Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28127 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28127 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
Procuratore generale della Corte di appello di Bologna
e da
1) Mtibaa Walid

n. il 30 novembre 1978

2) Chelly Nadim

n. il 9 maggio 1982

avverso
la sentenza 16 giugno 2013

Corte di Assise d’Appello di Bologna;

sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr.
Oscar Cedrangolo, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha
chiesto, in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla giudizio di comparazione delle
circostanze ex art. 69 cod. pen. e la trasmissione degli atti alla Corte di Assise
d’Appello di Bologna per nuovo giudizio e la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi degli imputati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende;

Data Udienza: 11/06/2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -Prima Sezione penale

udito il difensore avv. Claudia Pezzon che per Mtibaa Walid ha concluso per raccoglimento dei motivi di ricorso e il rigetto del ricorso del Procuratore generale;
udito il difensore avv. Alessandro Cristo fori che per Chelly Nadim ha concluso per

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raccoglimento dei motivi di ricorso e il rigetto del ricorso del Procuratore generale;

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata in data 16 giugno 2013, depositata in cancelleria
il 17 luglio 2013, la Corte di Assise d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza
26 settembre 2012 della Corte di Assise di Bologna che, ai sensi dell’art. 530 comma secondo cod. proc. pen., aveva assolto Mtibaa Walid e Chelly Nadim dal reato
loro ascritto di omicidio commesso in data 6 maggio 2011, in Bologna, ai danni di

premeditazione, su appello proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di
Appello di Bologna e del PM presso la Procura di Bologna, dichiarava i predetti responsabili del reato addebitato, e, esclusa l’aggravante dei motivi abbietti, applicate
le attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen., ritenute prevalenti rispetto alla residuale aggravante della premeditazione, li condannava alla pena ritenuta di giustizia.
1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata
Mtibaa Walid e Chelly Nadim hanno agito in concorso con El Aydi Mohamed alias
Hammada Ben Chobba (non giudicato in questo processo per la sua latitanza) che
materialmente, dopo che il Mtibaa aveva colpito la vittima con pugni e calci, sferrava al Naffati cinque coltellate nella zona inguino-femorale cagionandone la morte
per shock emorragico, e ciò mentre Chelly Nadim attendeva su una vettura con il
motore acceso ove veniva poi raggiunto dai sodali a omicidio compiuto.
1.2. — La Corte di Assise di Appello chiariva che il primo giudice aveva ritenuto
non sufficiente il materiale probatorio raccolto essendo, a suo dire, emerso unicamente che, dalle telecamere installate nella via in cui era stato commesso l’omicidio, i tre tunisini si erano trovati sul posto al momento del fatto. Il giudice di primo grado aveva inoltre rilevato che era risultato dalle dichiarazioni rese dagli odierni ricorrenti, e più precisamente il Mtibaa alla Questura di Parma e il Chelly alla

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Naffatí Hedi, delitto aggravato dall’aver commesso il fatto per motivi abbietti e con

Polizia austriaca, che entrambi conoscevano il Ben Chobba essendo tutti originati di
Sfax (Tunisia) e che il Ben Chobba si era recato a Vienna dal Chelly pregandolo di
accompagnarlo in Italia (non avendo il Chobba la patente di guida) e, giunti a Parma, si erano uniti al Mtibaa e quindi, tutti insieme, si erano recati a Bologna stabilendo il contatto con il Naffati con gli esiti noti.
I due sodali avevano altresì riferito che, seppur a conoscenza del fatto che molto tempo prima il Naffati, insieme al fratello, aveva ucciso in Tunisia un fratello del
Ben Chobba, omicidio per il quale il Naffati era stato condannato ma poi era riuscito

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Mtibaa Walicl — RG: 42531/13, RU: 11;

