Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2812 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2812 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANFRELLOTTI FELICE N. IL 01/08/1946
avverso la sentenza n. 1569/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
07/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 17/10/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Angelo Di Popolo, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
per il ricorrente è presente l’avv. Mario Castagna, in sostituzione dell’avv. Anna
Castagna, il quale chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Corte d’appello di Ancona, in data 7 giugno 2011, Manfrellotti Felice era
condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati di bancarotta
fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta documentale, con il
riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti, commessi quale legale
rappresentante della ditta individuale “Geometra Manfrellotti Felice”, avente sede
in Fabriano e dichiarata fallita il 6 luglio 2005.
2. Propone ricorso per cassazione personalmente l’imputato, con atto affidato a
sei motivi:
a)

intervenuta prescrizione del reato di bancarotta documentale, poiché le

condotte riguardanti le scritture contabili sono risalenti agli anni 2002, 2003 e
2004, per cui sono decorsi i sette anni a mezzo necessari all’estinzione;
b) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera B ed E, per inosservanza o
erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione,
in relazione all’articolo 216, n. 1, R.D. 267/1942, con particolare riferimento
all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il
ricorrente deduce che la gran parte dei beni distratti è rappresentato da beni di
consumo, i quali hanno un valore irrisorio dopo un periodo di uso, per cui non
sono riparati ma vengono soppressi;
c) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera B ed E, per inosservanza o
erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione,
in relazione all’articolo 216, n. 1, R.D. 267/1942, con particolare riferimento
all’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il
ricorrente rileva che, per il valore irrisorio dei beni distratti, deve escludersi che
un’eventuale vendita avrebbe potuto determinare un ritorno economico per
l’impresa;
d) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera B ed E, per inosservanza o
erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione,
in relazione all’articolo 216, n. 1, R.D. 267/1942, con particolare riferimento al
pregiudizio per i creditori nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, da

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1. Con sentenza del 4 marzo 2010 del Tribunale di Ancona, confermata dalla

escludersi in considerazione del valore irrisorio dei beni non ritrovati;
e) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera B ed E, per inosservanza o
erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione,
in relazione all’articolo 216, n. 1, R.D. 267/1942, con particolare riferimento
all’elemento soggettivo del reato di bancarotta documentale. Il ricorrente
contesta che il curatore non sia stato in grado di ricostruire la consistenza del
patrimonio dell’azienda, riconducendo le omissioni contabili a meri errori,

f) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera B ed E, per inosservanza o
erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione,
in relazione all’articolo 216, n. 1, R.D. 267/1942, con particolare riferimento
all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il
ricorrente ritiene che la condotta dell’imputato possa considerarsi al più colposa,
poiché gli si possono contestare solamente inesattezze, che però non hanno
influito sulla ricostruzione della contabilità dell’impresa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso dell’imputato va rigettato.
2. Il primo motivo è infondato, poiché la prescrizione dei reati maturerà
solamente in data 6 gennaio 2018, dovendosi determinare il tempo necessario
prescrivere in 12 anni e sei mesi, secondo la disciplina dettata dall’articolo 157
cod. pen., ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, in
quanto più favorevole rispetto alla precedente, che comporterebbe un termine di
15 anni.
3. Quanto agli altri motivi, poiché essi riguardano tutti la manifesta illogicità
della motivazione della decisione impugnata, con riferimento ai diversi elementi
dei reati contestati (elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta
patrimoniale; elemento oggettivo della bancarotta fraudolenta patrimoniale;
pregiudizio per i creditori nella bancarotta fraudolenta patrimoniale; elemento
soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale) è utile fare una premessa
in ordine alla deducibilità del vizio di motivazione innanzi alla Corte di
cassazione.
3.1 Ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E, il
controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei
fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che
il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:

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peraltro commessi dal professionista che le curava;

1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Sul punto va ancora precisato che l’illogicità della motivazione, censurabile a
norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), può essere solo quella
“evidente”, cioè di spessore tale da risultare percepibile

ictu ocu/i, in quanto

l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte

riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Deve
inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve
risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo
apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica
“rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla
conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura
soltanto se manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della
logica.
I termini della questione non paiono mutati neppure a seguito della nuova
formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), intervenuta a
seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, laddove si prevede che il sindacato del
giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia “effettiva” e
non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che
il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia
“manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della
logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile”
con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o
radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di Cassazione, non è quindi
consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata,
nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini
diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Parimenti non è consentito
che, attraverso il richiamo agli “atti del processo”, possa esservi spazio per una
rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi

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circoscritto. Infatti il sindacato demandato alla Corte di Cassazione, si limita al

di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini,
al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa; un
tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del

motivazione. In questa prospettiva, il richiamo alla possibilità di apprezzarne i
vizi anche attraverso gli “atti del processo” rappresenta null’altro che il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il
cosiddetto “travisamento della prova”. Si tratta di vizio in forza del quale la
Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del
contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti
onde verificare se il relativo contenuto è stato veicolato o meno, senza
travisamenti, all’interno della decisione. In questa prospettiva, per chiarire, si
può apprezzare il travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito
abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, il
testimone indicato in sentenza non esiste) o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale. Mentre, giova ribadirlo, non spetta
comunque alla Corte di cassazione “rivalutare” il modo con cui quello specifico
mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la
verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a
controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano
o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o
fraintesi, nel senso della presente motivazione.
4. Fatta questa premessa, i tre motivi riguardanti il delitto di bancarotta
fraudolenta patrimoniale sono manifestamente infondati.
4.1 Con riferimento all’elemento oggettivo della distrazione, in base alle scritture
contabili alla data del fallimento vi erano tutta una serie di beni strumentali
analiticamente descritti nel capo di imputazione per un costo storico di
€108.693,71, che risultavano nella disponibilità della ditta in epoca antecedente
e prossima al fallimento, essendo stati iscritti nel registro dei beni
ammortizzabili, ma non rinvenuti dal curatore in sede di inventario.
Orbene, questa Corte ha avuto modo di affermare costantemente che sia
l’imprenditore individuale, che è illimitatamente responsabile con tutti i beni
presenti e futuri ex art. 2740 c.c., sia gli amministratori di una società dichiarata

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fatto. La Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della

fallita, hanno l’obbligo di fornire la dimostrazione della destinazione data ai beni
acquisiti al patrimonio, in quanto la destinazione legale dei beni del debitore
all’adempimento delle obbligazioni contratte comporta una limitazione della
libertà di utilizzare gli stessi, onde dalla mancata dimostrazione può essere
desunta la prova della distrazione o dell’occultamento (Cass., sez. 5, 15
dicembre 2004, n. 3400, sez. 5, 31 gennaio 2000, n. 997, sez. 5, 17 maggio
1996, n. 9430, sez. 5, 8 ottobre 1997, n. 11703). Pertanto l’imputato avrebbe

che non ha fatto, tenuto conto che non sono state rinvenute dalla curatela.
La spiegazione fornita anche nel ricorso, secondo cui si trattava di beni di
consumo o comunque di valore prossimo allo zero, in considerazione dell’usura
derivante al tempo, è stata ritenuta dalla Corte territoriale assolutamente
inverosimile, in considerazione della tipologia dei beni (macchinari apparecchi,
attrezzature edile, fotocamera digitale, impalcatura, arredamenti, mobili e
macchine elettromeccaniche ed elettroniche di ufficio, un’autovettura Citroen BX,
impianti telefonici e telefoni).
La legge fallimentare, art. 87, comma 3 (anche prima della sua riforma) assegna
al fallito un obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento
dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla
sanzione penale. Immediata è la conclusione che le condotte descritte all’art.
216, comma 1, n. 1 (tra loro sostanzialmente equipollenti) hanno (anche) diretto
riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell’interpello.
Osservazioni che giustificano l'(apparente) inversione dell’onere della prova S .(
ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della
procedura e di assenza di giustificazione al proposito (o di giustificazione resa in
termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole
di gestione).
4.2 Quanto all’elemento soggettivo, costituisce principio ripetutamente affermato
da questa Sezione quello secondo cui nella bancarotta per distrazione l’elemento
soggettivo è costituito dal dolo generico e, quindi, dalla coscienza e volontà
dell’azione, compiuta con la consapevolezza, insita nel concetto stesso di
distrazione, del depauperamento o della possibilità del depauperamento della
società in danno dei creditori. Sul dolo non ha incidenza, quindi, nè la finalità
perseguita in via contingente dal soggetto, che è fuori della struttura del reato,
nè il recupero o la possibilità di recupero del bene distaccato, attraverso
specifiche azioni esperibili, in quanto la norma incriminatrice punisce, in analogia
alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della

