Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2810 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2810 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: BEVERE ANTONIO

Data Udienza: 17/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MESSINA DENARO MATTEO N. IL 26/04/1962
GRIGOLI GIUSEPPE N. IL 04/09/1949
avverso la sentenza n. 365/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
04/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv . Su -dtee
Uditi difensor Avv.

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Grigoli Giuseppe è stato condannato con sentenza 31.1.2011 del tribunale di Marsala, confermata
dalla sentenza 4.7.2012 della corte di appello di Palermo, alla pena di 12 anni di reclusione per il
reato, ex art 416 bis c.p. co. 1,2,3,4,6 c.p. di partecipazione — dal 16 aprile 1997 e permanente alla
data odierna – all’associazione mafiosa Cosa Nostra , per aver messo a disposizione
dell’articolazione provinciale trapanese , nella persona del suo capo, il latitante Matteo Messina
Denaro, già condannato in precedenza e in via definitiva per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., la
propria struttura imprenditoriale , operante nel settore della grande distribuzione alimentare ,tramite
“Gruppo 6 G.D.O. srl, in tal modo consentendo al Messina Denaro, la realizzazione di interessi
economici e l’espansione del suo potere di controllo in un importante settore di mercato„ e
consentendo a se stesso ,nell’esercizio di attività imprenditoriale, indebiti vantaggi , grazie ad
interventi operati dal Messina Denaro , attraverso la forza di intimidazione derivante dal vincolo
associativo.
Con l’aggravante del comma 6 dell’art. 416 bis, trattandosi di attività economiche finanziate in tutto
o in parte con il prezzo ,i1 prodotto, il profitto di reati.
Matteo Messina Denaro è stato condannato con la medesima sentenza del tribunale di Marsala alla
pena di 27 anni e un mese di reclusione per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa
Nostra ,dal 12.11.1999 e permanente alla data odierna,con le aggravanti di cui al comma 2 dell’art.
416 bis c.p.,per aver esercitato funzioni direttive ed organizzative nella qualità di capo di Cosa
Nostra ,in provincia di Trapani, e di capo del mandamento e della famiglia di Castelvetrano, e di
cui all’art. 61 n. 6 c.p. ,per aver commesso il fatto durante il tempo in cui si è sottratto
all’esecuzione dei provvedimenti cautelari per precedenti reati; .con la recidiva reiterata, specifica;
la pena complessiva è stata rideterminata, a norma dell’art. 78 c.p., in 30 anni di reclusione, ritenuta
la continuazione con il reato ex art. 416 bis c.p. e con altri reati giudicati con sentenza 7.6.2001,
irrevocabile il 18.2.04,tenuto conto dell’ulteriore pena di 5 anni di reclusione comminata con questa
sentenza,
La corte di appello di Palermo, con la predetta sentenza 4.7.2012, ha applicato alla recidiva ascritta
al Messina Denaro il criterio mitigatore previsto dall’art. 63 co. 4 c.p. e, tenuto conto della
maggiore gravità dell’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 416 bis c.p. , limitato l’aumento per la
recidiva a 1 anno e 20 giorni di reclusione ,ha ridotto la pena inflitta in questo processo a 20 anni di
reclusione; ha poi portato l’aumento di pena per i reati già ritenuti uniti dal vincolo della
continuazione a 13 anni di reclusione , confermando così la pena complessiva in 30 anni di
reclusione.
Entrambi sono stati condannati all’interdizione perpetua dai pubblici uffici , con interdizione
legale e incapacità di contrattare con la P.A. durante l’esecuzione della pena.
E’ stata applicata ad entrambi la misura di sicurezza della libertà vigilata per 3 anni.
E’ stata disposta la confisca di quanto sequestrato in via preventiva con ordinanza del Gip del
tribunale di Palermo il 19.12.07 e il 28.1.08.
Matteo Messina Denaro e Giuseppe Grigoli sono stati condannati in solido al risarcimento dei
danni non patrimoniali in favore dell’Associazione Antiracket e Antiusura di Trapani, liquidati in E
50.000,00 e alla rifusione delle spese processuali.
A. Nell’interesse di Grigoli Giuseppe è stato presentato ricorso per i seguenti motivi :
1.violazione di legge in riferimento all’art. 416 bis c.p..
L’imprenditore Grigoli respinge la qualifica di colluso con l’ associazione mafiosa, non essendo
stati evidenziati , all’interno di un rapporto sinallagmatico , vantaggi illeciti reciproci . Solo
ancorando alla sussistenza dell’interesse illecito dell’imprenditore il concetto di cointeressenza si
può evitare che tanti soggiogati alla mafia loro malgrado e per pavida condiscendenza, vengano
perseguiti e puniti al pari di veri criminali. Nel rapporto tra imprenditore e associazione mafiosa
può riconoscersi il concetto del sinallagma qualora al suo interno possa individuarsi non solo
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FATTO E DIRITTO

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l’assenza di atti ostili, che caratterizza anche la situazione della vittima messasi in regola mediante
il pagamento del pizzo, ma anche qualcosa di ben più corposo, quale l’essere favorito nello
svolgimento della sua attività economica.
Ciò che distingue la posizione di soggiacenza da quella di compiacenza è proprio il requisito
dell’ingiustizia del vantaggio che può essere conseguito dall’imprenditore attraverso il rapporto
sinallagmatico. Solo nel caso in cui l’imprenditore consegua ingiusti vantaggi può essere
considerato volontaria parte di un patto con l’associazione criminale.
Nel caso in esame , il vantaggio tratto dall’agire di Messina Denaro è consistito nell’evitare al
Grigoli di versare denaro nella forma del pizzo ad articolazioni territoriali di Cosa Nostra, se non in
forma attenuata.
Ulteriore vantaggio è costituito dal non dover subire le tipiche manifestazioni violente e
d’incombenza mafiosa che caratterizzano le note vicende di coloro che rifiutano di sottostare al
metodo mafioso . In conclusione si riconosce che Grigoli abbia ottenuto quale utilità peculiare la
possibilità di vivere come impresa e di non aver ricevuto danni devastanti o danni eccessivi sul
piano economico. Ma se evitare il peggior male costituisce vantaggio sotto il profilo naturalistico
non lo è sotto il profilo giudico penale, contra jus . Gli indebiti vantaggi ricercati e ritenuti nelle
interpretazioni giurisprudenziali e rappresentati nel pensiero della dottrina come elemento di
discrimine sono da considerare ingiusti e illeciti. Il silenzio su questa distinzione riscontrabile nella
sentenza si traduce in violazione di legge nonché in illogicità motivazionale.
Oltre allo scopo illecito perseguito e ottenuto dall’imprenditore, va dimostrato il deliberato apporto
al sodalizio da parte di quest’ultimo . La compenetrazione o, se si vuole adottare un termine più
ricorrente, la collusione comporta, da un lato che l’impresa ottenga ciò che la sua struttura e la sua
organizzazione non le consentirebbero di conseguire; dall’altro che ,oltre ad ottenere la protezione
mafiosa, lo stesso imprenditore adotti le metodiche mafiose per l’espansione dell’impresa. Questo
dato manca assolutamente nella ricostruzione e valutazione dei fatti riscontrabili nella sentenza, che
invece attribuisce al Grigolo un ruolo dinamico funzionale ,in virtù del quale ha preso parte al
fenomeno associativo in cui ha operato , rimanendo a disposizione per il perseguimento dei comuni
interessi della struttura criminale(pag. 73 della sentenza).
Secondo il ricorrente, il far ricorso al “ruolo funzionale” rischia di sostituire con una inutile
espressione il chiaro concetto di contributo causale, che, secondo la sentenza della S. C. deve essere
posto in essere dal concorrente “ben sapendo e volendo.. .che il suo apporto è diretto alla
realizzazione anche parziale del programma criminoso del sodalizio;
2. violazione di legge in riferimento all’elemento soggettivo
Ribadito che l’elemento soggettivo del reato contestato va delineato come consapevolezza e volontà
che l’apporto sia diretto alla realizzazione del programma mafioso„ il ricorrente afferma di essere
stato vittima dell’azione intimidatoria del Messina Denaro e di non aver tenuto comportamenti da
cui possano emergere tracce evidenti di comportamenti attivi di intimidazione e una intenzionale
volontà adesiva al generale o specifico piano criminoso di Cosa Nostra. Le sentenze dei giudici di
merito ricostruiscono accuratamente i dati afferenti i vantaggi ottenuti dall’associazione mediante
la sottomissione del Grigoli„ma eludono il tema dell’intimidazione e dell’intenzionalità della sua
condotta, limitandosi , con ragionamento illogico,a motivare l’esclusione del suo ruolo di vittima.
3. violazione della norma che prescrive l’enunciazione delle ragioni che escludono l’ attendibilità
delle prove contrarie.
Oltre agli episodi del pizzo pagato a Capizzi e di quanto ha subito dalla articolazione mafiosa di
Partinico , in sede di appello sono stati esposti- senza ottenere adeguata risposta dalla corte
territoriale- i dati dimostrativi che Grigoli non deliberatamente ha apportato vantaggi a Cosa
Nostra pagando somme e assumendo persone gradite all’associazione ;
4. violazione di legge per non aver ammesso la parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
La corte ha rigettato la richiesta di assumere la testimonianza di tre dipendenti dell’impresa e di
acquisire intercettazioni ambientali e ulteriori elementi difensivi scaturenti da successive indagini di
polizia giudiziaria. In tal modo è stato posto un illegittimo limite all’esercizio del diritto di difesa;