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a evadere dalla prigione approfittando di avvenimenti insurrezionali verificatesi in
quel Paese, non sapevano delle intenzioni vendicative del sodale, né erano al corrente che quello fosse armato di coltello, né avevano condiviso con il Ben Chobba lo
spirito di rivalsa.
Inoltre, aveva ritenuto ancora il primo giudice, che le dichiarazioni delle persone
informate sui fatti quali Ben Saleh Chokri (che, come si è visto aveva favorito il

tenute acquisibili né ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. né ai sensi dell’art. 512
bis cod. proc. pen. Anche il comportamento tenuto dagli attuali ricorrenti prima
dell’omicidio, lasciando tracce dei loro spostamenti in Italia e avendo preso contatti
con le rispettive Polizie a fatto avvenuto, facevano pensare a una carenza di responsabilità.
Ciò posto, la Corte territoriale provvedeva in data 21 marzo 2013, in sede di
rinnovazione istruttoria ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., all’esame di Belmabrouk Abdelazíz, acquisendo poi, ex art. 512 cod. proc. pen., non solo le dichiarazioni a suo tempo da lui avanzate ma anche quelle del Ben Saleh Chokri ritenendo
che non fosse affatto prevedibile all’epoca della assunzione delle due persone informate sui fatti che le stesse non sarebbero state presenti a dibattimento avendo
ricevuto il permesso di soggiorno in Italia per motivi politici, sicché era loro interesse rimanere nel nostro Paese.
Sulla base dell’intero compendio di prova, la Corte di Assise di Appello mutava
giudizio rispetto al primo giudice basandosi, in particolare, sulle dichiarazioni rese
dal Belmabrouk che aveva riferito che il Mtibaa, contrariamente a quanto da questi
assunto, aveva partecipato fattivamente al reato, contattando fisicamente la vittima per primo, ingiuriandolo pesantemente e poi colpendolo con violenti pugni al
viso facendosi poi da parte per consentire al Ben Chobba, che gli stava dietro, di

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contatto dei tre tunisini con la vittima) e Beimabrouk Abdelaziz non erano state ri-

sfoderare il coltello nascosto tra i vestiti colpendolo più volte. Ma, ancor prima, il
Mtibaa, fungendo da interprete conoscendo bene l’italiano a seguito della sua permanenza in Italia, si era prodigato per aiutare il Ben Chobba nella ricerca del Naffati, essendo a conoscenza del fatto omicidiario di quest’ultimo in Tunisia. Anche il
Chelly, secondo la Corte territoriale aveva avuto il proprio ruolo conducendo quella
vettura che il Ben Chobba non era in grado di guidare per essere sprovvisto della
patente e, rimasto in macchina con il motore acceso, era rimasto a disposizione per
consentire ai sodali di darsi alla fuga. La responsabilità del prevenuti era da ritener-

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si dunque provata, con esclusione, per entrambi, del concorso ex art. 116 cod. pen.
e dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite i propri rispettivi difensori avv.ti
Claudia Pezzoni e Alessandro Cristofori, hanno interposto tempestivo ricorso per
cassazione Mtibaa Walid e Chelly Nadim nonché il Procuratore Generale territoriale

In particolare dal ricorrente Mtibaa Walid, con ricorso redatto a ministero dell’avv. Claudia Pezzoni, sono stati sviluppati tre motivi di gravame:
a) con la prima doglianza veniva rilevata la carenza, contraddittorietà ovvero
manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 512 cod. proc. pen., ai
sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.; le argomentazioni addotte dal giudice sul
punto sono insufficienti ovvero illogiche avendo ritenuto, da un lato, che il principio
giurisprudenziale espresso dalle sezioni unite della Cassazione dovesse applicarsi
solo per le fonti da ritenersi esclusive e determinanti e non anche per quelle meramente significative, quando poi ha ritenuto la testimonianza di Belmabrouk tale da
essere appunto esclusiva e determinante tanto da essere sufficiente a ribaltare la
decisione di primo grado; anche in relazione alla testimonianza di Ben Chokri il giudice si è limitato ad aderire alla tesi prospettata dalla pubblica accusa contraddicendosi là ove ha poi ritenuto di acquisire un verbale ritenuto scarsamente importante.
b) con la seconda censura veniva eccepita la carenza, contraddittorietà ovvero
manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., ai
sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.; il giudice è venuto meno ai canoni valutativi della prova di responsabilità in realtà non ravvisabile; non si comprende peraltro a quale altro contesto probatorio il giudice faccia riferimento oltre alle dichia-

