazione che
ne censuri l’entità, omettendo di indicare la specifica violazione di voci tabellari
ipoteticamente liquidate in forma eccedente i minimi tariffari (Sez. 5, n. 22600
del 19/03/2010, Fusetti, Rv. 247357).
4. In conclusione i ricorsi proposti dagli imputati vanno rigettati, con
conseguente condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
4.1 Al rigetto consegue altresì la condanna in solido alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile, liquidate per il grado in C 2.200,00 complessivi, oltre
accessori, come per legge.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché in solido alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile,
che liquida globalmente in complessivi C 2.200,00, oltre accessori secondo legge.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
Il consigliere,estensore

Il presidente

concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento

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