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5. Illogicità della motivazione.
Il convincimento che Grigoli non sia stato vittima dell’agire mafioso, ma un partecipe in quanto
socio di Messina Matteo è motivato attraverso macroscopiche illogicità.
Le accuse da lui mosse al Capizzi, componente dell’articolazione mafiosa di Ribera, nella provincia
di Agrigento, non sono state considerate dimostrative della sua estraneità a Cosa Nostra, ma
espressione di un’artificiosa strategia processuale, avendo il Grigoli compreso che non poteva
continuare difendersi senza accusare, come aveva fatto nel processo concluso con la sua assoluzione
dal reato di associazione mafiosa commesso fino al 14.4.1997 e dal reato ex art. 12 quinquies D.L.
306/199e e D.L. 152/91 ( in relazione all’imputazione di acquisto di alcuni supermercati a suo
nome,per eludere le misure di prevenzione in danno di Paziente Gaetano e di altri esponenti della
famiglia Alcamo. La condanna ,confermata dalla corte di appello , veniva annullata dalla S.C. e la
corte di appello di Palermo, all’esito del giudizio di rinvio , con sentenza 15.5.02, assolveva il
Grigoli da entrambe le imputazioni) .
Questo mutamento di strategia è dovuto, secondo la corte di merito, alla scoperta di documenti
costituiti dalla corrispondenza di Bernardo Provenzano cd pizzini, sequestrati in data 13.4.06, a
seguito del suo arresto, avvenuto il precedente 11 aprile . Secondo il ricorrente ,in tal modo la
sentenza non tiene conto illogicamente che comunque egli ha infranto il muro
dell’omertà,rendendo incompatibile la sua partecipazione al clan con la richiesta
affectio
societatis.
Con pari illogicità, i giudici di Palermo compiono una rivisitazione delle prove valutate
positivamente nella sentenza di assoluzione , ricavandone elementi di accusa a carico del Grigoli,
con un metodo configgente con il giudicato , per di più pericolosissimo perché si traduce in un
processo infinito.
E’ inammissibile poi che si traggano elementi di prova logica a carico del Grigoli
da quanto dichiarato da questi in altro processo nell’ambito di una diversa dialettica tra tesi
di accusa e tesi di difesa,
dalle dichiarazioni rese in quel processo da Sinacori , che aveva escluso ,perché a lui riferito
dal Messina Denaro, che esistesse cointeressenza del capo mafioso con Grigoli nelle sue
attività economiche e che aveva definito Grigoli una “bravissima persona”, ; in questo
processo è stata messa in dubbio la credibilità del Sinacori affermando che questi si era
costantemente impegnato per tracciare nella lettura dei fatti una via di uscita, seguendo la
versione meno compromettente per l’imputato ;
dalle dichiarazioni del Sinacori ,in relazione ai piaceri in favore della mafia, sostitutivi del
pizzo , attraverso assunzioni di lavoratori graditi alla mafia, contratti di fornitura e
contratti di gestione dei supermercati. ritenuti dai giudici falsamente ricondotti
dall’imputato ad imposizioni Da queste prestazioni ,che sono da ricondurre a imposizioni
della mafia, i giudici hanno desunto erroneamente la sussistenza di un rapporto collusivo
tra l’imprenditore e l’associazione criminosa.
Secondo il ricorrente la conclusione è contraddittoria, perché è evidente che può indursi con
metodo mafioso un soggetto sia a pagare il pizzo, sia a soggiacere alla imposizione di un contratto
di varia natura. Perciò è evidente che non possa escludersi la vessazione subita dal Grigoli perché il
vantaggio mafioso non derivi dal pagamento di una tangente, tanto più che può essere più
remunerativo per Cosa Nostra ottenere contratti di lavoro,di fornitura e simili. L’imputato però
dissente che possa inferirsi logicamente che egli fosse in rapporto collusivo perché esentato dal
pizzo, mentre era assoggettato alla stipula di altri contratti ,comunque frutto di vessazioni.
Il ricorrente ribadisce la tesi di esser vittima di Messina Denaro e non colluso con la sua strategia
mafiosa nel campo della grande distribuzione delle merci alimentari , negando che questa tesi
difensiva comporterebbe l’attribuzione al dirigente trapanese di una frode — facilmente accertabile in danno degli altri affiliati ,a cui egli si presentava come cointeressato nella gestione dell’impresa.
Secondo il ricorrente, questa inesatta esposizione del rapporto tra l’imprenditore e il capo mafia, è
razionalmente giustificato non in base alla tesi — scorrettamente attribuita alla difesa- secondo cui