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chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

razioni di Belmabrouk atteso che mancano testi o riprese video che comprovino la
partecipazione del Mtibaa all’omicidio al di fuori della presenza fisica del soggetto;
inoltre la testimonianza è stata ritenuta dallo stesso giudice imprecisa e confusionaria e, ciò nonostante, sufficiente per fondare la responsabilità del ricorrente. Inoltre
nulla dice il giudice in relazione alle dichiarazioni provenienti dal Ben Chobba e rese
in Tunisia.
c) con il terzo motivo di gravame veniva evidenziata la carenza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione in relazione all’aggravante della
premeditazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.; il giudice di secondo

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grado ha solo apparentemente valutato gli indici rivelatori della premeditazione; in
punto di movente non risulta provato quanto il giudice assume in sentenza, vale a
dire che il Mtibaa facesse parte del clan di Ben Chobba ostile ai Naffati; il ricorrente
era in Italia da moltissimo tempo, sicché è facile ritenere che fosse estraneo a vicende che riguardavano il proprio paese di origine; anche in punto di comportamento anteriore all’omicidio tenuto dai tre non è compatibile con la volontà di
commettere un omicidio così come l’aver rilasciato informazioni alla Polizia dopo il

Ben Chobba fosse armato quando invece è provato che il Mtibaa precedette il Ben
Chobba sul luogo del delitto essendo quest’ultimo tornato indietro a prendere il coltello dal bagagliaio della vettura che nascose sotto il giubbino.
— Per il ricorrente Chelly Nadim, con ricorso redatto a ministero dell’avv. Alessandro Cristofori, la doglianza vede sull’insufficienza dell’apparato motivazionale in
relazione alla valutazione della prova e violazione di legge, ai sensi dell’art. 606
lett. b) c) ed e) cod. proc. pen.; il giudice di secondo grado altro non ha fatto se
non richiamare le dichiarazioni di Belmabrouk e Ben Chokri aderendo alle tesi accusatorie; veniva censurata la motivazione del giudice di aver ritenuto non prevedibile
la irreperibilità dei due testi pur essendo gli stessi senza fissa dimora così come non
pertinente è l’aver ritenuto la prossimità del processo a carico di detenuti perché
relativa allo stato di libertà degli imputati piuttosto che alla prevedibilità della presenza dei testi; inoltre, nonostante che il Belmabrouk sia stato sentito in dibattimento e il contenuto delle dichiarazioni di Ben Chokri sia stato ritenuto di scarsissima importanza il giudice ha provveduto ugualmente alla loro acquisizione illegittima; in ogni caso, il giudice non ha chiarito come le dichiarazioni accusatorie del
Belmabrouk si siano potute riverberare anche contro l’imputato Chelly atteso il
comportamento da lui tenuto ante delictum e non essendo sufficiente il fatto che il
Chelly conoscesse il Ben Chobba o che attendesse in macchina, non essendovi prova altresì della consapevolezza della presenza del coltello nella vettura; scarsamente motivato è anche il diniego della ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen. e dell’attenuante di cui all’art. 114; parimenti non argomentata e la ritenuta sussistenza
della premeditazione.
— Dal Procuratore Generale, sono stati sviluppati tre motivi di gravame:
a) con la prima doglianza veniva rilevata la carenza, contraddittorietà ovvero
manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di prevalenza delle
attenuanti generiche (art. 606 lett. e) cod. proc. pen.); il giudice ha adottato un

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fatto; il giudice dà inoltre per dimostrato che il Mtibaa fosse a conoscenza che il

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argomento di puro stile come quello di aver voluto adeguare la pena al fatto senza
distinguere i ruoli avuti dai due imputati che, per contro, sono stati differenti tra
loro, né chiarire perché il loro contributo sia stato così minimo da ritenere le attenuanti in questione prevalenti. Peraltro il Mtibaa non ha affatto, contrariamente a
quanto sostenuto in sentenza, dei buoni precedenti così come non rilevante è il fatto che i ricorrenti abbiano reso dopo il fatto dichiarazioni alla polizia essendo stati

b) con la seconda censura veniva eccepita la carenza, contraddittorietà ovvero
manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla diminuzione della pena
per le attenuanti generiche nella massima estensione, ai sensi dell’art. 606 lett. e)
cod. proc. pen.;
c) con il terzo motivo di gravame veniva evidenziata la carenza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla fissazione della
determinazione della pena base.

