Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28083 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28083 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANDREA1ANGELO N. IL 07/05/1978
avverso l’ordinanza n. 1775/2012 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
27/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
le
entite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 12/04/2013

FATTO E DIRITTO

Propone ricorso per cassazione Angelo Andrea avverso la ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo, in
data 27 dicembre 2012, con la quale, in accoglimento dell’appello del Pubblico ministero contro l’ordinanza
del locale Gip – di rigetto di un’istanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in
relazione all’ipotesi di partecipazione ad associazione mafiosa aggravata- è stata disposta la misura stessa:
con disposizione di sospensione dell’esecuzione del provvedimento fino alla definitività dello stesso.
Il ricorrente è indagato quale partecipe dell’associazione mafiosa Cosa Nostra, nella articolazione di
quali Messina Denaro Matteo, Messina Denaro Salvatore, Guttadauro Filippo, Buonafede Leonardo ed altri:
partecipazione manifestatasi con la messa a disposizione della associazione, delle proprie capacità
imprenditoriali, al fine di consentire alla associazione stessa di acquisire il controllo di iniziative finalizzate
alla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, nella provincia di Trapani in
particolare, curando altresì che una percentuale dei proventi di tale attività di promozione e sviluppo
venisse destinata alla associazione, nella persona di Matteo Messina Denaro, latitante nonché capo ed
organizzatore di Cosa nostra nell’intera provincia di Trapani e nella Sicilia occidentale.
Il Tribunale del riesame ha posto in evidenza le ragioni del dissenso rispetto agli argomenti con i quali il Gip
aveva escluso la sussistenza di gravi indizi della partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa di cui
all’imputazione provvisoria.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che l’intera fattispecie descritta nell’imputazione- capace di delineare
tutti i segmenti costitutivi, sul piano oggettivo e soggettivo, della ipotizzata partecipazione- fosse rimasta
sostenuta dal necessario compendio indiziarlo. Ed in particolare non poteva ritenersi mancato il detto
compendio-diversamente da quanto ritenuto dal Gip-con riferimento anche alla consapevolezza e volontà,
da parte del ricorrente, di incrementare il potere economico e di controllo, dell’associazione mafiosa, sul
settore in espansione degli impianti produttivi di energia alternativa nella Sicilia occidentale, avendo egli
partecipato attivamente alla fase della acquisizione di una importante “tangente”, parte della quale era
destinata a una delle principali figure apicali del detto consesso criminale, Messina Denaro, attualmente
latitante.

Il Tribunale del riesame ha cioè ricordato in primo luogo le numerose conversazioni intercettate che
lasciavano emergere le costanti informazioni, fornite dal padre del ricorrente, Andrea Salvatore, all’odierno
indagato, in ordine non solo ai rapporti dallo stesso intrattenuti con personaggi partecipi del detto sodalizio
ma anche e soprattutto agli appoggi ricevuti da taluno di costoro-in particolare i Lo Piccolo, ovviamente
prima del loro arresto- per l’acquisizione di lavori da fare eseguire all’impresa del ricorrente, di fatto da
questi gestita unitamente al padre.
Sul punto il Tribunale del riesame ha formulato una duplice considerazione a proposito, da un lato, della
eloquente significatività delle stesse conversazioni intercettate nel far emergere la intraneità del ricorrente
alla associazione e ai fatti di quella di cui il padre gli parlava, trattandosi di argomenti che solo fra partecipi
al detto sodalizio vengono trattati per il notorio divieto di divulgazione all’esterno dei medesimi; dall’altro
lato, le stesse conversazioni sono state ritenute indizio grave della scelta, operata consapevolmente dal
ricorrente, di mettere la propria impresa a disposizione dei progetti del padre ed in particolare di quelli di
acquisizione illecita dei lavori edili grazie all’intervento di esponenti mafiosi di spicco quali i Lo Piccolo i
quali, altrettanto notoriamente, sarebbero rimasti destinatari di una parte dei proventi.
Il secondo ordine di considerazioni del Tribunale del riesame ha riguardato la sussistenza del materiale
indiziario che concerneva la vicenda della implicazione del ricorrente e la sua reale intromissione , garantita