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il Messina intendeva così contenere i costi mafiosi a carico del Grigoli, ma in base alla tesi che il
comportamento reticente del capo mafioso era finalizzato ad assicurare a sé una sfera di dominio e
ad impedire che gli eccessi di altre famiglie gli ostacolassero lo sfruttamento dell’imprenditore.
Questa tesi dell’esigenza di mantenere la massima riservatezza sul suo rapporto con l’imprenditore
è anche sostenuta dalla lettura di un pizzino, citato a pag 44 della sentenza (30.9.04) , secondo cui
il Messina Denaro respinge un apporto mafioso in favore del Grigoli, sostenendo che questi è in
grado di gestire autonomamente la concorrenza, senza ricorrere a metodi illeciti. La sentenza
interpreta erroneamente questo messaggio, come dimostrazione che il capo mafioso non intendeva
condividere con altri affiliati la gestione dell’attività imprenditoriale.
Il ricorrente critica anche l’interpretazione data dai giudici di merito alle dichiarazioni del
collaboratore Di Gati , in quanto indirette e prive di vaglio di attendibilità intrinseca e comunque
del tutto smentite dal confronto con il reale svolgimento dei fatti . Comunque le dichiarazioni di
questo e dell’altro collaboratore Rizzuto sono state interpretate — come già rilevato nell’atto di
appello — in violazione delle regole ex art. 192 c.p.p.
Il ricorrente propone una diversa valutazione del contrasto verificatosi tra Capizzi e il Grigoli, per la
cui soluzione fu interpellato Provenzano , sottolineando che il giudice di appello non ha
adeguatamente contrastato la tesi secondo cui da esso emerge ancora una volta l’interesse vessatorio
che grava sull’imprenditore.
Anche il contenuto di altri pizzini è sottoposto a un’interpretazione favorevole alla tesi difensiva : in
quello del 25.5.04, inviato dal Messina Denaro al boss Provenzano ,i1 primo rispondendo a una sua
sollecitazione per l’avvio di un esercizio Despar in Corleone, espone la propria disponibilità a
chiedere al Grigoli di comprare il punto vendita già esistente e di affidarlo a un gestore di fiducia
del Provenzano medesimo. Il tema è ancora trattato in altri messaggi e in quello del 21.6.06, il
Messina afferma la disponibilità propria, del Grigoli e del Guttadauro per la realizzazione del
progetto sollecitato dal Provenzano . Secondo il ricorrente questi elementi non provano la
fondatezza della tesi di accusa, perché non risulta dimostrato che Grigoli fosse a conoscenza
dell’identità del destinatario dell’operazione e fosse realmente disponibile- come anticipato dal
Messina- a intervenire in essa.
Il ricorrente sottopone poi a critica l’interpretazione, contenuta nella sentenza , di numerose
risultanze processuali su relazioni con esponenti mafiosi ,sul contenuto di alcuni pizzini e sul
finanziamento all’impresa Europarida , sulla destinazione al Messina Denaro degli utili della società
di fatto creata con il Grigoli;
6. illogicità della motivazione e violazione di legge in riferimento alla mancata concessione delle
attenuanti generiche : la sentenza ha giustificato il rigetto della richiesta con il richiamo al
comportamento processuale dell’imputato che avrebbe fatto false dichiarazioni , in tal modo ha
negato il diritto di difesa , nel quale rientra il diritto di mentire. Inoltre non è stato dato rilievo a
tutte le condotte antecedenti e successive alla sentenza ;
7 illogicità della motivazione e violazione di legge in relazione alla confisca :la previsione della sua
obbligatorietà non esonera il giudice dal dimostrare l’evidenza della strumentalità dei singoli beni
che si intendono confiscare. La sentenza ritiene di aver rispettato tale obbligo ,affermando che la
struttura societaria è rimasta stabilmente a disposizione della realizzazione degli interessi
dell’associazione mafiosa, in base alla premessa che i beni oggetto del provvedimento ablativo sono
stati amministrati secondo le disposizioni del Messina Denaro.. Non vengono però menzionati atti
di gestione mafiosa per nessuno dei beni aziendali collocati nella provincia di Trapani se non per
quelli caratterizzati dalla presenza di soggetti graditi alla mafia.La gestione mafiosa dei beni è
storicamente delineata dalla sentenza della corte territoriale solo per il complesso aziendale
collocato nella provincia di Agrigento , in base al contenuto dei pizzini . Non viene inoltre data
indicazione dei dati fattuali sulla veicolazione permanente di denaro dell’impresa verso Cosa
Nostra. Anche il finanziamento Eurofarida , non può spiegare effetti ablativi se non nel perimetro
economico che il medesimo affare evidenzia,cioè nei limiti degli interventi gestionali della mafia.
In ogni caso non è consentita la confisca di tutti i beni aziendali oggetto di definitiva acquisizione

B.Nell’interesse di Matteo Messina Denaro è stato presentato ricorso avverso la suindicata sentenza
della corte di appello di Palermo.
In via preliminare, il difensore di ufficio, avvocato Aiello Castrense , rileva di aver chiesto,i1
26.10.2012, alla corte territoriale la restituzione in termine, in quanto, nominato dalla corte di
appello in sostituzione dell’avv. Maurizio Rivilli, non abilitato al patrocinio in cassazione ,in data
18.12.2012 . Posto che, la scadenza dell t -infine di 45 giorni , previsto dall’art.585 cpp a pena di
decadenza, era prevista per la data del 30.10.2012 ha avuto un tempo estremamente ridotto (giorni
11) per lo studio degli atti e per la redazione dell’impugnazione . La corte di appello non ha
provveduto sulla richiesta ,che quindi viene riproposta a questa Corte.
Quanto ai motivi del ricorso, il difensore ha rilevato :
1. vizio di motivazione : la sentenza non ha valutato con logica analisi critica gli atti
processuali;
2. vizio di motivazione : la consulenza tecnica, compiuta dalla dottoressa Contessini sui
“pizzini” rinvenuti in occasione dell’arresto di Bernardo Provenzano , ha escluso che la
firma Alessio e le correzioni manoscritte siano riconducibili all’opera grafica del Messina
Denaro. Pertanto è inverosimile ed estraneo alla logica mafiosa la tesi dei giudici di merito,
secondo cui i massimi esponenti delle famiglie mafiose possano comunicare attraverso il
solo strumento dei pizzini, senza avere la certezza, grazie a segni intangibili, del loro autore.
Ed è anche destituita di ogni logica la tesi sostenuta dai giudici di merito ,secondo cui un terzo
soggetto ha siglato e corretto i pizzini ,su mandato del ricorrente.
Inoltre è stato esaminato un ispettore di polizia, specializzato in indagini grafiche, che ha affermato
che di tre documenti sottoposti al suo esame ,uno reca una firma che “potrebbe non essere
autentica”. Viene quindi a perdere consistenza la tesi secondo cui l’imputato è aduso far
sottoscrivere a terze persone i messaggi da lui inviati.
Il contenuto e i temi trattati non consentono inoltre di affermare con certezza che l’interlocutore di
Provenzano nei pizzini a firma Alessio sia proprio il Messina Denaro;
3. violazione di legge in relazione all’art. 416 bis c.p. : l’istruttoria dibattimentale non ha
provato il compimento di atti di intimidazione in danno dei concorrenti delle imprese del
Grigoli e quindi la violazione delle regole del libero mercato; manca quindi la dimostrazione
dell’impiego del metodo mafioso nell’esercizio dell’attività imprenditoriale del Grigoli.
Il difensore conclude con la riserva di esporre ulteriori ragioni di doglianza nei confronti della
sentenza impugnata nei modi e tempi previsti dalla legge.
I ricorsi non meritano accoglimento.
In premessa di carattere storico-processuale , va rilevato che i giudici di merito , a fronte
dell’intreccio di accertamenti , svolti in altri procedimenti penali sui comportamenti dei due
ricorrenti, hanno correttamente tracciato — ai fini del rispetto del principio del ne bis in idem i
limiti temporali della presente ricostruzione storica dei fatti contestati e della loro correlata
qualificazione giuridica, avendo tenuto presente
a) la sentenza di condanna , emessa dal tribunale di Marsala nei confronti di Matteo Messina
Denaro il 7 .6.2001,irrevocabile il 18.2.04, in ordine al reato permanente di partecipazione
all’associazione mafiosa Cosa Nostra ,con conseguente legittimità della valutazione ,a titolo di
reato autonomo, della condotta associativa , contestata in relazione ad epoca successiva alla data
della predetta sentenza di condanna, nell’ambito di un più ampio quadro di riferimento,
ontologicamente non scindibile dalla presente vicenda processuale, tenendo conto della già

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nel periodo temporale antecedente il giudicato assolutorio, riguardante i fatti verificatisi fino al
14.4.1997. Ugualmente illegittima è la confisca dei beni personali acquisiti anteriormente a questa
data. Il tema è stato oggetto di doglianza in sede di appello, ma la corte, omettendo ogni
valutazione, ha determinato una nullità per mancanza di motivazione .

