Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28051 del 17/04/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 28051 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALVATORE BENEDETTO N. IL 02/06/1953
avverso la sentenza n. 389/2011 CORTE APPELLO di
CAMPOBASSO, del 12/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 17/04/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cessazione, dr.
Carmine Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
– Udito, per la parte civile, l’avv. Moscardino Marciano, che ha chiesto il rigetto
del ricorso.
– Udito, per il ricorrente, l’avv. Carmine Biasiello, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso.

1. La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 12/4/2012, a conferma di
quella emessa dal Tribunale di Isernia, ha condannato Salvatore Benedetto a
pena di giustizia per il reato di minaccia, aggravata dall’uso di un fucile, in danno
Zarli Flavio e Orrù Mascia, oltre al risarcimento del danno in favore di questi
ultimi.
Alla base della pronuncia di responsabilità vi sono le dichiarazioni delle persone
offese, giudicate coerenti e credibili, nonché di vari testi che, pur non avendo
assistito al fatto, hanno riferito circostanze utili alla valutazione dello stesso.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cessazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Carmine Biasiello, che censura la sentenza con plurimi
motivi (in numero di sei), tutti riconducibili al vizio di motivazione e, per quanto
riguarda il sesto, anche alla violazione di legge.
2.1. Il vizio di motivazione riguarda, a giudizio del ricorrente, l’apparato
argomentativo della sentenza, nella parte concernente la prova della
responsabilità, in quanto ha ritenuto provato un fatto che è stato consegnato al
processo dalle dichiarazioni delle sole persone offese, che il ricorrente ritiene
confuse, illogiche e contraddittorie, oltre che interessate (si sono costituite parti
civili); non ha preso in adeguata considerazione le prove a discarico (da cui
sarebbe emerso che l’imputato si trovava, nel giorno indicato dalle persone
offese, a oltre 20 km di distanza, impegnato in un incontro conviviale); non ha
effettuato una valutazione critica delle prove a carico e non ha tenuto conto
dell’assenza di una causale della minaccia.
2.2. La violazione di legge (oltre che, anche in questo caso, il vizio di
motivazione) riguarda la dosimetria della pena, che il ricorrente valuta come
“ingiusta” rispetto alla gravità del reato e alla personalità dell’autore. Lamenta
che il giudicante non abbia esplicitato il percorso logico-giuridico per
determinarne la misura e non abbia tenuto conto dell’incensuratezza
dell’imputato, che lo rendevano quantomeno meritevole delle attenuanti
generiche.
2

RITENUTO IN FATTO

Con memoria pervenuta alla cancelleria della Corte di Cassazione il 29 marzo
2013 il ricorrente ha ribadito le ragioni del ricorso, integrandolo con la citazione
di giurisprudenza di questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi proposti sono totalmente infondati, perché relativi a censure di mero
1. Coi primi cinque motivi il ricorrente propone una lettura alternativa delle
prove poste dai giudici di primo e secondo grado a fondamento della decisione,
appigliandosi ad una diversa interpretazione delle stesse – con una svalutazione
delle testimonianze sfavorevoli e sopravvalutazione di quelle favorevoli – e
trascura di prendere in considerazione passaggi sostanziali e decisivi della
motivazione del provvedimento impugnato, sicché fuoriesce dal perimetro
segnato dall’art. 606 cod. proc. penale.
Invero, la Corte d’appello ha fondato il giudizio di colpevolezza sulla
prova, fornita dai testi escussi, che l’imputato, pur avendo partecipato ad un
banchetto svoltosi a Pozzilli – distante circa 20 km dal teatro della minaccia – fu
visto a Conca Casale non solo dalle persone offese, ma anche da testi
assolutamente disinteressati, quali Boccanegra Rosaria Maria e Salvatore
Antonio, cugino dell’imputato, i quali hanno confermato, se non la minaccia,
quantomeno il dato più fortemente indiziante a suo carico (a parte le
dichiarazioni delle persone offese): vale a dire, la presenta dell’imputato sul
teatro dell’azione delittuosa in un’ora compatibile col racconto delle vittime.
Hanno valutato attentamente le dichiarazioni di queste ultime, riscontrandone la
sostanziale corrispondenza, ed apprezzato gli accertamenti del servizio sanitario
intervenuto su richiesta dei carabinieri, chiamati dalle persone offese, nonché le
dichiarazioni della moglie dell’imputato, che non escluse affatto la presenza del
marito sul posto, poco dopo il fatto, e parlò di un suo “allontanamento”. Né
hanno mancato di esaminare gli apporti conoscitivi dei testi introdotti dalla difesa
dell’imputato, riscontrandone le contraddizioni e la sostanziale irrilevanza, sia
perché non sono stati concordi sul luogo dell’incontro e del banchetto (alcuni
hanno parlato di piazzetta, altri di “ristorantino, altri ancora del garage di
Albanese Eusanio), sia perché alcuni di essi non hanno escluso che l’imputato
potesse essersi allontanato per un tempo apprezzabile, così da raggiungere
Conca Casale e fare rientro a Pozzilli nello stesso pomeriggio.
I giudici di merito hanno esaminato e valutato, quindi, il complessivo
materiale probatorio a loro disposizione e lo hanno fatto con criteri di logicità, e
certamente senza illogicità o incongruenze evidenti, sicché la loro conclusione
3

fatto, inammissibili in questa sede di legittimità.

appare del tutto immune dai vizi lamentati. Nel controllo di legittimità, infatti, la
Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne
la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con i criteri della logica. Sul punto si rileva
che: 1) l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere
percepibile nictu acuii”, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi
di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze; 2) per la
motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa,
essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la
sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della
deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida
alternativa (Cassazione penale, sez. 2, 05 maggio 2009. n. 24847). Nella specie
il ragionamento della Corte d’appello di Campobasso non solo non presenta vizi
evidenti, ma nemmeno lascia aperta la porta ad una “valida alternativa”, sicché i
primi cinque motivi vanno senz’altro disattesi.
2. Manifestamente infondate sono anche le doglianze relative al trattamento
sanzionatorio. Questa Corte ha avuto modo di affermare, in via generale, (cfr.,
per tutte, Cass. 29.8.1991, ric. Ormando) che, nella ipotesi in cui la
determinazione della pena non si discosti di molto dai minimi edittali, il giudice
ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 co. 3 c.p.p. adoperando
espressioni quali pena congrua, pena equa, congruo aumento ovvero si richiami
alla gravità del reato o alla personalità del reo. E’ quanto avvenuto nella specie,
avendo il giudice di primo grado, con valutazione confermata da quello d’appello,
applicato una pena certamente contenuta (due mesi e giorni quindici di
reclusione), aumentata di soli giorni quindici per la continuazione, e fatto
riferimento, per la commisurazione della pena, alla gravità della minaccia,
consumata con l’uso di un’arma, oltre che alla sua gratuità. Tali motivi sono stati
posti, legittimamente, a base anche del diniego delle attenuanti generiche,
sicché la doglianza difensiva si risolve in una non consentita censura in fatto alla
scelta sanzionatoria operata dal giudice di merito, nel prudente e motivato
esercizio del suo potere discrezionale.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, in considerazione dei motivi di ricorso,
stimasi equo quantificare in C 1.000. Il ricorrente va anche condannato alla

4

validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella

refusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile, che si liquidano in
dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende,
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in C
Così deciso il 17/4/2013

1.500, oltre accessori secondo legge.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA