Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28090 del 07/05/2013

Penale Sent. Sez. 5 Num. 28090 Anno 2013
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso l’ordinanza n. 2203/2012 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
09/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 07/05/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giovanni D’Angelo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9.11.2012, il Tribunale di Torino ha rigettato la richiesta di
riesame e ha confermato l’ordinanza 10.10.2012 del Gip del medesimo Tribunale,

ordine al reato ex art. 416 bis, commi da 1 a 5 c.p., perché accusato di far parte,
insieme ad altre persone, tra cui tra cui Marino Pietro e i figli Antonino e Nicola,
dell’associazione mafiosa denominata

‘ndrangheta,

operante sul territorio

piemontese ed avente propri referenti in strutture organizzate insediate in Calabria
– i cui componenti sono sottoposti a procedimento giudiziario, svolto dall’A.G. di
Reggio Calabria – costituita da articolazioni territoriali denominate “locali”, tra cui
locale di Nichelino, di Chivasso e di Livorno Ferraris.
Questa associazione, secondo gli inquirenti, avvalendosi della forza di intimidazione
del vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di
omertà, ha lo scopo di commettere delitti in materia di armi, esplosivi e
munizionamento, contro la vita e l’incolumità fisica, contro il patrimonio, contro
l’ordine pubblico economico, nonché reati volti ad ostacolare il libero esercizio del
voto.
2. Il presente procedimento nasce da indagini, che sono state dagli inquirenti
denominate “Colpo di coda”, aventi ad oggetto il locale di Chivasso – la cui
emanazione è il locale Livorno Ferraris – e costituiscono lo sviluppo delle indagini,
denominate “Minotauro”, aventi ad oggetto gli insediamenti della `ndrangheta nel
Torinese e nei territori limitrofi.
In entrambi i procedimenti nati da queste indagini, gli inquirenti hanno riconosciuto
a un dato fattuale (la raccolta di denaro destinato ai detenuti) l’efficacia
dimostrativa della partecipazione, da parte di chi vi presenzi come operatore o
come beneficiario, all’associazione predetta, nelle sue varie articolazioni
3. Nell’interesse del A.A. è stato presentato ricorso – integrato da
successiva memoria difensiva del 9 aprile 2013 – per violazione di legge, in
riferimento all’art. 273 c.p.p e per mancanza e manifesta illogicità della
motivazione, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: non vi è
alcun elemento idoneo a costituire grave indizio sulla sua partecipazione alla
“colletta” e sul conferimento di denaro, da parte del medesimo.
3.1 Dalla conversazione intercettata del 14 dicembre 2011 tra Pietro e Antonino
Marino, impegnati nella conta del denaro che avrebbero voluto inviare, in
2

applicativa della misura cautelare della custodia in carcere a A.A., in

prossimità delle festività natalizie del 2011, ad alcuni indagati ristretti in carcere,
non emergerebbe con chiarezza che il nominativo della persona che ha versato il
denaro corrisponda al nome dell’indagato. Il
ricorrente rappresenta che esistono due trascrizioni leggermente diverse, pochè in
una delle due, alla domanda di Tony a Pietro se Gaetano avesse versato i soldi,
compare un “no”, che nell’altra non c’è.
3.2 Inoltre non risulterebbe alcun altro elemento indiziario a carico del predetto,
contatti, relazioni, partecipazioni a riunioni, frequentazioni di persone o ambienti
criminali, né alcuno dei cd. indicatori fattuali evidenziati dalle Sezioni Unite nella
nota sentenza “Mannino” (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670),
dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza, possa logicamente inferirsi la
appartenenza alla consorteria mafiosa, quali, esemplificando, i comportamenti
tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale,
l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre
a molteplici, e però significativi