Motivi della decisione
3. — Il ricorso di Chelly Nadim è fondato e merita accoglimento. Il ricorso di Mitbaa è invece privo di fondamento e va respinto con le determinazioni di legge. Parimenti da rigettare è il ricorso del Procuratore generale.
3.1 — Il primo motivo del ricorso Mtibaa Walid a firma dell’avv. Claudia Pezzoni,
non è fondato e deve essere respinto.
3.1.1 — La censura difensiva di natura procedurale è irrilevante e non tiene
conto del fatto che la problematica sollevata in punto di applicazione dell’art. 512
cod. proc. pen. in relazione alle dichiarazioni del Belmabrouk è del tutto superata,
posto che il medesimo è stato sentito in dibattimento all’udienza del 21 marzo
2011, sicché è questa la prova dichiarativa di riferimento (su cui il giudice ha fondato il proprio giudizio di responsabilità) avendo inglobato in sé le dichiarazioni precedenti. Le argomentazioni spese dalla Corte territoriale sono rese solo ad abundantiam e non incidono sul piano processuale.
3.1.2 — Parimenti irrilevanti, oltre che infondate, sono le censure che attengono
all’acquisizione ex art. 512 cod. proc. pen. del verbale di Ben Chokri.

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necessitati a farlo essendo stati notati sul luogo del delitto;

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Sulla problematica va ricordato che, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen.,
l’imprevedibile sopravvenuta impossibilità della ripetizione della prova orale rende
le precedenti dichiarazioni del testimone leggibili in dibattimento e quindi acquisibili
nel fascicolo dibattimentale a mente dell’art. 515 cod. proc. pen. La irripetibilità,
che costituisce ii cardine del meccanismo di recupero al fascicolo dei dibattimento
delle dichiarazioni rese in sede d’indagini disciplinato da detta disposizione attiene
al procedimento di assunzione della prova, ovverosia alla ‘ripetizione dell’assun-

di vista fenomenico — e perciò oggettivamente, dal punto di vista processuale —
irrealizzabile e non quindi al contenuto della prova e cioè al risultato del procedimento acquisitivo (alle dichiarazioni, rese o non rese). L’oggettiva, nel senso indicato di fenomenica, e imprevedibile sopravvenuta impossibilità di dar corso al procedimento probatorio (all’assunzione) comporta ex se l’acquisizione mediante lettura dell’atto al fascicolo del dibattimento in base al combinato disposto degli artt.
515 e 512 cod. proc. pen.
Tanto non basta tuttavia a rendere senz’altro e senza limiti utilizzabili per la decisione le dichiarazioni acquisite unilateralmente dall’accusa (che non esauriscono,
è bene sottolinearlo fin d’ora, il catalogo delle dichiarazioni acquisibili ex art. 512
cod. proc. pen.), giacché la norma che disciplina l’utilizzabilità ai fini della decisione
delle prove è in realtà l’art. 526 cod. proc. pen., comma 1 bis che infatti dispone
che ‘la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame
dell’imputato e del suo difensore’.
È dunque la regola dell’art. 526 cod. proc. pen., comma ibis, che impedisce al
giudice di fondare la decisione su una prova dichiarativa acquisita mediante il meccanismo di recupero dell’art. 512 cod. proc. pen., se non a tre condizioni. La prima,
del tutto esplicita, concerne l’ambito e il verso della decisione in relazione alla quale

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zione dell’atto dichiarativo’ (C. cost. n. 375 del 2001), che deve risultare dal punto

opera la regola di inutilizzabilità: solo ai fini dell’affermazione di colpevolezza
dell’imputato. La seconda, pure esplicita, riguarda l’atteggiamento soggettivo del
dichiarante: la ragione che ha reso impossibile la ripetizione dell’esame, che deve
risiedere in una scelta libera di sottrarsi al contraddittorio. La terza discende inequivocabilmente dall’origine storica e dalla ragione sistematica della previsione ed è
implicita nell’enunciato linguistico, che parla di ‘colpevolezza’ provata”sulla base’ e
che ben si presta a essere interpretato nel senso che il divieto opera solo nelle situazioni in cui la prova costituisce il fondamento esclusivo o determinante dell’af-

