Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28083 del 20/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28083 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COLOMBO DARIO N. IL 12/05/1953
avverso la sentenza n. 1708/2014 TRIBUNALE di MONZA, del
17/09/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 20/04/2016

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
fu applicata a COLOMBO DARIO, per la contraffazione delle attestazioni di avvenuta
ricezione di una richiesta di permesso di costruire in sanatoria nonché di una
denuncia di inizio attività, attribuendo alle stesse falsi numeri di protocollo, la pena
concordata con la pubblica accusa nella misura di 2 mesi di reclusione, in aumento
rispetto ad altra sentenza;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con
atto del difensore, avv. Roberto Iannaccone, deducendo violazione di legge e

proc. pen., poiché il timbro del protocollo in uso al Comune di Varedo era autentico
e non risulta segnato ed apposto alcun numero attestante il deposito dell’atto, per
cui l’unica anomalia era rappresentata dall’assegnazione di un numero di pratica
coincidente con quello di altra procedura, sicché non poteva ritenersi sussistente
alcun falso; che con riferimento al timbro, riconosciuto come autentico dal
funzionario del Comune, al più può esservi stata una riproduzione fotostatica, che
non integra alcun reato di falso;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato, in quanto si dà espressamente atto,
nell’impugnata sentenza, della ritenuta sussistenza delle condizioni tutte, positive e
negative, previste dall’art. 444 cod. proc. pen. per l’applicazione della pena su
richiesta, ivi compresa quella costituita dall’assenza dei presupposti per la
pronuncia di sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p.; il che basta ad
escludere ogni violazione di legge ed a soddisfare le esigenze di motivazione proprie
delle pronunce del genere di quella impugnata;
– che le doglianze del ricorrente implicano un giudizio di merito, con articolata
valutazione degli elementi di prova, e sul punto questa Corte ha avuto più volte
modo di affermare e ribadire, condivisibilmente, che “in sede di patteggiamento, il
giudice non può pronunciare sentenza clí proscioglimento o di assoluzione per
mancanza, insufficienza o contraddittorietà delle prove desumibili dagli atti, non
rientrando tale possibilità tra quelle esplicitamente indicate dall’art. 129 c.p.p.,
comma 1” (tra le ultime, Sez. 2, n. 1390 del 12/12/2014 – dep. 14/01/2015,
Molina, Rv. 261857; Sez. 4, n. 27952 del 07/06/2012, Zilli, Rv. 253588);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere
ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro rnillecinquecento;
2

mancanza della motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 cod.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alle cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2016
Il presidente

Il consigliere estensore

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