b) la sentenza di assoluzione del Grigoli dal reato di partecipazione ad associazione mafiosa Cosa
Nostra ,contestato fino al 14.4.1997 (data della richiesta di rinvio a giudizio, per il reato di cui
all’art. 416 bis c.p.) ; con conseguente legittimità della valutazione della condotta associativa,
contestata in relazione ad epoca successiva, nonché dell’utilizzazione dei pregressi accertamenti di
fatto (quali i rapporti di conoscenza e frequentazione con Messina Denaro e con il cognato di
quest’ultimo, Guttadauro Filippo e altri esponenti mafiosi ) .Tali dati sono stati razionalmente
rivalutati in base alla chiave di lettura fornita dal chiarificatore ritrovamento ,in data 13.4.06, della
corrispondenza del Bernardo Provenzano , attestante il ruolo di capo supremo dell’associazione, da
questi gestito fino al precedente 11 aprile , data del suo arresto, anche attraverso i contatti
epistolari con i principali esponenti del potere mafioso (21 pizzini ,con relative trascrizioni,sono
stati acquisiti all’udienza 21.7.09; tra questi, sette missive, sottoscritte con il nome di Alessio, con
connotati stilisti identici e argomenti omogenei,sono state attribuite, con razionali e insindacabili
argomentazioni, al Messina Denaro, latitante dal mese di giugno del 1993).
In linea generale vanno preventivamente considerati non meritevoli di articolata e specifica
valutazione i motivi che , da un lato, mancano ,a loro volta, di specificità i (per genericità e
indeterminatezza, nonché per reiterazione di censure già formulate nei confronti della decisione del
giudice di primo grado, determinando un irrituale regredire dello svolgimento del processo) ;
dall’altro, contengono argomenti che propongono una serie di critiche a valutazioni fattuali ,
sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, idonei a infrangere la lineare razionalità
della decisione impugnata, che ,avendo fatto proprie le analisi fattuali e le valutazioni logicogiuridiche della sentenza di primo grado , ha determinato un organico e inscindibile accertamento
giudiziale, avente una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa.
I motivi contengono inoltre una serie di censure ,prive di spessore tecnico idoneo, a smentire la
lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni della corte di merito, e a soverchiare i consolidati
orientamenti giurisprudenziali , consolidati negli argomenti trattati.
Quanto al motivo concernente la mancata assunzione di prova decisiva, si rileva che, ai fini della
configurazione del vizio previsto dall’art. 606 lett. d) c.p.p. ,è indispensabile che la prova decisiva
indicata dal ricorrente abbia ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non una prova
dichiarativa di parte (come nel caso della richiesta dell’esame dei testi indicati dalla difesa), che
debba essere vagliata unitamente agli altri elementi di prova acquisiti, non per elidere l’efficacia
dimostrativa di questi ultimi, ma per effettuare un confronto , all’esito del quale si prospetta l’
ipotesi di un astratto quadro storico-valutativo, favorevole alla parte ricorrente, da sovrapporre alla
ricostruzione dei fatti e alla valutazione effettuate dai giudici di merito. Si tratta di proposizioni
inammissibili, in quanto tese a provocare le non consentite “rilettura” e rivalutazione delle
emergenze processuali.
Complessivamente, i motivi prospettati dal Grigoli — in relazione ai suoi rapporti con Cosa Nostra e
con particolare riguardo al ruolo svolto dal Messina Denaro nell’attività imprenditoriale del
ricorrente — risultano assolutamente inidonei alla dimostrazione della sua qualità di vittima della
mafia, alla luce delle risultanze processuali enucleate e coordinate dai giudici di merito.
Al. Va rilevato che al centro del materiale probatorio a carico del Grigoli, i giudici di merito hanno
ragionevolmente posto , come motore e guida per formare la motivazione della pronuncia di
condanna, il contenuto di numerosi pizzini , costituenti, per un periodo compreso tra l’ottobre 2003
e i primi mesi del 2006 (la cattura di Provenzano è avvenuta 1’11.4.2006) —- una catena di
comunicazione triangolare ,a1 cui vertice figura Bernardo Provenzano, capo supremo di Cosa
Nostra, mentre nelle diverse posizioni risultano Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra nella
provincia di Trapani, e Giuseppe Falsone, capo della provincia di Agrigento, succeduto a Leonardo
Fragapane, deceduto il 29.11.1997. Punto nevralgico dei rapporti tra i capi delle suddette province è
costituito dalla ideazione ed esecuzione di un progetto di apertura, nel territorio della provincia
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accertata appartenenza qualificata alla consorteria mafiosa, quale capo, promotore ed organizzatore

A2. A seguito del succedersi del Falsone al Fragapane al vertice del clan agrigentino , muta
l’atteggiamento di tolleranza ,in correlazione con l’iniziativa del vice capo Capizzi Giuseppe ,da
tempo gestore di un Despar a Ribera ,che rivendica il pagamento del pizzo nei confronti
dell’imprenditore per l’installazione dei punti di vendita Despar nel territorio della provincia. La
soluzione della questione è resa più difficile dal debito di 500 milioni di lire ,accumulato dal
Capizzi nei confronti del Grigoli, in qualità di fornitore di merce. Nonostante le ripetute richieste
del creditore, il gestore del supermercato continuava a non pagare il prezzo dell’ulteriore merce
fornita, portando il debito a circa un miliardo di lire.
La posizione creditoria è stata attribuita dai giudici di merito allo stesso Messina Denaro, in quanto
è lui stesso, nella citata missiva dell’1.10.03 a rivendicare il diritto di ottenere la restituzione
dell’ingente somma e ad affidare al supremo capo mafioso la soluzione della controversia “Ora io
prego lei di far sapere agli amici di AG tutto questo discorso ,dicendo loro che io voglio indietro il
miliardo di lire dal sig Capizzi Giuseppe; se il sig Capizzi dice che non ha i soldi si vende quello
che ha e restituisce quello che di proposito ha rubato. Questa è la mia richiesta sul sig. Capizzi .
Gli accertamenti di polizia giudiziaria hanno accertato senza alcuna incertezza che il concessionario
della Despar menzionato dal Messina Denaro si identifica nel Grigoli , tanto più che nella
disponibilità del Provenzano è stato rinvenuto un pizzino , in cui sono elencate le località
coincidenti con i punti vendita Despar ,riconducibili al Grigoli medesimo.
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L

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agrigentina ,di ulteriori supermercati della catena Despar — in concessione all’imprenditore
Giuseppe Grigoli — supermercati già ampiamente presenti nel territorio trapanese. Questa
espansione risulta aver avuto inizio negli anni 1996/1997, sotto il governo Fragapane, che aveva
accettato l’installazione di nuovi supermercati senza pretendere il versamento di alcuna tangente.
Nella prima missiva della corrispondenza Alessio (Messina Denaro)-Provenzano, risulta che il capo
mafioso di Trapani,dal 1996-1997, nell’ambito dei buoni rapporti con il pari grado agrigentino
Fragapane, aveva indicato agli esponenti della mafia di quella provincia l’iniziativa commerciale formalmente riferita al compaesano e socio Giuseppe Grigoli – come coinvolgente un proprio
interesse. Il Messina Denaro così si è rivolto al Provenzano ,nella missiva dell’1.10.03 (reperto A02) sul seguente tema : il mio problema che ho nella zona di AG: c’è una persona di Castelvetrano
che ha la concessione dei supermercati Despar,, cioè questa persona apre dei punti vendita
Despar in ogni paese e dà la gestione del punto vendita a persone del medesimo paese e la
persona rimane come fornitore del punto vendita , lasciando al gestore un largo margine di
guadagno ,infatti questi gestori se la passano tutti bene.
Il Fragapane, preso atto dell’interesse del Messina, nell’apertura dei supermercati, esentava
l’iniziativa dall’imposta della mafia locale .: io dissi a lui che volevo sapere nel caso la cosa
andasse in porto come mi dovevo comportare. La risposta dell’amico Fragapane fu che dato che la
cosa interessava a me non c’era bisogno di niente e che mi dovevo considerare a casa mia…
Questa esenzione si era parimenti verificata in circostanze ,narrate da Messina a Provenzano,con la
missiva 21.1.06(reperto A-22) in relazione alla città di Canicattì,i cui mafiosi locali, ricevuta la
gestione dell’esercizio, non avevano avanzato alcuna pretesa in denaro sin dall’inizio e anche
durante il governo del successivo capo locale (Falsone) : gli amici di Canicattì …non vogliono
niente, né pizzo né altro,a loro basta l’amicizia e il rispetto reciproco…. Per costoro ha rilevanza
esclusiva il fatto che il mio paesano abbia fatto lavorare persone ad AG e proprio a Canicattì,
perché la gestione ce l’hanno questi amici e il mia paesano è sempre stato disponibile nelle loro
richieste. (sent. C. app. ,pag. 36, riferisce l’episodio, non riportata dalla sentenza di primo grado).
Questa posizione di apertura nei confronti dell’espansione commerciale ,attribuita dai giudici di
merito alla comune strategia Messina Denaro-Grigoli è confermata dalle dichiarazioni del
collaboratore Di Gati Maurizio,la cui credibilità e attendibilità sono state positivamente vagliate. Il
collaboratore- che è stato capo della provincia di Agrigento- ha precisato che nella riunione del
23.5.02, lui stesso e Sutera Leo avevano deciso di non chiedere il pizzo ai supermercati Despar, ,
poiché tale richiesta avrebbe significato chiedere la tangente personalmente al Messina Denaro.