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dovuto dare conto della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato cosa

sottrazione, nel quale si traduce, con corrispondente danno, ontologicamente,
ogni ipotesi di distrazione. In definitiva è sufficiente che l’agente agisca con
coscienza e volontà dell’azione e con la consapevolezza del depauperamento
della società (Sez. 5, n. 9430 del 17/05/1996, Gennari, Rv. 205921; Sez. 5, n.
3229 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932).
4.3 Quanto infine al pregiudizio per i creditori, che il ricorrente vorrebbe escluso,
in considerazione del valore irrisorio dei beni non ritrovati, valgono le medesime

5. I due motivi riguardanti la bancarotta fraudolenta documentale sono infondati.
5.1 il ricorrente ritiene che la responsabilità per la tenuta delle scritture contabili
in modo da non rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e dei
movimenti degli affari della fallita vada ricondotta al professionista che teneva la
contabilità.
Sul punto questa Sezione ha più volte affermato che l’imprenditore non va
esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un
soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche, posto che la qualifica rivestita
non esime dall’obbligo di vigilare e controllare la attività svolta dal delegato (Sez.
5, n. 11931 del 27/01/2005, De Franceschi, Rv. 231707). Il principio opera nel
caso di inquadrabilità della condotta sia in reati punibili per dolo o colpa
(bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta
fraudolenta documentale); in tale ultima ipotesi, dovrà presumersi che i dati
siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore
medesimo. Trattasi, peraltro, di una presunzione iuris tantum, che può essere
vinta da rigorosa prova contraria, prova che nel caso di specie è completamente
mancata, essendo invece emersa dalla deposizione del teste Squartini,
amministratore della società che teneva la contabilità della ditta, la difficoltà nel
farsi consegnare dall’imputato gli estratti conto, i giustificativi, gli assegni fatti e
la mancata consegna dei documenti necessari.
Quanto poi al rilievo secondo cui il curatore, attraverso uno sforzo di normale
diligenza, sarebbe stato in grado di ricostruire adeguatamente la situazione
contabile, si tratta di apprezzamento di merito, inammissibile in questa sede,
poiché la sentenza impugnata chiarisce in maniera completa, alla luce delle
deposizioni del consulente tecnico del pubblico ministero, dell’ufficiale di polizia
giudiziaria della Guardia di Finanza e dell’amministratore della società che teneva
la contabilità tutte le omissioni riscontrate, le carenze e le incompletezza della
documentazione.
5.2 Quanto infine all’elemento soggettivo del reato, essendo contestata la tenuta

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considerazioni già sviluppate a proposito dell’elemento oggettivo.

delle scritture in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o
del movimento degli affari, il dolo richiesto dalla norma penale deve essere
individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare
tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la
ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (Sez. 5, n. 48523 del
06/10/2011, Barbieri, Rv. 251709; Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero,
Rv. 247444) e non il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o

nelle ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili.
La sentenza impugnata fornisce motivazione coerente e logica sul punto,
sottolineando che le irregolarità contabili relative ai beni in leasing, alle
movimentazioni finanziarie con la Centro ricambi s.r.l. ed alle immobilizzazioni
materiali risultanti in bilancio vanno lette alla luce della condotta distrattiva,
soprattutto con riferimento ai rapporti con la società amministrata dal MORELLO
Francesco Paolo, come destinate ad impedire la ricostruzione del patrimonio
sociale.
Sotto il profilo motivazionale, va osservato che la sentenza impugnata sottolinea
che l’imputato si occupava personalmente dell’intera gestione della ditta, per cui
non possono esservi dubbi, per quanto già detto, della responsabilità del
Manfrellotti.
6. In conclusione il ricorso proposto dall’imputato va rigettato, con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
Il consigliere estensore

Il presidente

ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, richiesto invece

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