Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2808 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2808 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALBANESE PAOLO MARIO ANTONIO N. IL 22/10/1952
DE CICCO FELICE N. IL 27/11/1936
avverso la sentenza n. 176/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
23/09/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 17/10/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Angelo Di Popolo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Firenze riformava

parzialmente la sentenza emessa del Tribunale di Pisa, sezione distaccata di

Cicco Felice, con la quale erano condannati alla pena di giustizia il primo
imputato, per il furto tentato di sei bottiglie di alcolici dagli scaffali del
supermercato Unicoop di Santa Croce sull’Arno, occultandoli sotto gli indumenti,
ed il secondo per furto tentato, avente ad oggetto ulteriori sei bottiglie di
champagne.
2. Contro la sentenza propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati,
con un unico atto redatto personalmente e con ulteriore ricorso presentato da
ciascuno degli imputati separatamente.
2.1 Nel ricorso comune viene censurata la motivazione della sentenza per
violazione di legge, con riferimento all’articolo 337 cod. proc. pen., poiché la
querela presentata dal “direttore pro tempore” del supermercato, in difetto di
apposita procura speciale, sarebbe priva di effetti. Secondo i ricorrenti non è
possibile considerare utile allo scopo l’atto recante la data del 18 luglio 2007,
perché successivo alla data della querela stessa, presentata il 10 luglio 2007, né
quello del 16 luglio 2002, attesa la sua genericità; tale atto conferisce la facoltà
di “presentare in via continuativa e fino a revoca” querele in nome e per conto
dell’Unicoop, ma tale procura sarebbe priva dei requisiti minimi richiesti
dall’articolo 122 cod. proc. pen..
2.2 Albanese Paolo Mario, con il proprio ricorso del 31 marzo 2012, deduce
violazione dell’articolo 606 lettera B in relazione all’articolo 337, comma 3, cod.
proc. pen., poiché la querela è stata presentata dal “direttore pro tempore” del
supermercato, cioè da persona priva di rapporto organico con la persona
giuridica nel cui nome è proposta; inoltre la querela è priva dell’indicazione
specifica della fonte dei poteri di rappresentanza ed a tale scopo non può essere
considerata la generica autorizzazione del 16 luglio 2002, che non fa riferimento
al caso concreto ed attuale.
Di Cicco Felice, a sua volta, nel ricorso del 31 marzo 2012, deduce due motivi:
a) violazione dell’articolo 606 lettera B in relazione all’articolo 337, comma 3,
cod. proc. pen., identico al precedente;

2

Pontedera, in data 23 aprile 2009, nei confronti di Albanese Paolo Mario e Di

h) violazione dell’art. 606, lettera B, cod. proc. pen., in relazione all’articolo 56,
comma 3, cod. pen.: poiché egli rientrò nel supermercato dopo aver già superato
le casse e depositò volontariamente in un carrello la refurtiva, senza essere
fermato né richiamato dagli agenti di vigilanza, la sua condotta andava
qualificata come desistenza volontaria dall’azione.

1. I ricorsi di entrambi gli imputati vanno rigettati.
2. Il motivo proposto in comune dagli imputati, l’unico motivo proposto da
Albanese Paolo Mario ed il primo motivo proposto da Di Cicco Felice attengono
alla legittimazione a proporre querela, per i furti della merce esposta al pubblico
in un supermercato, in capo al responsabile dell’esercizio che sia sprovvisto di
poteri di rappresentanza del proprietario.
2.1 II tema è stato oggetto di un contrasto interpretativo risolto recentemente
dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio,
Rv. 255975), nel senso che anche al titolare del possesso – inteso come
relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – del bene oggetto
della sottrazione spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la
legittimazione a proporre querela.
2.2 La sentenza, riprende i risultati dell’elaborazione teorica curata dalla dottrina
e dalla giurisprudenza sulla nozione di “possesso penalistico”, secondo la quale,
la latitudine del concetto nel diritto penale è più ampia di quella civilistica, tanto
da ritenere che sul piano della tutela penale rileva anche la relazione possessoria
non sorretta da base giuridica, clandestina o addirittura illecita (si pensi alla
sottrazione della refurtiva al ladro); considerato che il furto è un fatto illecito che
si concreta nella sottrazione e che la vittima di essa è identificata dal legislatore
come il detentore della cosa, la decisione conclude che il responsabile di un
esercizio commerciale, il quale si trovi in una relazione con la merce riconducibile
a uno dei paradigmi sopra indicati e che veda lesi i propri poteri sul bene dalla
sottrazione, è da considerare persona offesa dal reato e, come tale, legittimata a
proporre querela, abbia o non poteri rappresentativi dell’imprenditore.
2.3 In definitiva, allora, i tre motivi riguardanti la querela sono infondati.
3. Il motivo residuo, proposto dal solo Di Cicco Felice, è inammissibile perché
motivo nuovo, non proposto in sede di appello e perciò in contrasto con la
disposizione dell’art. 606, comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità
in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. In proposito è

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

sufficiente osservare che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di
legittimità è delineato dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il quale ribadisce
in forma esplicita un principio già enucleabile dal sistema, e cioè la
commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti.
Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni
di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione
(artt. 581, 1° co, lett. e) e 591, 1° co., lett. c) cod. proc. pen.) – sono funzionali

relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione; il combinato
disposto dell’art. 606, comma 3 e dell’art. 609, comma 1 impedisce la
proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e,
come rileva la più recente dottrina, costituisce un rimedio contro il rischio
concreto di un annullamento del provvedimento impugnato, in relazione ad un
punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo
caso, infatti è facilmente diagnostìcabile in anticipo un inevitabile difetto di
motivazione della relativa sentenza, con riguardo al punto dedotto con il ricorso,
proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale.
4. In conclusione i ricorsi proposti dagli imputati vanno rigettati, con
conseguente condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
Il consiglier estensore

Il presidente

alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle

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