8

Il contesto prettamente mafioso della vicenda è confermato e ribadito dallo stesso Messina Denaro
che —dopo aver rifiutato di dialogare con un soggetto subalterno, quale considerava il Capizzi,
privo del titolo di capo di una provincia — richiama il tentativo di ottenere la mediazione di un pari
grado, Sutera Leo (che però è arrestato nel luglio 2002) e quindi effettua l’investitura di organo
deliberante della decisione finale alla massima carica di Cosa Nostra. . A questi il boss trapanese
segnala il proprio provvedimento di autotutela, costituito dall’ordine a Grigoli di chiudere il
supermercato, fonte per entrambi di ingiustificata perdita. Acchè poco tempo fa faccio sapere al
concessionario di chiudere il punto vendita di Ribera perché ormai divenuto un ricatto senza via di
uscita e come si suol dire meglio perdere che straperdere. Infatti da poco tempo a questa parte a
Ribera non c’è più il Despar. In effetti .è risultato che il supermercato è stato chiuso 1’11.10.03.
La corte di merito, a conferma della peculiare posizione del Grigolo all’interno del mondo mafioso
, richiama il contenuto della già citata lettera inviata da Messina Denaro al Provenzano , datata
1.10.03 : alla richiesta di Capizzi del pagamento annuo del pizzo per tutti i punti vendita Despar
nella provincia di Agrigento ,i1 Grigoli, aveva dato una risposta ( “cominci a pagare lui questo
pizzo ai vari paesi con il miliardo che si è fottuto”) dimostrativa della infondatezza della tesi,
secondo cui egli il pizzo l’avrebbe pagato al Messina Denaro.
Le doglianze del capo mafia di Trapani sono trasmesse al pari grado di Agrigento, Giuseppe
Falsone ,che ,con la missiva FA-01, sottolinea come la famiglia Capizzi sia a lui vicinissima e che
non meriti insulti dei trapanesi , con particolare riferimento al Grigolo che stava acquisendo “il
grosso dei supermercati Despar ” e che era interessato ad aprire diversi punti vendita nella
provincia. Dopo l’iniziale rifiuto di pagare il tradizionale pizzo, i giudici di merito hanno accertato
che il Grigoli- condizionato da una transitoria interruzione del collegamento con il Messina Denaro
—aveva versato ,nell’autunno del 2002, la somma di 150 milioni di lire(€ 75.000). L’evoluzione
della vicenda è stata razionalmente giustificata dal mutamento degli equilibri all’interno di Cosa
Nostra agrigentina, a seguito dell’arresto o del declino degli esponenti mafiosi che erano in ottimi
rapporti con il capo trapanese .Nel prosieguo della vertenza sotto l’egida del potere mafioso, il
Messina Denaro, nella missiva A-03 dell’1.2.04„ ribadita la richiesta della restituzione
concernente “i soldi che il Capizzi si è rubato”, si dichiarava disponibile a discutere l’entità del
pizzo da pagare , mostrando rispetto per la regola che impone agli stessi mafiosi l’obbligo di pagare
una tangente quando si espandono commercialmente in territori al di fuori della relativa
competenza.
Nella corrispondenza concernente la controversia nata a Ribera ,i giudici di merito danno
particolare rilievo all’aspetto “ragionieristico” del ruolo del capo mafioso di Trapani, rappresentato
dalla precisa indicazione, in qualità di creditore principale, delle fatture emesse dalla Despar per
forniture non pagate dal Capizzi(€ 300.000), e della somma già pagata a titolo di pizzo ,consegnata
dal Grigoli (€ 75.000) al Capizzi Giuseppe, in riconoscimento del ruolo mafioso della famiglia di
quest’ultimo .
Gli atti processuali dimostrano ,in maniera non contestata, che le trattative si protraggono fino al
febbraio 2005 e si concludono , sulla base della proposta di Messina Denaro , formulata nella lettera
A-07 del 6.2.05 ,nel senso che Provenzano deve stabilire una cifra totale per il pizzo annuo , da
corrispondere per tutti i supermercati Despar ,presenti nella provincia di Agrigento„ cifra da
defalcare dal debito di Capizzi, fino alla sua estinzione, lasciando mano libera al Grigoli nella
gestione di tutti gli otto punti vendita agrigentini, compresa quello di Ribera, nel senso che, nei
punti in cui Grigoli pagherà il pizzo, non darà posti di lavoro.” Se invece c’è qualche paese che non
vuole il tot allora in quel paese il mio paesano darà dei posti di lavoro per compensare… Veda che
questo è un punto fermo del mio paesano e non lo smuove nessuno ,nemmeno io.. .lui su questo
punto non cederà di un passo,lui dice che dove pagherà non darà posti di lavoro e nei paesi che non
pagherà darà posti di lavoro” .
E’ assolutamente razionale e insindacabile la conclusione dei giudici di merito, secondo cui da
questa missiva emerge emblematicamente la qualità di mafioso del Grigoli che riesce a negoziare,
sia pure sotto la consulenza ,l’impulso, la promozione del capo trapanese, le clausole del contratto

A3. Da questi dati storici e dalla loro razionale interpretazione emerge l’assoluta infondatezza
della tesi difensiva del Grigoli, nella parte in cui si professa quale imprenditore “puro” che si limita
a subire la violenza morale dei capi delle bande mafiose, senza avere alcun ruolo nella risoluzione
della annosa e intricata controversia a sfondo ragionieristico . Il riconoscimento della conformità al
vero di questa storia di attentato alla libertà imprenditoriale narrata dal gestore Despar ,si
tradurrebbe nel riconoscere ai latitanti Messina Denaro e Falsone il ruolo di autori ed interpreti di
una rappresentazione scenica ,in cui essi si sarebbero impegnati in un finto duello mafioso, per
sottomettere agli interessi del vincitore otto liberi mercati di alimenti, in danno di un innocente
titolare di lecita iniziativa economico-commerciale .
I giudici di merito hanno invece accertato l’esistenza di una società di fatto tra il Grigoli e il
Messina Denaro, nella gestione di attività commerciale nella grande distribuzione alimentare
DESPAR nelle province di Trapani e di Agrigento , attraverso relazioni con qualificati esponenti
mafiosi, ai quali tale attività è stata presentata come facente capo direttamente al Messina Denaro e
come condotta e seguita, nonostante la latitanza, tramite il continuo contatto con il Grigoli ed altri
affiliati(specialmente con Guttadauro) e in forza di prerogative e metodi mafiosi.
Il primo e più visibile apporto conferito dal capo dell’articolazione trapanese, è consistito nella
possibilità data al Grigoli di svolgere attività commerciale non solo nel mandamento di
Castelvetrano (luogo di nascita di entrambi) e via via nell’intera provincia di Trapani, ma anche in
quella di Agrigento, senza versare- fino al 2002 – contributi in denaro alle locali articolazioni
mafiose
Dopo il suindicato accordo del 2005 ,in alternativa al pizzo è stato patteggiato una diversa
imposizione costituita dall’assunzione negli esercizi commerciali di persone gradite alle
famiglie(oltre che dall’acquisto e distribuzione preferenziali di prodotti locali provenienti dalla
locale imprenditoria mafiosa).
Dagli accertamenti giudiziari svolti nel presente procedimento trova conferma una nuova immagine
della mafia che si pone l’alternativa pizzo o lavoro(p.51 C.App), nel senso che in alternativa alla
coercizione diretta al pagamento di una tangente si prospetta la pari o superiore utilità per il locale
clan mafioso della coercizione diretta a risolvere problemi immediatamente commerciali (
immissione privilegiata nel circuito della grande distribuzione dei prodotti alimentari forniti da
agricoltori o da commercianti all’ingrosso
amici) o problemi di immediata rilevanza sociale
(riduzione della disoccupazione meridionale mediante assunzione in numero prestabilito di
lavoratori amici) sicuramente meno gravosi per le vittime.
Correttamente, i giudici di merito hanno quindi rilevato la collusione del Grigoli con questa mafia
proiettata , oltre che a soddisfare l’esigenza di acquistare maggiore forza finanziaria,con tangenti
estorte con l’intimidazione di singoli e di imprese , anche ad ampliare la propria base sociale,
ottenendo il consenso di produttori e lavoratori , ipotecandone la volontà e vincolandone le opzioni
civili, etiche, giuridiche.