Castelvetrano e di Salemi, unitamente ad una serie di soggetti già condannati o sottoposti a processo, tra i

dai solidi appoggi di indagati nel medesimo reato associativo, nella fase dell’avvio del progetto per la
realizzazione di un parco eolico nella provincia di Catania: un progetto che, lanciato da Saladino Melchiorre,
con il susseguente interessamento di una società multinazionale danese- la Baltic Wind- intenzionata ad
acquisire il progetto solo se adeguatamente sviluppato con la raccolta dei “dati del vento” in possesso dello
stesso Saladino, aveva registrato la intromissione interessata dello stesso ricorrente.
Costui, sulla base delle intercettazioni, era stato ritenuto favorito presso il Saladino, dal coindagato Sacco
Santo attivato dal proprio padre Salvatore, con il beneplacito anche del capo della famiglia mafiosa di
Salemi- Casciolo Gaspare- nonché dal personaggio di vertice assoluto Matteo Messina Denaro (chiamato in
causa grazie agli uffici del nipote Guttadauro Francesco), affinché il primo, il quale aveva resistito per lungo
progetto stesso, pagando la tangente che, in cambio, le veniva richiesta dallo stesso ricorrente.
Ancora dalle intercettazioni era emerso che il padre del ricorrente, Angelo Salvatore, aveva detto
chiaramente a uno dei partner locali della Baltic Wind -Pizzo Salvatore- della necessità del pagamento della
tangente del 10% che doveva essergli versata dalla società stessa all’atto della stipula degli accordi, perché
una parte di questa doveva, a sua volta, essere corrisposta ad un soggetto individuato come “compare di
Matteo”, da intendersi, quest’ultimo come Matteo Messina Denaro.
Tutto ciò posto, il Tribunale evidenziava come l’implicazione a pieno titolo, nell’intera vicenda, nella sua
complessiva significatività, da parte del ricorrente, fosse testimoniata da un’ ulteriore intercettazione
eseguita il 13 febbraio 2008, relativamente a un colloquio avvenuto tra il ricorrente e suo padre, dopo un
pranzo osservato dalla polizia giudiziaria nella stessa data, tra il ricorrente, il Sacco, il Pizzo e i fondatori
della menzionata società straniera: ebbene, si era trattato di un colloquio nel quale il padre aveva chiesto
esplicitamente al figlio se fosse stata richiesta alla Baltic la tangente di 6 milioni di euro, ricevendone
assicurazione e chiarendo che si trattava di una tangente da dividere con altri.
Deduce il ricorrente la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.
Segnala l’assoluta impossibilità di attribuire alle conversazioni intercettate, relative ai presunti rapporti di
Salvatore Angelo con associati mafiosi, il significato illustrato dal Tribunale.
In realtà, secondo la difesa, si sarebbe trattato non già di comunicazioni tra padre e figlio in qualità di
associati a Cosa nostra ma di consigli di un genitore in favore del proprio figlio.
Ugualmente la difesa contesta che dalla conversazione del 13 novembre 2007 possa desumersi
l’assoggettamento, da parte del ricorrente, alle logiche mafiose dei Lo Piccolo ovvero la natura illecita dei
lavori di cui parlava il padre o del ruolo svolto dei predetti Lo Piccolo nel far acquisire, all’impresa del
ricorrente, i lavori di cui alla frase intercettata. Viceversa ricorda la difesa di avere segnalato altre
intercettazioni dalle quali sarebbe emersa la mancanza di consapevolezza, in capo al ricorrente,
dell’eventuale intervento, in favore della sua impresa, dei Lo Piccolo, come era dimostrato addirittura dalla
ritrosia espressa dal ricorrente e dai dubbi sulla accettazione di quei lavori.
Anche la conversazione con Casciolo sarebbe stata travisata nell’ordinanza impugnata poichè riguardava
non già il tema del parco eolico ma la vicenda del danneggiamento di un mezzo di Angelo Salvatore: e
d’altra parte quella conversazione non attestava un comportamento di partecipazione alla associazione.
In ordine alla vicenda del parco eolico lo di difesa sottolinea in primo luogo che si tratta di un piano mai
approvato dall’assessorato regionale competente.
Ma soprattutto la difesa contesta che vi sia indizio alcuno capace di asseverare l’ipotesi che l’acconto
richiesto da Angelo Salvatore a Pizzo Salvatore, quale esponente della Baltic, fosse destinato, sia pure in
parte, a un soggetto identificato e tantomeno a Matteo Messina Denaro.

tempo, finisse per cedergli i menzionati “dati del vento”, necessari poi alla Baltic Wind per lanciarsi del

