Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2811 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2811 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FASANELLA MICHELE N. IL 27/07/1971
avverso la sentenza n. 1252/2010 CORTE APPELLO di BARI, del
22/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/10/2013

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Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Angelo Di Popolo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
per la parte civile è presente l’avv. Domenico Afferrante, il quale si riporta alle
conclusioni scritte, che deposita unitamente alla nota spese;
per l’imputato è presente l’avv. Laura Neroni Mercati, in sostituzione dell’avv.
Rocco Mangino, che chiede l’accoglimento del ricorso.

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Bari confermava la sentenza
di condanna emessa in data 3 marzo 2010 dal Tribunale di Lucera, all’esito di rito
abbreviato, nei confronti di Fasanella Michele, per i delitti di violazione di
domicilio aggravata dalla violenza sulle persone e di lesioni personali in danno di
Di Milo Matteo, nonché di lesioni personali in danno di Martella Teresa.
2. Propone ricorso l’imputato, con atto redatto dai difensori, avv. Rocco Mangino
e Salvatore Tartaro, affidato a cinque motivi:
a) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera E, per contraddittorietà della
motivazione rispetto agli atti del processo, con riferimento alle dichiarazioni della
teste Pavino Maria Pia, la quale prestò i primi soccorsi alle vittime ed in
particolare alla Martella; in tale occasione la donna non indicò il nominativo del
suo aggressore;
b) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera C, per difetto ed illogicità della
motivazione rispetto all’affermazione di responsabilità, fondata sulle dichiarazioni
delle persone offese, sulla certificazione medica, sulle tracce di sangue e sulle
fotografie, ignorando la deposizione di Ercolino Matteo, di segno contrario;
c) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera E, per travisamento della prova
in relazione alle attenuanti generiche, negate per la gravità del fatto (a fronte di
lesioni lievi) e per i precedenti penali del Fasanella, consistenti in due
contravvenzioni per violazione della legge sulla caccia, per le quali è intervenuta
riabilitazione;
d) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera B, in relazione all’art. 614,
ultimo comma, cod. pen., poiché le lesioni personali non furono contestuale alla
violazione di domicilio, ma successive, per cui non poteva ritenersi integrata
l’aggravante;
e) violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lettera E, per omessa motivazione in
ordine alla applicazione della libertà controllata, espressamente richiesta, sulla
quale nulla è detto in sentenza.

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RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso dell’imputato va rigettato.
2.

Il primo motivo è manifestamente infondato, poiché deve escludersi la

sussistenza del vizio motivazione, sub specie di travisamento della prova, in

richiamate nella sentenza impugnata; il giudice di merito non ha travisato la
deposizione della teste, ritenendola sostanzialmente irrilevante. Il ricorrente,
invece, tenta di valorizzarla, al fine di contestare l’attendibilità della persona
offesa, per non aver immediatamente rivelato a chi la soccorreva il nome
dell’autore delle lesioni, ma tale deduzione all’evidenza sollecita una
rivalutazione del risultato probatorio.
A tal proposito, va ribadito che nel giudizio di legittimità è preclusa alla Corte di
Cassazione la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata, così come l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri
di ricostruzione e valutazione dei fatti. Ciò vale anche dopo la modifica legislativa
dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) apportata dalla L. 20 febbraio
2006, n. 46, art. 8 in base alla quale è possibile denunciare come causa di
annullamento della sentenza la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione anche quando risulti “da altri atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame”; con tale disposizione, invero, si è ammessa la
deducibilità del cosiddetto “travisamento della prova”, riconducibile soltanto
all’errore revocatorio (sul significante), in quanto il rapporto di contraddizione
esterno al testo della sentenza impugnata non può che essere inteso in senso
stretto, quale rapporto di negazione (sulle premesse): mentre ad esso è
estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera
contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per
quanto significativo, può essere interpretato per “brani” ne’ fuori dal contesto in
cui è inserito. Ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella
valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti
attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità,
se non quando risulti viziato dal punto di vista logico il discorso giustificativo
sulla loro capacità dimostrativa: pertanto restano inammissibili, in sede di
legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una
rivalutazione del risultato probatorio (così Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007,

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relazione alle dichiarazioni della teste Pavino Maria Pia, che nemmeno sono

Ienco, Rv. 236540; v. anche Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv.
238215; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n.
18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, attesa la sua evidente
genericità: il ricorrente, senza confrontarsi con la motivazione della decisione
impugnata, considera le deposizioni delle persone offesa alla stregua di meri
indizi, abbisognevoli di elementi di conferma e si richiama per confutarle alla