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con Cosa Nostra, imponendo l’alternativa pizzo o lavoro , con un adeguamento ,in chiave
paradossalmente sociale(soluzione della questione della disoccupazione) del potere mafioso.
Secondo l’impugnata sentenza lo svolgimento e la conclusione della contrasto sono stati quindi
sottoposti , come attestato da numerosi pizzini- al supremo e vincolante giudizio di Provenzano, che
convinceva il Falsone a rinunciare alle richieste di versamento di altro denaro,nel senso che,
prendendo spunto da quanto affermato dal capo mafia locale ,riconosceva la piena coincidenza
degli interessi dei supermercati Despar e della mafia e specificamente l’utilità dell’iniziativa quale
risorsa per la sua leadership nell’intera articolazione agrigentina.. Tale posizione liberale trova
conferma in una nota inviata da Falsone a Provenzano nel settembre 2005 (Fa-21) , in cui prende
atto che i supermercati erano d’interesse di tutta la nostra società ,oltre che d’interesse dell’amico
nostro fraterno di TP se le cose stanno così… .se l’interesse in tutto e dell’amico nostro di TP e di
tutti noi, da parte mia non voglio sentir parlare di pizzo.

A4. Il ruolo trainante del Grigoli nella diffusione tra i mafiosi dell’attività commerciale della grande
distribuzione alimentare è confermato dalla lettura di comunicazioni epistolari e da accertamenti di
polizia giudiziaria dimostrativi che anche il massimo capo della mafia ha sentito l’attrazione
dell’attività imprenditoriale, da svolgere in Corleone e si è rivolto al canale Messina — Grigoli.
Nella missiva 25.5.04(reperto A-04) , il capo trapanese, rispondendo ad una sollecitazione del
Provenzano in merito all’apertura di un supermercato Despar a Corleone, gli comunicava che in
quella località già ne esisteva uno, rifornito dal Grigoli (dal mio paesano ) . Il conflitto di interessi
sarebbe stato risolvibile, grazie al medesimo Grigoli, che era in grado di rilevare il punto vendita,
di cederlo in gestione a un prestanome “pulito, di far affluire sul Provenzano sicuro e costante
profitto II tema è stato trattato anche nelle missive 30.9.05, reperto A-07 e 21.1.06, reperto A-10 In
quest’ultima , Messina Denaro , pur condividendo
le preoccupazioni espresse dal
Provenzano,ribadisce non solo la piena disponibilità propria e del cognato Guttadauro, ma anche
quella del paesano Grigoli. I giudici di merito giungono alla logica conclusione che il Messina
Denaro aveva operato in concerto con il Grigoli ,in vista dell’apertura di un punto vendita Despar a
Corleone per il tramite di un prestanome e dell’instaurazione di un rapporto in favore del
Provenzano e della salvaguardia degli interessi di tutti i soggetti coinvolti. La mancata realizzazione
delle aspirazioni imprenditoriali del Provenzano , causata dell’intervento repressivo dello
Stato,1’11.4.06, dopo circa 30 anni di latitanza,non elimina la forza dimostrativa di questo fatto in
ordine all’esistenza della società di fatto Messina/Grigoli .
A5. In questo quadro umano, economico e giuridico le articolazioni commerciali sono state
aperte e gestite con diretta partecipazione mafiosa e con notevole profitto dei due principali
protagonisti , mentre le vittime (imprenditori vanamente concorrenti, consumatori assoggettati ai
prezzi fissati dal mercato mafioso ) sono ben al di fuori di questi patti regolati dalle norme
dell’intimidazione e della violenza, all’esito dei quali emerge la anomala realtà delle imprese
private a partecipazione mafiosa.
Di questo progresso ,in termini di consenso e di assoggettamento dei consociati , ottenuti con una
programmazione dell’impiego e della coordinazione dei fattori di produzione, il Messina Denaro è
stato ritenuto razionalmente il principale beneficiario nel territorio della provincia di Trapani, con
intromissioni, più o meno tollerate, nel territorio agrigentino.
I giudici di merito hanno evidenziato , all’interno della struttura imprenditoriale , creata dai due
imputati, un occulta remunerazione con occulte distribuzioni di utili, dimostrate da dati contabili
pacificamente emersi dalle risultanze processuali .E’ stato quindi desunto dalle false fatture emesse
dalla Profeta srl per operazioni inesistenti,
– che la merce fittiziamente ivi indicata risultava pagata e contabilizzata in entrata nel magazzino;
– l’importo delle fatture ,a1 netto della ritenuta IVA, era restituito al Grigoli;
– la merce fittiziamente caricata in entrata era contabilmente eliminata , fatturandone la vendita
ai vari punti Despar, mentre la relativa consegna riguardava altre merce prelevata dal magazzino
“resi”
I giudici di merito hanno così accertata la creazione, da parte del Grigoli, di liquidità
extracontabile ,i cui importi per entità e consistenza delle loro variazioni entità sono stati
razionalmente considerati non compatibili con pagamenti di rate annuali del pizzo.
Il primo giudice ha rilevato che, in ordine alle modalità ed entità del pagamento del pizzo,
l’imputato ha fatto dichiarazioni contrastanti con quelle rese nel corso del procedimento di
prevenzione. Inoltre il giudice di appello ha rilevato che le conclusioni difensive svolte in sede
di appello , in base alle valutazioni dei consulenti di parte sulla veridicità di tutte le voci di
10

In questa convivenza apparentemente pacata e accomodante e quindi meno esposta a devastanti
interventi di messa in mora dei creditori mafiosi e a destabilizzante interventi investigativi/
repressivi dello Stato, si pongono non solo il capo provinciale Messina Denaro, ma anche il suo
socio.