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fermazione di colpevolezza. Basterà ricordare sul punto che la disposizione è stata
introdotta dalla L. n. 63 del 2001 quale traduzione codicistica (con aggiustamenti
esclusivamente formali) del precetto recato dalla seconda parte dell’art. 111 Cost.,
comma 4, come novellato a seguito della Legge Costituzionale n. 2 del 1999, la
quale a sua volta si proponeva di rendere espliciti a livello costituzionale i principi
del giusto processo enunciati dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. E per giuri-

la Convenzione solo nell’ipotesi in cui le dichiarazioni della persona alla quale
l’imputato o il difensore non hanno potuto porre domande costituiscano la base esclusiva della condanna o contribuiscono in maniera determinante ad essa (tra molte: sent. 13 ottobre 2005, Bracci v. Italia; sent. 20 aprile 2006, Carta v. Italia;
sent. 19 ottobre 2006 Majdallah v. Italia; sent. 8 febbraio 2007 Kollcaku v. Italia, e
i precedenti in tutte citati).
Il tenore normativo, d’altronde, da un lato arricchisce la garanzia con la prescrizione della imprevedibilità, dall’altro è suscettibile d’applicazione anche in relazione
ad atti a favore dell’imputato, a prove assunte dal suo difensore, alle dichiarazioni
raccolte in udienza preliminare. Una sua interpretazione nel senso che la lettura sarebbe preclusa in caso di oggettiva impossibilità di ripetere l’assunzione dell’atto
imputabile a un comportamento volontario anche se non libero del dichiarante, impedirebbe l’utilizzazione delle dichiarazioni rese fuori dal contraddittorio anche se il
dìchìarante si fosse sottratto ad esso perché sottoposto a minacce; mentre, a tentare dì correggere tale interpretazione nel senso di ritenere che la lettura è preclusa
in caso di oggettiva impossibilità dipendente da comportamento volontario e libero
del dichiarante (come potrebbero far intendere, nonostante i percorsi motivazionali
non del tutto espliciti, il principio affermato da Sez. 2, n. 43331 del 18 ottobre
2007, Poltronieri o rv. 223731 tratta da Sez. 6, n. 8384 in data 8 gennaio 2003,
Pantini), la norma sopravanzerebbe la portata di garanzia a presidio dell’imputato
dell’art. 526 cod. proc. pen., comma ibis e della stessa previsione dell’art. 111
Cost., art. 17 Cost., comma quarto dell’art. 111 Cost., perché si presterebbe a inibire il meccanismo di lettura acquisizione, e quindi in radice la utilizzabilità, anche
delle prove dichiarative a favore dell’imputato, da chiunque assunte.
3.1.3 — Ciò posto, si osserva che non vi era motivo di ritenere allora che lo
straniero in questione (ma analogo discorso varrebbero anche per il Belmabrouk se
le sue dichiarazioni, come più sopra rilevato, non fossero state superate, dalla sua

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sprudenza costante della Corte EDU l’assenza di contraddittorio è incompatibile con

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audizione in dibattimento) si dovesse rendere necessariamente irreperibile (essendo
titolare di un permesso di soggiorno per motivi politici).
Le argomentazioni spese sul punto, circa la menzionata presuntiva attesa di irreperibilità, scadono infatti qui al rango di mere illazioni comunque d’ordine meramente fattuale, dei tutto improponibili in questa sede. A ciò si deve peraltro aggiungere, in punto di costituire o meno le dichiarazioni del Ben Chokri il fondamento

