Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 281 del 12/12/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 281 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MACRI’ UBALDA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Abdul Salarn Asad, nato in Bangladesh il 4.4.1981,
avverso l’ordinanza in data 24.2.2017 del Giudice per le indagini preliminari di
Cassino,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 24.2.2017 il Giudice per le indagini preliminari di

Data Udienza: 12/12/2017

Cassino ha rigettato la richiesta presentata da Abdul Salam Asad di restituzione
nel termine per l’opposizione a decreto penale di condanna per il reato di cui
all’art. 517 c.p., siccome non versava nella condizione di ignoranza della lingua
italiana: non risultava alcun impedimento rilevabile negli atti della polizia
giudiziaria, la quale aveva operato la sua identificazione sulla scorta di una carta
di identità italiana ed al momento del sequestro della merce contraffatta aveva
pure raccolto la versione difensiva che la detta merce era di un suo amico, di cui
non ricordava il nome e non era in grado di descrivere.
Secondo il Giudice, il fatto che l’indagato fosse nella disponibilità del
documento italiano era sintomatico di contatti positivi e validi in lingua italiana
con gli uffici sicché non poteva dirsi ignaro della forma della documentazione

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pubblica degli atti dello Stato italiano, ed in particolare del sigillo della
Repubblica. Nella specie, non ricorreva né la causa di forza maggiore né la nullità
del decreto penale di condanna.

2. Con il primo motivo, il ricorrente, per il tramite del suo difensore, lamenta
la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 143
c.p.p. Assume che il d.Lgs. 32/2004, nel dare attuazione alla Direttiva UE
64/2010 ha riconosciuto il diritto all’interpretazione ed alla traduzione degli atti

comprendono la lingua del procedimento, al fine di garantire loro il più ampio
diritto ad un equo processo. Sulla base dell’art. 143, comma 4, c.p.p., vigente,
l’accertamento della conoscenza della lingua italiana è compiuto dall’Autorità
giudiziaria e la conoscenza della lingua italiana è presunta per il cittadino
italiano. Nella specie, il Giudice avrebbe dovuto tradurre il decreto, quanto meno
in una lingua a lui comprensibile, oppure accertarsi tramite un interprete delle
gravi conseguenze che dalla firma del verbale di notifica gli potevano derivare.
Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 175, comma 2, c.p.p.,
secondo cui l’imputato condannato con decreto penale, che non ha avuto
tempestiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel
termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato.
Nella specie, siccome non aveva compreso il contenuto del decreto penale di
condanna né di avere un termine per opporvisi, a causa della difficoltà
linguistica, non aveva potuto esercitare tempestivamente il suo diritto alla
difesa, subendo un grave pregiudizio.
Con memoria depositata il 23.11.2017 il ricorrente ribadisce l’argomento
della violazione del diritto di difesa e precisa che il possesso della carta d’identità
italiana è elemento marginale e privo della valenza attribuitagli dal Giudice per le
indagini preliminari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente imposta la sua difesa esclusivamente sull’ignoranza della
lingua italiana, riducendo ad indiziario l’argomento del Giudice relativo al
possesso della carta d’identità. Sennonché, senza entrare nel merito della
“qualità” dell’indizio, non si confronta con l’ulteriore e parimenti decisivo
argomento, solidamente esposto nel provvedimento impugnato, secondo cui la
Polizia giudiziaria al momento del sequestro ha ricevuto e verbalizzato le
dichiarazioni difensive.

2

fondamentali del processo penale in favore di coloro che non parlano o non

Il Giudice, pertanto, sia dalla titolarità della carta d’identità italiana sia dal
verbale della Polizia giudiziaria, ha tratto la conclusione non censurabile sulla
base del vizio di violazione di legge per mancanza dell’accertamento che, nella
specie è stato compiuto e per giunta in modo corretto, che il ricorrente
conoscesse la lingua italiana e non necessitasse della traduzione decreto penale
di condanna.
Pertanto, non risulta integrata la violazione del diritto di difesa e non v’è
luogo alla restituzione in termini per l’opposizione.

che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per
il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in
data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

P .Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso, il 12 dicembre 2017.
Il Consigliere estensore

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Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto

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