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bilancio , sulla trasparenza delle operazioni , sul’assenza di trasferimenti di ricchezza
ingiustificati a terze persone , contrastano con le stesse dichiarazioni di Grigoli, laddove ha
confermato le movimentazioni sistematiche di denaro, attraverso consistenti e reiterate
falsificazioni della contabilità della società.
La corte di merito ha poi rilevato che se la causa di trasmigrazione dei denaro contante
attraverso le false fatturazioni — che ha raggiunto in pochi anni un importo superiore al milione
di euro- non può essere individuata nel pagamento del pizzo, oppure in meno gravi operazioni
di evasione fiscale, va considerata come vera la destinazione del denaro ,indicata dall’imputato,
in favore del Messina, inteso non come estorsore mafioso, ma come socio occulto , nella sua
qualità di massima autorità mafiosa nella provincia di Trapani , socio occulto da remunerare,
come già detto. con una clandestina distribuzione degli utili.
Sempre in tema contabile, la sentenza impugnata, conformandosi alla decisione di primo grado,
richiama — nel contesto dell’analisi della distribuzione degli utili dell’impresa del Grigoli in un
generale quadro di reciproco e stabile scambio di utilità – gli esiti della perizia svolta dal dr
Russo nel procedimento di prevenzione, in relazione alla sperequazione fra entrate e uscite : le
prime sono state indicate inferiori alle seconde per l’importo di € 840.656,15, che ,rivalutato
secondo l’indice ISTAT, ascende a € 2.040.203,98 . La difesa non ha formulato alcuna adeguata
confutazione, rendendo palese l’irrilevanza di ulteriore accertamento peritale.
Il collegamento sul piano finanziario tra Grigoli e i vertici della mafia è confermato
dall’acquisizione, da parte del primo, di partecipazione nella società Alimentari Provenzano srl,
nella quale sono protagonisti oltre l’imputato e Provenzano, Di Bella, già condannato per i suoi
rapporti con Cosa Nostra, che, sebbene sconosciuto e inesperto, aveva convinto l’imputato a
intraprendere un’operazione finanziaria in un’impresa in dissesto e con bilanci falsificati per
mantenere il credito bancario. Questa condotta, anche se razionalmente non è stata considerata
espressione di un vincolo associativo, è comunque inquadrabile nel contesto di relazioni mafiosi
in cui il Grigoli si è mosso per molti anni.
A6. A proposito dei suoi rapporti con Messina Denaro e con altri esponenti di Cosa Nostra e
specificamente della creazione di una società di fatto con il primo , la corte fa fondatamente rilevare
, pur in assenza di fatti configurabili come reati ex art. 513 bis c.p, che si è verificato il
rafforzamento dei poteri mafiosi ,antagonisti rispetto allo Stato e alla legalità , grazie all’operosa
presenza di imprenditori come Grigoli, rafforzamento che si è realizzato con l’inserimento di Cosa
Nostra nel tessuto di produzione e distribuzione di beni e servizi ,aprendo punti vendita sottoposti
al pizzo o immuni da tangenti , in quanto gestiti da mafiosi locali (tipo Canicattì) , ma comunque
sottoposti a oneri di minor livello predatorio e vantaggiosi per il potere criminale , in quanto
concernenti assunzioni, forniture, commesse- in favore di persone “gradite” alla mafia o esse
stesse mafiose. In questo ruolo di fonte di profitti e di vantaggi finanziari per la mafia, i giudici di
merito hanno posto l’impegno del Grigoli a soddisfare i bisogni di liquidità dei suoi esponenti,
attraverso il finanziamento ,senza alcun interesse e senza alcuna garanzia ,di circa mezzo milione di
euro in favore della Eurofarida,emerso a seguito di intercettazioni che hanno consentito alla corte
territoriale di rilevare razionalmente come tale operazione non possa costituire la conseguenza di
un comportamento estorsivo in suo danno.
Quanto alla entità e alla qualifica dei benefici tratti dal Grigoli , è stato correttamente rilevato che
l’imprenditore non solo non ha subito richieste di tangenti(fatta eccezione per la vicenda del
Capizzi), ma ha aperto supermercati in terra di Sicilia non all’esito di un paritario confronto con
imprenditori dello stesso settore, nel campo della strategia costi/ricavi, delle capacità organizzative
dei fattori di produzione, della selezione della merce , dei rapporti con il credito bancario. La sua
prevalenza è stata raggiunta grazie all’esenzione ,in virtù del socio occulto , dall’ autorizzazione
mafiosa, che gli imprenditori normali ottengono , nel territorio mafioso, a titolo oneroso, e la cui
osservanza è garantita dalle feroci sanzioni inferte a tutti coloro che intendano esercitare
pienamente la libertà di iniziativa economica, prevista dall’art. 41 della Costituzione. Inoltre al
Grigoli è stato concesso ,per alcuni punti di vendita Despar, di non pagare una illecita tassa mafiosa

A7. Quanto alla doglianza relativa alla mancata concessione delle attenuanti generiche, il ricorrente
non ha tenuto conto che , al di là del richiamo al comportamento processuale, i giudici di merito
hanno dato corretto rilievo alla sua condotta successiva al precedente processo, che, pur essendosi
concluso con esito a lui favorevole, aveva evidenziato la presenza di indagini di ampio spessore e
di ampia estensione sulla sua attività imprenditoriale, con conseguente possibilità di accertamenti
di fatti penalmente rilevanti . Ciononostante, per un ampio arco di tempo —a partire dal 16 aprile
1997- ha mostrato ,in modo permanente, fedeltà e dedizione alle finalità associative, operando
accanto al “socio” e “rappresentante” provinciale Messina Denaro e offrendo apporti assai rilevanti
al’intero sodalizio sotto il profilo del finanziamento, del mantenimento del consenso e delle
infiltrazioni nel tessuto economico locale e nazionale dell’associazione criminosa. La critica al
trattamento sanzionatorio si pone quindi — senza proporre alcun convincente argomento critico- in
contrasto con il consolidato e condivisibile orientamento interpretativo,secondo cui la concessione,
il giudizio di comparazione o il diniego delle attenuanti generiche e, in genere l’entità della pena
,rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito e quindi non richiedono un’analitica
valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, indicati dalle parti o desunti dalle
risultanze processuali , essendo sufficiente l’indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti.(
sez. II, n. 3609 del 1810.2010, rv 249163, sez. VI, n.34364 del 16.6.10, rv 248244; sez. I ,
21.9.1999, n. 12496, in Cass Pen. 2000, n. 1078, p. 1949).
Nel caso in esame,non è quindi censurabile la motivazione della sentenza impugnata, laddove fa
riferimento alla gravità del fatto, desunta, ex art. 133 co. 1 n. 1 e 3 c.p. , indicando gli elementi
ritenuti decisivi e rilevanti (arco temporale ,modalità dell’azione ) attraverso la precisa
ricostruzione dei comportamenti dell’imputato, del suo impegno , della sua dedizione per il
rafforzamento della mafia ,ritenuti razionalmente incompatibili con un trattamento più mite.(sez. I,
21.9.1999, n. 12496, in Cass Pen. 2000, n. 1078, p. 1949)

,

12

, senza essere violentemente sanzionato e dissuaso dall’esercitare il diritto di libertà previsto dalla
Carta fondamentale del nostro ordinamento giuridico.
Ha ,in conclusione, scelto di abbandonare il mercato – governato da difficili regole economicofinanziarie e caratterizzato da imprevedibili esiti di profitto- e di entrare, con l’alleanza e la
protezione di Messina Denaro , nel mercato governato dalla regola della pura violenza e
caratterizzato dall’esito di profitto garantito . In sintesi nell’esercizio delle sue prerogative
imprenditoriali ,i1 Grigoli ha voluto produrre illecito profitto per sé e illecito potere per gli alleati
mafiosi , in un contesto di contratta libertà imprenditoriale in cui ai suoi concorrenti è concessa
un’unica alternativa : prendere ( l’onerosa protezione) o lasciare ad altri (l’iniziativa economica).
Alla luce delle risultanze processuali , deve ritenersi pienamente fedele alla razionale valutazione
delle stesse la conclusione dei giudici di merito che hanno individuato l’illecito monopolio nella
provincia di Trapani e l’illecita espansione nella provincia di Agrigento della Desapr nella
partecipazione dell’imprenditore nell’associazione Casa Nostra e specificamente negli interventi in
suo favore del Messina Denaro Dalla struttura societaria, creata da quest’ultimo con il
concessionario della Despar è nato un rapporto di reciproci vantaggi consistenti per l’imprenditore
nell’imporsi nel territorio delle due province in posizione dominante e per il sodalizio criminoso da
lui diretto nell’ottenere risorse finanziarie, servizi o utilità. Deve quindi concludersi con il
disconoscimento all’imputato ,nella vicenda in esame , del ruolo di vittima, cioè ,di imprenditore
soggiogato dall’intimidazione, che non tenta di venire a patti con il sodalizio, ma cede
all’imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un’intesa volta a
limitare tale danno. Il Grigoli, secondo la razionale valutazione dei giudici di merito, merita la
qualificazione di imprenditore colluso con l’associazione di tipo mafioso, con cui ha instaurato un
rapporto di reciproci vantaggi consistenti per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione
dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità (sez. 5 n.39042
dell’1.10.08, rv 242318).