chiarazioni del Belmabrouk il problema come si è osservato non si pone essendo
stato esaminato in dibattimento), che il secondo giudice è stato esplicito nel ritenere le medesime di scarsa rilevanza probatoria, valutazione che ha peraltro seguito
l’acquisizione piuttosto che precederla (e non poteva essere diversamente) sicché
solo dopo averla fatta entrare nel fascicolo dibattimentale il giudicante poteva avvedersi, così come ha fatto, della sua sostanziale non incidenza.
3.2 — Anche il secondo motivo del gravame Mtibaa è privo di pregio e va rigettato.
3.2.1 — Le dichiarazioni di Belmabrouk, come analiticamente esaminate dal
giudice, sono per contro determinanti per delineare la penale responsabilità del ricorrente. Poco o nulla deve rilevare il fatto che le dichiarazioni un tempo rese a
verbale dallo stesso teste possano esser state non precise, atteso che la deposizione dibattimentale ha consentito di raccogliere tutti quelle ulteriori elementi utili e
sufficienti per delineare il coinvolgimento dell’imputato. Il giudice ha altresì fatto
riferimento anche alle dichiarazioni del Ben Chobba di cui alla missiva in atti ritenendole, trattando della pena, come predisposte ai soli fini difensivi dei connazionali.
3.3 — Parimenti manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione
formulato in punto di riconoscimento dell’aggravante della premeditazione.
3.3.1 — Va premesso che, secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza
di questa Corte di legittimità, il riconoscimento della premeditazione, configurata
come circostanza aggravante nei delitti di omicidio volontario e di lesioni personali,
è condizionato dal positivo accertamento di due presupposti, uno cronologico, altro
soggettivo, rispettivamente rappresentati da un apprezzabile, ma non preventivamente individuato dalla norma di legge, lasso di tempo intercorso tra l’insorgenza
del proposito criminoso e la sua attuazione concreta, tale comunque da consentire

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esclusivo o determinante dell’affermazione di colpevolezza del ricorrente (per le di-

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la possibilità di riflessione circa la possibilità e l’opportunità del recesso, e dalla
perdurante determinazione criminosa nell’agente senza soluzioni di continuità e
senza ripensamenti dal momento del concepimento dell’azione antigiuridica fino alla
sua realizzazione. Il legislatore ritiene dunque meritevole di una punizione più severa colui che, rispetto alla situazione di ideazione e normale riflessione che usualmente precede l’agire umano, si distingue per la particolare fermezza e costanza

nei tempo dell’intenzione criminosa, di chi persevera senza incertezze nell’intento a

tà a delinquere.
Si è altresì affermato che l’elemento cronologico non si presta in sé ad una
quantificazione minima, valevole in astratto per ogni caso, ma richiede un’estensione temporale tale da consentire all’agente la riconsiderazione della decisione assunta e da far prevalere la spinta al crimine rispetto ai freni inibitori. La ricostruzione probatoria della premeditazione non può esaurirsi nel mero accertamento della
preventiva acquisizione dei mezzi, dei luoghi e degli strumenti materiali coi quali
tradurre in pratica il proposito illecito, comportamento questo non qualificante perché antecedente anche una risoluzione criminosa assunta in via estemporanea e poi
attuata: è quindi necessario fare ricorso ad elementi estrinseci e sintomatici, individuati a livello esemplificativo nella causale dell’azione, nell’anticipata manifestazione dell’intento poi attuato, non contraddetto da condotte opposte, nella ricerca
dell’occasione propizia, nella meticolosa organizzazione e nell’accurato studio preventivo delle modalità esecutive, nella violenza e reiterazione dei colpi inferii
(Cass., S.U., n. 337 del 18 dicembre 2008, Antonucci, rv. 241575; Sez. 1, 5 dicembre 2011, n. 47880, Zhang Yng, rv. 251409; Sez. 1, 9 novembre 2011, n.
47250, Livadia, rv. 251502; Sez. 1, 6 febbraio 2007, n. 7970, P.G. in proc. Francavilla, rv. 236243, sez. 1, 21 maggio 2004, n. 24733, Defina, rv. 228510).
3.3.2 — Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato prova di corretta ap-

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dimostrazione della maggiore intensità del dolo e quindi di una più spiccata capaci-

plicazione dei superiori principi giuridici, propri della costante lezione interpretativa
della giurisprudenza di questa Corte. Con motivazione esente da qualsiasi vizio logico o giuridico, ha valorizzato, quali elementi univocamente indicativi della premeditazione: la coordinazione operativa del ricorrente che, ai fini di garantire il successo dell’azione aggressiva del Ben Chobba, iniziata immediatamente appena raggiunto il Neffati, ha prima insultato la vittima e poi l’ha picchiata violentemente in
modo da vanificare qualsivoglia sua reazione difensiva. à peraltro appena il caso di
rilevare che l’efficacia di accrescimento quantitativo della pena dell’aggravante della