“facta concludentia”,

idonei senza alcun

automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza
del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale
considerato dall’imputazione; né potrebbe essere logicamente riconosciuto alcun
spessore dimostrativo ai riferimenti alla sua presenza in cerimonie religiose o
incontri conviviali, coinvolgenti sodali di associazione mafiosa (in sostanza l’invito al
matrimonio di D’Amico Maria Giovanna, al quale nemmeno partecipò, limitandosi ad
una regalia di C 100), in base all’orientamento giurisprudenziale richiamato nei
motivi aggiunti (Sez. 6, n. 24469 del 05/05/2009, Bono, Rv. 244382), secondo cui
tale presenza non è sintomatica dell’appartenenza a sodalizi criminali. Questi
occasionali o sporadici contatti possono configurarsi come motivi di sospetto,
sufficienti per giustificare e indirizzare le indagini, ma non possono essere
valorizzati come prove indirette o logiche.
L’estraneità del A.A. sarebbe desumibile anche dalle sue origini siciliane e
dall’insuccesso nel quartiere “Coppina” del candidato sindaco designato
dall’associazione, che raccolse appena 16 voti, laddove il solo A.A. aveva
circa 30 parenti tra i votanti del quartiere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e pertanto va accolto.
1.1 Va premesso che la richiesta di riesame, come mezzo di impugnazione, sia pure
atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza
3

non essendo mai emerse – nemmeno nel procedimento principale “Minotauro” –

cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 c.p.p. e ai
presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo. Ne
consegue che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di
vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo,
ispirato al modulo di cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal
particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi
e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
accertamenti dell’autorità inquirente – non necessariamente sfociante in una
progressiva certezza – allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, per partecipazione ad associazione
mafiosa, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla
peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il
giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto
ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie.
1.2 Come è noto, la forma libera che caratterizza la fisionomia del reato associativo
e la mancata tipizzazione della relativa condotta di appartenenza conducono e
ritenere che la tipicità di questo modello associativo risiede solo nella modalità
attraverso cui l’associazione si manifesta concretamente, modalità che si esprime
nel concetto di “metodo mafioso”, individuato nella forza intimidatrice del vincolo
associativo, nella condizione, di assoggettamento generale dei consociati e specifico
delle vittime, in una determinata parte del territorio e della società, nonché nelle
imprescindibili strutture (offensive e difensive) funzionali a rendere operativa senza soluzione di continuità e senza irrecuperabili flessioni – la gestione
dell’egemonia economica, politica e di costume, nella propria area di competenza.
Secondo la comune esperienza, il generale fenomeno mafioso si manifesta nella
proliferazione, autonoma o

geneticamente derivata

da altre associazioni

preesistenti, di articolazioni territoriali, nel cui ambito i vari gruppi criminosi entrano
in rapporto di cooperazione, di concorrenza, di conflittualità
Un gruppo avente natura di associazione mafiosa si presenta quindi caratterizzato,

nella consolidata storiografia giudiziaria nel campo mafioso, da un nucleo di
associati, da un programma criminoso, da una proiezione territoriale della propria
forza intimidatrice, da una o più tipologie di condotte lecite e illecite, svolte in un
molteplice fronte, in cui le adesioni e le collusione sono accompagnate da avversari
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probabilità di colpevolezza. In questa chiave di pre-certezza del risultato degli