giudici di secondo grado, in considerazione del vincolo di affinità.
4. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile: il ricorrente denuncia un
travisamento di prova in relazione al diniego delle attenuanti generiche,
ritenendo che solo per un errore revocatorio il fatto sia stato considerato grave
ed il Fasanella sia stato ritenuto gravato da precedenti penali, pur in presenza di
riabilitazione.
4.1 Va al proposito rimarcato che il riconoscimento delle attenuanti generiche, e
il connesso giudizio di bilanciamento con le aggravanti, sono statuizioni che
l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è
margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo
conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’appello
non ha mancato di motivare la propria decisione, facendo riferimento ai
precedenti penali dell’imputato ed all’oggettiva gravità dell’episodio. Siffatta linea
argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo adeguatamente conto
delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è necessario, a soddisfare
l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione
tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo invece sufficiente
l’indicazione di quegli elementi che nel discrezionale giudizio complessivo,
assumono eminente rilievo.
4.2 Con riferimento poi all’irrilevanza dei precedenti penali, in considerazione
della riabilitazione, deve osservarsi che l’argomento non coglie nel segno, poiché
tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che costituisce la norma di
riferimento per il giudice nell’apprezzamento delle generiche, ci sono i precedenti
penali e giudiziari, ma più in generale è ricompresa la condotta e la vita del reo,
antecedenti al reato, espressione nella quale sicuramente rientrano le condanne
per le quali è intervenuta riabilitazione.
4.3 Del resto è pacifico che legittimamente il giudice, tra gli elementi di
valutazione che può utilizzare ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti
generiche di cui all’art. 62 bis cod.pen. o di determinazione della pena, indicati

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deposizione del cognato dell’imputato, considerata invece poco attendibile dai

dall’art. 133 cod. pen., può considerare i precedenti giudiziari, ancorché non
definitivi (conf. Sez. 5, ord. n. 3540 del 5/7/1999, D’Alessio, Rv 214477; Sez. 2,
n. 18189 del 05/05/2010, Vaglietti e altri, Rv. 247469, a proposito del diniego
della sospensione condizionale della pena), per cui a maggior ragione potrà tener
conto delle condanne i cui effetti penali siano cessati per effetto di riabilitazione.
5. Con riferimento alla contestazione dell’aggravante della violenza alle persone,
prevista dall’art. 614, comma 4, cod. pen., oggetto del quinto motivo, la censura

violazione di domicilio sussiste quando l’energia fisica o un altro mezzo, esclusa
la minaccia, sia adoperato da un soggetto su un altro per annullarne o limitarne
la capacità di autodeterminazione. La violenza deve essere contestuale e
collegata da un nesso ideologico con la violazione di domicilio, ma può
manifestarsi in uno qualsiasi dei diversi momenti nei quali si estrinseca e si
fraziona la fase esecutiva del reato; pertanto sussiste l’aggravante anche quando
la violenza alle persone non sia usata inizialmente per l’illecita introduzione, ma
successivamente, per intrattenersi nel domicilio contro la volontà dell’avente
diritto (Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012, Price, Rv. 252260; Sez. 5, n. 8750 del
05/02/1988, Tuttopetto, Rv. 179043).
5.1 La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi,
laddove ha evidenziato la stretta correlazione tra il ricorso da parte dell’imputato
alla violenza sulla parte offesa e sull’anziana genitrice e la violazione di domicilio,
consistita nell’introdursi e nell’intrattenersi nell’abitazione di Di Milo Matteo,
contro la volontà dello stesso, che aveva il diritto di escluderlo e manifestò
chiaramente in tal senso la sua volontà.
6. Non merita accoglimento neppure l’ultima censura, riguardante l’omesso
esame dell’istanza di sostituzione della pena detentiva con quella della libertà
controllata, formulata con i motivi di appello.
Nel giudizio di cassazione non comporta automaticamente l’annullamento della
sentenza di appello l’omessa motivazione in ordine ai motivi nuovi ritualmente
depositati dall’appellante, dovendo il giudice di legittimità valutare se non si
tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque
non concernenti un punto decisivo, oppure se la motivazione della sentenza
impugnata non contenga argomentazioni e accertamenti che risultino
incompatibili con tali motivi o siano tali da consentire alla Corte stessa di
procedere ad una integrazione della motivazione sulla base degli argomenti posti
a fondamento delle sentenze di primo e di secondo grado (Sez. 3, n. 10156 del
01/02/2002, Poggi, Rv. 221114). Nel caso di specie i motivi nuovi erano da

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è infondata, poiché l’aggravante della violenza sulle persone nel delitto di

ritenersi inammissibili, poiché non riguardanti un capo o punto della decisione
impugnata enunciato nell’originario atto di gravame, ai sensi dell’art. 581, lett.
a), cod. proc. pen., non avendo in tale sede il Fasanella censurato il trattamento
sanzionatorio.
6.1 Va ricordato a tal proposito che in materia di termini per l’impugnazione, la
facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi trova il limite del necessario
riferimento ai motivi principali dei quali, i motivi aggiunti, devono rappresentare

eventualmente non evidenziate ma sempre collegabili ai capi e ai punti già
dedotti. Sono pertanto ammissibili motivi nuovi con i quali, a fondamento del
“petitum” dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o
ulteriori (Sez. 1, n. 46950 del 02/11/2004, Sisic, Rv.’230281).
7. In conclusione il ricorso proposto dall’imputato va rigettato, con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
7.1 Al rigetto consegue altresì la condanna al pagamento delle spese sostenute
dalla parte civile, liquidate in C 2.000,00 complessivi, oltre accessori, come per
legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che liquida in
complessivi C 2.000,00 oltre accessori secondo legge.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
Il consigliere estensore

Il presidente

soltanto uno sviluppo o una migliore esposizione, anche per ragioni

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