Quest’ultimo soggetto è stato chiamato in causa, dal Tribunale, sulla base di elementi assolutamente non
significativi quali il paese di origine di Angelo Salvatore o l’autorevolezza che sarebbe promanata dal nome
di battesimo in questione.
Anche in ordine alla vicenda del 13 febbraio 2008, la difesa lamenta la mancanza di motivazione sulla
richiesta di valutare la pretesa economica di Angelo Salvatore non già come una tangente ma come
percentuale per la mediazione : ed infatti manca, nella rappresentazione della richiesta, qualsiasi risvolto di
minaccia che è indispensabile per qualificare la richiesta di acconto come profitto di un’estorsione.
In conclusione la difesa sostiene che tutte le condotte fin qui descritte non dimostrano altro che la
esistenza di meri colloqui informativi fra il padre e il figlio a proposito di rapporti lavorativi leciti e
In realtà, sostiene la difesa che la Salemitana costruzioni era una società di fatto amministrata da Angelo
Salvatore il quale, essendo fallito, non poteva amministrare con il proprio nome ma si affidava alla figura
del figlio, come di fatto già ritenuto dalla polizia giudiziaria e poi dal gip.
Il ricorso è fondato.
L’intero costrutto accusatorio, accreditato nella motivazione del provvedimento impugnato, si basa sul
rilievo che il ricorrente, oltre a sapere del fatto che la impresa, di fatto amministrata dal padre, fosse
appoggiata da soggetti di caratura mafiosa come i Lo piccolo per gli appalti edili, i quali pretendevano un
prezzo, si sarebbe prestato, altresì, nella vicenda del Parco eolico di Catania, a far versare, alla ditta Baltic,
una tangente di 6 milioni di euro, di cui parte era destinata ad un capo mafioso.
Quest’ultima conclusione è tratta, dal Tribunale, dalla intercettazione del 13 febbraio 2008 e dal pranzo con
summit caduto sotto la diretta percezione della PG, fatti che dimostrano che vi fu effettivamente un
incontro degli Angelo con i titolari della Baltic e con l’indagato per mafia Sacco, e che nel corso di tale
incontro fu chiesta una tangente di 6 milioni di euro.
Lo snodo cruciale dell’intero ragionamento accusatorio è, però, quello, ulteriore, della dimostrazione della
destinazione di questa somma anche alla mafia, perché rappresenterebbe contemporaneamente anche
l’indizio grave della comunanza di interessi economici e delle finalità proprie del sodalizio, tra il ricorrente e
il sodalizio stesso.
Per fornire questa dimostrazione, il Tribunale ha valorizzato, nella motivazione esibita, il fatto che il padre
del ricorrente avesse parlato del destinatario di parte della somma come “il compare di matteo”(pag. 4) e
passa al corollario che quest’ultimo soggetto sarebbe da individuare nel noto mafioso latitante, Matteo
Messina Denaro.
Per sostenere ciò, peraltro, il Tribunale ha fatto ricorso a due allegazioni che questo Collegio ritiene idonee
ad evidenziare un vizio di motivazione, nella specie della incompletezza su punto decisivo, e che la difesa
ha esattamente denunciato: e cioè che il latitante in questione è stato indicato come proveniente da
Castelvetrano, un paese vicino a quello di Salemi che era territorio di influenza del Messina Denaro e che il
nome di Matteo fosse stato pronunciato con un certo “timore e autorevolezza”.
Si tratta invero di affermazioni inrconducenti sul piano inferenziale perchè del tutto equivoche e vaghe,
senza tralasciare il particolare che , alla stregua delle stesse intercettazioni, il destinatario delle somme non
sembra neppure il latitante ma un suo “compare”.
Si profila in altri termini un comportamento certamente di natura illecita ma descritto e argomentato in
termini insufficienti rispetto ad una chiara significatività quale espressione della partecipazione ad
associazione, rimanendo in un cono d’ombra il tema del “ritorno” dell’affare “per la mafia”.
D’altra parte, anche il richiamo ai Lo piccolo può valere come elemento indicativo del concorso nel reato
associativo, in relazione ai rapporti di affari, comunque rimasti generici nella ordinanza, tra tali mafiosi e il
ricorrente.

certamente non la partecipazione di questi all’associazione mafiosa Cosa Nostra.

Giova oltretutto ricordare che, anche nella materia cautelare deve ritenersi operativo il principio espresso
dalla sentenza delle SSUU Mannino del 2005, rv 231679„ secondo cui il giudice della impugnazione che
riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio,
alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della
motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali
da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
Nella specie non risultano esplicitate, con la dovuta precisione, gli argomenti valorizzati dal primo giudice e
le ragioni della relativa confutazione.

Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.
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