e contrapposizioni insanabili. In questa proiezione collettiva e corale alla
commissione di fatti criminosi, che possono infrangere sia le norme dello Stato sia
gli interessi di associazioni concorrenti (per materia e per territorio) hanno
acquistato rilievo – agli occhi dei consociati e conseguentemente all’attenzione degli
inquirenti dello Stato – vincoli di fedeltà, di reciproca assistenza tra gli adepti
dell’associazione, operanti – oltre che nello scontro con i gruppi contendenti – nello
scontro, perdente, con il potere repressivo dello Stato, esercitato con i
aderenti.
1.3 Questo aspetto organizzativo dell’associazione mafiosa di difesa, rispetto alla
rivincita della legge penale, ha messo in luce – nei processi aventi ad oggetto il
crimine associativo – un dato patrimoniale utile ai fini dell’individuazione
dell’associazione della ricostruzione del rapporto intercorrente tra gli indagati e
l’associazione medesima: la inclusione dei primi tra i retribuiti con i profitti
criminali. Tale circolazione di denaro – in nome della solidarietà e della resistenza
alla legalità – ha condotto razionalmente, all’interno della ormai consolidata
storiografia giudiziaria – alla considerazione che trattasi della corresponsione al
detenuto, a titolo di compenso, per i meriti acquisiti in passato e a titolo di vincolo,
per il futuro, ipotecandone la persona e le energie al servizio dell’associazione
mafiosa, di cui sono logicamente da ritenere componenti, sia pure con limitata
potestà di azione.
1.4 Proprio il suindicato aspetto organizzativo di difesa mafiosa (la presenza degli
indagati nella raccolta e nella distribuzione di denaro, in funzione di riparazione dei
guasti creati dall’intervento punitivo dello Stato) ha ottenuto dai magistrati del
presente procedimento il riconoscimento di dato illuminante della sussistenza
dell’associazione mafiosa e della partecipazione ad essa dei ricorrenti, così come è
stato delineato nel capo di imputazione. Tale circolazione di denaro ha portato il Gip
e il Tribunale del riesame alla considerazione che trattasi della corresponsione al
detenuto, a titolo di compenso, per i meriti acquisiti in passato e a titolo di vincolo,
per il futuro, ipotecandone la persona e le energie al servizio dell’associazione
mafiosa, di cui sono logicamente da ritenere componenti.
Il Tribunale del riesame di Torino ha quindi confermato la razionale considerazione,
secondo cui la presenza di alcuni indagati tra i partecipi alla raccolta e alla
distribuzione del fondo solidarietà detenuti abbia efficacia indiziaria della
partecipazione, da parte dell’operatore o del beneficiario, all’associazione predetta,
nelle sue varie articolazioni, anche perché la raccolta di denaro non è giustificata da
solidarietà familiare, in quanto gli inquirenti dimostrano di aver accertato che i
versamenti sono stati effettuati da persone che non sono legate da rapporti di
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provvedimenti, processuali o definitivi, di privazione della libertà personale di alcuni

parentela ai beneficiari. In base alle dichiarazioni di collaboratori, di cui è stata
verificata l’affidabilità, gli inquirenti hanno raggiunto il convincimento che sussiste
l’obbligo degli aderenti di aiutare economicamente la famiglia, i cui componenti
sono detenuti; da questo dato gli inquirenti hanno tratto la seguente
considerazione: se partecipare alle attività di sostegno dei consociati in carcere
costituisce un preciso obbligo di quelli liberi, ne consegue che tutti coloro che senza essere indicati come soggetti di distinti rapporti definiti altri con
1.5 Secondo l’ordinanza del Tribunale del riesame “La colletta deve intendersi
inequivocabilmente indicatore l’attuale, da quale desumere la compenetrazione di
tutti i partecipi nel tessuto organizzativo associativo e, al tempo stesso, prova
dell’affiliazione, in quanto i non associati, per quanto legati da stretta amicizia, non
vi possono essere ammessi” (pagina 25); il fulcro di questo convincimento deriva