Bl. Quanto al ricorso presentato nell’interesse del latitante Messina Denaro, è risultato che il
difensore di ufficio che lo ha assistito in secondo grado non ha potuto proporre ricorso non essendo
iscritto all’albo speciale dei difensori abilitati al patrocinio davanti alla corte di legittimità (v. S.U.
n. 24486 dell’11.7.06 rv 233919).
Va incidentalmente rilevato che è stata considerata manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 613 c.p.p. nella parte in cui non prevede ,in questo caso ,la
possibilità di proposizione del ricorso per cassazione da parte del difensore d’ufficio del latitante,
non essendo ravvisabile il denunciato contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione dal momento
che anche l’imputato latitante può proporre personalmente ricorso per cassazione e vedersi quindi
assicurata, nel successivo giudizio di legittimità, l’assistenza di un difensore d’ufficio cassazioni
sta(sez. 1 ,n. 45594 del 30.9.03 rv 226193).
Nel caso di specie l’imputato Messina Denaro non ha proposto personalmente ricorso , a norma
dal primo comma dell’art. 571 c.p.p., secondo cui l’imputato può proporre personalmente, o a
mezzo di un procuratore speciale nominato a norma dell’art. 122 c.p.p., qualsiasi impugnazione .In
assenza di nomina di difensore abilitato, da parte dell’imputato, il gravame è stato presentato
dall’avvocato di ufficio Castrenze Aiello, la cui nomina è stata però disposta irritualmente dalla
corte di appello, successivamente alla pronuncia della sentenza di secondo grado, quando ormai
quel giudice si era spogliato del procedimento. Né tale nomina può ritenersi legittima a norma del

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A8. In relazione alle censure sulla confisca ,disposta a norma dell’art. 416 bis co. 7 c.p., la corte di
merito ha correttamente premesso l’inconsistenza di quelle argomentazioni riferite al profilo della
sperequazione e del reimpiego dei proventi illeciti e all’esito del precedente processo suindicato.
Ha poi rilevato che il provvedimento ablativo presenta una immediata giustificazione in virtù
dell’accertata strumentalità del complesso dei beni costituiti in azienda, sia del “Gruppo 6
G.D.O.”SRL, sia della “Grigoli Distribuzioni” srl rispetto alla condotta di partecipazione alla
realizzazione del programma economico e finanziario del sodalizio.
I giudici di merito hanno infatti accertato , da un lato ,la permanente veicolazione a Cosa Nostra di
parte degli utili delle proprie imprese, a mezzo di ripetute operazioni di falsificazione contabile;
dall’altro, la completa disponibilità a svolgere un ruolo di fonte di disinteressato finanziamento
delle imprese di esponenti mafiosi, così come è avvenuto nel caso dell’Eurofarida. La piena
identificazione tra strategia imprenditoriale del Grigoli e strategia di potere di Cosa Nostra è stata
dimostrata dalla posizione di privilegio riconosciuta agli esponenti mafiosi locali, sia grazie ad
assunzioni mirate di accoliti, sia grazie all’esclusiva ,per la fornitura della merce dei supermercati
Despar, di prodotti provenienti da agricoltori o commercianti all’ingrosso amici
In queste imprese a partecipazione mafiosa, i giudici di merito hanno messo in luce il ruolo del
socio occulto , Messina Denaro, vertice della mafia nella provincia di Trapani.
Deve quindi essere condivisa la razionale conclusione, emersa dalle presenti indagini e valutazioni
giudiziarie, sulla sussistenza di un’unitaria e inscindibile strutturazione dell’intero quadro
aziendale,funzionante attraverso diversi operatori , di fatto e di diritto,in posizione visibile e in
posizione clandestina, che faceva capo ad un solo centro di interessi economici e criminosi di Cosa
Nostra.
A questa conclusione non può che seguire la conferma sia della condanna dei due esponenti
mafiosi, sia la confisca dei beni da essi acquisiti ,usati, investiti, ricavati nella loro condotta
criminosa .Sotto quest’ultimo profilo , va rilevato che, le disposizioni sulla confisca mirano a
sottrarre ai responsabili del reato ex art. 416 bis c.p. tutti i beni che servirono o furono destinati a
commettere il reato e quelli che ne sono il prezzo, il prodotto ,i1 profitto o ne costituiscono
l’impiego ,senza distinguere se le utilizzazioni produttive o consumistiche siano o meno di tipo
mafioso.
Il ricorso del Grigoli va quindi rigettato con condanna del medesimo al pagamento delle spese
processuali.

I ricorrenti vanno condannati in solido al rimborso delle spese della parte civile, che sono liquidate
globalmente in € 4.000,oltre accessori come per legge.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso di Messina Denaro Matteo, che condanna al pagamento delle
spese processuali. Rigetta il ricorso di Grigoli Giuseppe, che condanna al pagamento delle spese
processuali . Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile

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terzo comma dell’art. 97 c.p.p., che prevede esclusivamente un limitato incarico, funzionale
all’assistenza tecnica per il compimento di uno specifico atto, da parte dell’autorità procedente.
Quanto esposto sarebbe sufficiente per segnalare l’inammissibilità delle istanze e difese proposte
dal difensore con provvedimento abnorme.
B.2 In ogni caso , è da rilevare
l’intempestività della richiesta della rimessione in termini( presentata anticipatamente,
rispetto allo scadere del temine previsto dall’art. 585 c.p.p.),
la genericità delle argomentazioni sul mancato esame critico, da parte del giudice di
appello, di atti processuali che avrebbero dovuto indurre la corte territoriale ad assolvere il
Messina Denaro
la genericità delle critiche sull’attribuzione, sul piano grafico e sul piano del contenuto,
all’imputato della provenienza dei pizzini caratterizzati dalla firma “Alessio” e da
correzioni manoscritte : l’attribuzione al Messina Denaro è stata adeguatamente
giustificata ,con argomentazioni tecniche e logiche, assolutamente incensurabili in questa
sede, avendo i giudici di merito rilevato che : a) il contenuto delle missive a firma “Alessio”
attesta la loro provenienza dal rappresentante di Cosa Nostra nella provincia di Trapani,
pacificamente identificato nel Messina Denaro, anche nel corso della sua latitanza ; b) a
questa posizione di latitante si fa riferimento nelle missive a firma “Alessio” (v., tra le altre
,la missiva 21.1.06 più volte citata a fondamento della tesi di accusa sul ruolo di Messina
Denaro nella controversia Grigoli/ Capizzi e nel progetto non realizzato dell’apertura di un
punto vendita Despar a Corleone per soddisfare le aspirazioni imprenditoriali del
Provenzano; c) l’affidabilità della provenienza della corrispondenza intercorsa tra i capi
mafiosi era adeguatamente tutelata — al di là di più o meno criptici pseudonimi- dalla
assoluta fiducia riconosciuta alle persone che svolgevano il ruolo di messaggeri ; d) Falsone
e Provenzano, adoperando, l’abbreviazione Matt e l’espressione amico di Tp, quando si
riferiscono all’interlocutore che si firma “Alessio”, confermano in maniera incontestabile
che quest’ultimo si identifica nel Matteo Messina Denaro;
. la manifesta infondatezza della negazione dell’uso del metodo mafioso , da parte del
Messina Denaro, nello svolgimento della sua attività imprenditoriale nel campo della grande
distribuzione alimentare, attività che i giudici, come già rilevato nell’esame del ricorso del
Grigolo , – hanno motivatamente inquadrato nel contesto dell’illecito monopolio nella
provincia di Trapani e nell’illecita espansione nella provincia di Agrigento della catena
Despar, avvenuti in virtù di un metodo estraneo alla regolare concorrenza e basato sulla
regola della pura violenza e dalla correlata fama intimidatoria e predatoria della mafia
locale.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna dell’imputato al pagamento delle spese
processuali; con esclusione della sanzione pecuniaria, poiché nel caso in esame l’abnorme nomina
di un difensore di ufficio è stata effettuata dalla corte di appello ed esulano profili significativi di
colpa in capo alla parte ricorrente e non sussistono ,quindi , le condizioni stabilite dall’art.616 c.p.p.
nel testo modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n.186(S.U. n. 33542
del 27.6.01, rv 219532).

Associazione Antiracket e Antiusura di Trapani, che liquida globalmente in complessivi € 4.000,00
oltre accessori come per legge.
Roma 17.10.2013
Il consigliere estensore
Il presidente
Antonio Beve7
Giuliana Fe a

/t)77
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