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -Prima Sezione penale
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premeditazione è stata nello specifico elisa nel giudizio di comparazione ex art. 69
cod. pen. atteso che le attenuanti applicate sono stata ritenute prevalenti.
4. — Il ricorso di Chelly Nadim è per contro fondato e va accolto.
4.1 — Va però innanzitutto osservato che non si comprende da dove la difesa
abbia dedotto il fatto che Belmabrouk e Ben Chokri fossero stranieri senza fissa di-

tanto inammissibile. Inoltre non si capisce parimenti il motivo per il quale, una volta che il giudice ha ritenuto di poter accedere all’ipotesi di cui all’art. 512 cod. proc.
pen., non dovesse acquisire al fascicolo dibattimentale anche il relativo verbale di
sommarie informazioni, atteso che detta acquisizione si rese necessaria onde procedere alle contestazioni del caso, visto che il teste si era mostrato confuso e impreciso durante il proprio esame.
4.2 — Ciò posto, va rilevato che la sentenza gravata palesa un deficit argomentativo in punto di indicazione del supporto probatorio da cui è stata tratta la convinzione della responsabilità concorsuale del Chelly che, a differenza dello Mtibaa, non
spalleggiò l’autore materiale durante l’esecuzione dell’omicidio.
Non viene invero esplicitato, e il Beimabrouk nulla dice al riguardo nella sua deposizione dibattimentale, in base a quali concreti elementi si è ritenuto che anche
Chelly, e non solo Mtibaa, abbia avuto modo di accorgersi del fatto che Ben Chobba aveva preso con sé l’arma bianca utilizzata nell’omicidio e, inoltre, che intendeva
utilizzarla per uccidere il Naffati. Il giudice non dà neppure contezza delle ragioni
del proprio convincimento che il Chelly facesse parte di una fazione avversa ai Naffati e che dunque vi fosse una comunanza di interessi o quantomeno un’adesione
al progetto di vendetta del Ben Chobba nei confronti del Naffati, progetto condiviso
da Mtibaa, come desunto dal suo comportamento, ma di cui non risulta fosse stato
messo a parte anche il Chelly.
Il giudice del rinvio dovrà pertanto, in piena libertà valutativa, colmare le lacune
motivazionali rilevate in punto esistenza degli estremi per potere affermare la corresponsabilità di questo imputato a titolo di concorso pieno, ovvero anomalo,
nell’omicidio.
5. — Da respingere è invece il ricorso del Procuratore generale. Il gravame si
profila meramente sviluppato in fatto e volto a sollecitare una non consentita rivalutazione degli elementi esaminati dal giudice del merito con adeguato apparato
argomentatìvo espressione del suo potere discrezionale di cui ha dato ampia ed e-

Pubblica udienza: 11 giugno 2014 — Mtibaa Walid — RG: 42531/13, RU: 11;

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mora. Tale specifica indicazione è in questa fase di legittimità non dimostrata e per-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -Prima Sezione penale

saustiva contezza in punto dosimetrico.
6. — Al rigetto del ricorso di Mitbaa Walid consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
7. – A norma dell’art. 624-bis c.p., essendo il Chelly in primo grado stato assolto, all’annullamento della sentenza di appello nei suoi confronti deve seguire la ces-

per questi motivi
annulla la sentenza impugnata nei confronti di Chelly Nadim e rinvia per nuovo
giudizio ad altra sezione della Corte di Assise d’Appello di Bologna.
rigetta il ricorso del Procuratore Generale della Repubblica e il ricorso di Mitbaa
Walid che condanna al pagamento delle spese processuali.
Visto l’art. 624 bis cod. proc. pen. dispone la cessazione della misura cautelare
della custodia in carcere cui è sottoposto Chelly Nadim e ne ordina la immediata
liberazione se non detenuto per altra causa; manda alla Cancelleria per la comunicazione al Procuratore Generale della Repubblica in sede per gli adempimenti di cui
all’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, I’ll giugno 2014

Il

sigliere estensore

Il Presidente

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sazione della misura cautelare cui è sottoposto.

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