dalle intercettazioni di conversazioni ambientali, intercorse tra Marino Pietro personaggio intraneo ad alto livello nell’associazione – e il figlio Antonino – nelle
date 14 e 18 dicembre 2011 e 12 ottobre 2012, aventi ad oggetto l’indicazione di
autori e degli importi dei versamenti, nonché dei beneficiari e dell’importo delle
somme ad essi destinato. In queste conversazioni si parla di una raccolta di denaro,
proveniente da 13 persone, che si autotassano, per 120 euro; la somma raccolta è
destinata a 8 detenuti, nella misura di 200 euro ciascuno.
Premessa la obbligatorietà della tassa di 120 euro, gravante su ciascuno degli
affiliati liberi, se un affiliato ha un familiare in carcere non deve versarla, per
evitare un inutile giro di moneta: basta versargli 80 euro che, aggiunti
all’ammontare della tassa di 120, realizzeranno l’importo del contributo di
solidarietà mafiosa.
1.6 L’obbligatorietà di contribuire alla raccolta di fondi, a scopo assistenziale (a
beneficio materiale e morale dei detenuti, che percepiscono la persistenza,
nonostante l’esilio carcerario, del rapporto dare/avere con l’associazione) è
affermata anche da B.B. (legata al sodale C.C. e profondamente inserita nel costume e nelle regole del clan), nelle
dichiarazioni del 27 ottobre 2012, a proposito della regola, gravante sugli “amici”,
dell’aiuto economico in favore dei familiari del detenuto (pagina 24 dell’ordinanza).
Come già anticipato, nella conversazione, avente ad oggetto la distribuzione del
denaro raccolto, intercettata il 18 dicembre 2011, tra Marino Pietro e D’Amico
Antonino, sono nominati alcuni beneficiari.
Successivi accertamenti hanno consentito di individuare il periodo (giorni
immediatamente precedenti al Natale), l’ammontare (200 euro) e i beneficiari
(alcuni detenuti del gruppo mafioso) della distribuzione del denaro raccolto tramite
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l’associazione – abbiano partecipato ad una colletta, sono consociati.

la colletta.
1.7 Con riferimento all’odierno indagato, la sua partecipazione alla colletta è
oggetto della conversazione, registrata il 14 dicembre 2011, nel corso della quale
Marino Antonino, nel contare e ricontare con il padre Pietro il numero dei
“partecipanti”, allo scopo di arrivare a 13, ad un certo punto si riferisce al
Lomonaco: “Gae.. Gaetano li ha messi?” ed il padre “No, contiamo tutti”; “Tanino”
insiste il figlio – “Gaetano?” chiede il padre – “Tanino Lomonaco”

ancora il figlio.

Da questa sequenza verbale, nella quale l’indagato è indicato addirittura con nome
e cognome, il Tribunale del riesame deduce il ruolo di associato del A.A..
2. Ai fini dell’emissione di una misura cautelare personale, per gravi indizi di
colpevolezza ex art. 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di
natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni
degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sè a
provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato ai fini della pronuncia di
una sentenza di condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di
prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, saranno idonei a dimostrare
tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di
colpevolezza.
2.1 con riferimento alla posizione del A.A., l’unico elemento indiziario a suo
carico è rappresentato dalla conversazione tra Pietro ed Antonino Marino del 14
dicembre 2011, non essendo rinvenibile, tra i risultati delle ampie indagini, altro
riferimento all’indagato, al di là della sua veste di partecipe “ai matrimoni”, anzi, di
invitato ad un unico matrimonio (quello in data 8 settembre 2007 della figlia di
D’Amico Antonino, attinto dalla medesima ordinanza cautelare impugnata) – per il
quale risulta aver versato 100 – nonchè di affiliato che non farebbe il suo dovere,
non essendo andato al funerale di Fotia Lorenzo (intercettazione ambientale del 16
settembre 2012, conversazione tra D’Amico Antonino e ancora Marino Pietro).
2.2 La stessa ordinanza, peraltro, riconosce la fragilità indiziaria del dato
comportamentale della contribuzione alla colletta, laddove attribuisce una forza
dimostrativa agli ulteriori elementi indicati, mediante l’espressione

“Ad

colorandum”.
2.3 II dato della contribuzione, però, palesa qualche margine di incertezza e di
ambiguità, laddove, alla domanda di Antonino, Pietro Marino risponde in un primo
momento “No, contiamo tutti”, per poi successivamente contraddirsi con un “Sì.
Bruno…”, tanto da far rientrare “Tanino” nel computo finale dei 13 partecipanti alla
colletta.
In proposito il ricorrente evidenzia che la partecipazione alla colletta, elemento che
7

“Sì. Bruno…” conclude il padre.

4

comunque non sarebbe in grado di suffragare adeguatamente la gravità indiziaria
per il delitto associativo, si risolve in una mera congettura, sfornita di qualsivoglia
supporto istruttorio, poiché riferito da terze persone e non riscontrato dall’effettivo
versamento.
2.4 Né può essere considerata alla stregua di un indizio l’invito e la successiva
contribuzione con 100€ al matrimonio della figlia di D’Amico Antonino, presunto
sodale, in base al condivisibile orientamento giurisprudenziale (Sez. 6, n. 9185 del
pregiudicati possono rappresentare indizi di pericolosità ai fini dell’applicazione di
misure di prevenzione, ma vanno valutate con estrema prudenza come indizio di
appartenenza mafiosa, fermo restando che il principio del libero convincimento
consente di desumere la prova di un patto sociale criminoso attraverso ogni
elemento che possa considerasi sintomatico del pactum sceleris.
Precisa il Collegio che le semplici frequentazioni per parentela, affetti, amicizia,
comune estrazione ambientale o sociale, per rapporti di affari e, a maggior ragione,
gli occasionali o sporadici contatti, soprattutto in occasione di eventi pubblici
(cortei, feste, funerali, etc.) in contesti territoriali ristretti, non possono di per sé
essere utilizzati come sintomatici dell’appartenenza a sodalizi criminali, ma possono
configurarsi, allorquando la personalità dei soggetti fornisca concrete ragioni
sull’illiceità dell’attività svolta in comune, come motivi di sospetto sufficienti per
giustificare e indirizzare le indagini, ma non possono essere valorizzati come prove
indirette o logiche. Frequentazioni e contatti, quando risultino qualificati da abituale
o significativa reiterazione, non giustificata da usuali modalità di convivenza in
contesti territoriali ristretti, possono — se connotati dal necessario carattere
individualizzante — essere utilizzati come riscontri da valutare ai sensi dell’art. 192,
comma 3, c.p.p. (Sez. 6, n. 24469 del 05/05/2009, Bono, Rv. 244382). Tale non è
la situazione della fattispecie in esame.
2.5 Conclusivamente, va registrato che rispetto ad altre posizioni (segnatamente
quelle di Trunfio Bruno e Siclari Sebastiano), a fronte di una identificazione non
sicura nella conversazione relativa alla colletta ed in mancanza di ulteriori elementi,
quali la partecipazione a riunioni o il coinvolgimento in conversazioni intercettate, il
Tribunale del riesame ha annullato l’ordinanza del G.I.P., ritenendo che il quadro
indiziario non fosse caratterizzato dal livello di gravità richiesto dalla legge.
2.6 La situazione si prospetta negli stessi termini con riferimento a A.A.
, per il quale l’unico elemento indiziario (la cui dubbia portata si è
precisata), va inserito nel vuoto probatorio circostante, nel senso che esso deve
essere posto in relazione alla cd. prova negativa, tenendo conto della assenza di
ulteriori acquisizioni significative nell’arco di un lungo periodo di indagine,

25/01/2012, Biondo, Rv. 252281), secondo cui le frequentazioni con pericolosi

articolatosi con dispiego di importanti strumenti di accertamento.
• Pertanto, anche alla luce del criterio interpretativo segnato dalla decisione citata,
deve riconoscersi, allo stato, l’assenza di un valido sostegno indiziario alla
limitazione della libertà personale del ricorrente.
3. In conclusione il ricorso va accolto e l’ordinanza impugnata merita l’annullamento
senza rinvio; deve essere quindi dichiarata la cessazione della efficacia della misura
cautelare e ordinata la liberazione del ricorrente A.A., se non

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata senza rinvio. Dichiara la cessazione dell’efficacia
della misura cautelare in atto. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui
all’art. 626 c.p.p..
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2013
Il Preside
Antonio

detenuto per altra causa.

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