Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28046 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28046 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FICHERA VITTORINO N. IL 22/07/1932
FICHERA ALDO N. IL 24/01/1959
avverso la sentenza n. 315/2010 CORTE APPELLO di MESSINA, del
25/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 05/04/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Piero Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
– Udito, per i ricorrenti, l’avv. Gabriele Cantaro, che ha chiesto l’accoglimento dei
ricorsi e l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato Fichera Vittorino e Fichera
Aldo a pena di giustizia per il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod.
pen.).
Il fatto è questo: in data 21-7-2004 l’avv. Fichera Vittorino si presentò al carcere
di Messina accompagnato da Fichera Aldo, per colloquiare col detenuto Fichera
Alfio. Nell’occasione, presentò il suo accompagnatore (Fichera Aldo), al primo
sbarramento (“block-house”), come suo “praticante” e, poi, alla portineria, come
suo “assistente”, al fine di consentirgli l’accesso nella casa di reclusione ed
incontrarsi col figlio ivi detenuto (Fichera Alfio).

2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
dei rispettivi difensori, entrambi gli imputati.
2.1. Nell’interesse di Fichera Vittorino è stato presentato ricorso dall’avv.
Gabriele Cantaro, che si avvale di tre motivi.
Col primo censura la sentenza per errata applicazione dell’art. 494 cod.
penale. Contesta, in primo luogo, che la qualità attribuita a Fichera Aldo sia
stata, nella prima fase, quella di “praticante”, invece che quella di “assistente”.
Deduce, in ogni caso, l’irrilevanza penale della prima qualificazione operata
dall’imputato, in quanto il superamento della “bolck-house” non richiede qualità
particolari ed è consentito ai parenti dei reclusi senza altre condizioni. In secondo
luogo, che l’azione ascritta all’imputato nella seconda fase (l’attribuzione a
Fichera Aldo della qualità di suo “assistente”) è per un verso irrilevante
penalmente (in quanto la figura di “assistente” di studio legale non è presa in
considerazione dalla legge per ricollegarvi effetti giuridici) e per altro verso
inidonea a determinare la lesione del bene giuridico protetto, giacché l’ingresso
nell’Istituto penitenziario è disciplinato da una precisa procedura, che prevede la
consegna alla portineria dell’apposito tesserino rilasciato dal Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati; tesserino che Fichera Aldo non avrebbe mai potuto esibire.
Col secondo si duole dell’erronea applicazione degli artt. 42 e 494 del cod.
penale, in punto di elemento psicologico. Erroneamente, deduce, i giudici di
merito hanno attribuito all’avv. Fichera l’intenzione di ingannare gli agenti
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(9)A

1. La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 25-6-2012, a conferma di

addetti al controllo della casa di reclusione, giacché le opportune spiegazioni e
delucidazioni date poi all’agente di servizio (Parisi) dimostrano che egli fu
piuttosto mosso dalla fretta di accedere all’istituto e sbrigare l’incombente per
cui si era presentato.
Col terzo deduce l’intervenuta prescrizione del reato prima della sentenza
d’appello, dal momento che il differimento dell’udienza non può comportare una
sospensione della prescrizione per un tempo superiore a sessanta giorni.

Scarvaglieri, il quale denunzia l’erronea applicazione della normativa sul
concorso di persone nel reato e il difetto di motivazione.
Sotto il primo profilo deduce l’inidoneità del semplice atteggiamento
passivo ad integrare la condotta di partecipazione nel reato, in assenza di
elementi idonei a dimostrare che il Fichera fosse d’accordo nella messa in scena
e avesse istigato il complice ad attribuirgli la falsa qualità.
Sotto il secondo profilo si duole che la Corte d’appello non abbia dato
risposta alla richiesta subordinata, avanzata nell’atto d’appello, di qualificare il
fatto come tentativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso proposti dai ricorrenti appare meritevole di
accoglimento.
1. Motivi di Fichera Vittorino.
1.1. Col primo motivo l’imputato mette in discussione la ricostruzione della
vicenda operata dal Tribunale e, poi, dalla Copre territoriale. Senonché,
l’accertamento circa la qualità attribuita dall’imputato a Fichera Aldo costituisce
qaestio facti rimessa all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito, per cui,
ove la stessa sia sorretta da adeguata motivazione, non può formare oggetto di
ricorso in Cassazione. Nel caso di specie i giudici, sulla base delle dichiarazioni
testimoniali degli agenti, hanno ritenuto che la qualificazione operata da Fichera
Vittorino al primo sbarramento sia stata quella di “praticante di studio”, per cui,
in assenza di deduzione (e dimostrazione) di un travisamento della prova, le
doglianze del ricorrente non possono trovare ingresso in questa sede sotto forma
di vizio motivazionale.

1.2. Va disattesa la tesi che la qualificazione operata alla “block house” fosse
irrilevante dal punto di vista penale, trattandosi di sbarramento – a dire della
difesa, superabile da chiunque – sia perché non è dimostrata la premessa (e
smentita dal fatto che l’agente Cilia esitò nel dare via libera ai due e lo fece, non

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2.2. Nell’interesse di Fichera Aldo è stato presentato ricorso dall’avv. Pietro

senza remore, dopo aver telefonato al collega addetto alla portineria), sia
perché si trattava, comunque, di un punto di identificazione dei soggetti che
accedevano alla struttura penitenziaria che esigeva, per tale motivo, la
rappresentazione delle esatte generalità e delle qualità della persona, giacché
l’opinione – indotta dall’attribuzione di una qualità professionale inesistente creava nell’agente addetto alla block house un affidamento idoneo ad influenzare
le modalità di esercizio del compito a lui affidato.

dall’imputato a procurare un vantaggio al suo accompagnatore, in quanto, a dire
del ricorrente, per l’accesso alla struttura da parte del “praticante” sarebbe stata
comunque necessaria l’esibizione di un apposito “tesserino” rilasciato dall’Ordine
degli Avvocati. A confutazione di questa tesi basta il rilievo che l’art. 494 cod.
pen. prevede un reato formale, ad integrare il quale è sufficiente la falsa
attribuzione dello stato o della qualifica, perché è la legge che ravvisa nella
condotta (vietata) un danno o un pericolo (in questo caso rappresentato dalla
possibilità che l’agente portinaio si fidasse dell’attestazione del professionista e
lasciasse passare il suo accompagnatore).
E ciò senza contare che, anche in questo caso, è indimostrata la premessa,
giacché il ricorrente non ha anche provato – attraverso un preciso riferimento
agli atti del processo – che l’ingresso nel carcere di Messina fosse subordinato,
sempre e comunque, per quanto riguarda i praticanti legali, all’esibizione di un
apposito tesserino.
1.4. Nessuna incongruenza o vizio motivazionale è ravvisabile nella sentenza
impugnata in ordine alla dimostrazione dell’elemento psicologico del reato,
desunto, con logica motivazione, dal comportamento tenuto dall’imputato nel
corso della vicenda, e rappresentato dall’attribuzione della falsa qualifica
all’accompagnatore per tutto il tempo in cui ebbe a che fare con l’agente della
block house (quindi, persistendo nell’attribuzione mentre questi telefonava al
collega), seguito dalla successiva “retromarcia” (allorché comprese che gli agenti
avrebbero approfondito la questione), giacché si tratta di comportamento che,
per logica e senso comune, è indice della consapevolezza di fornire una falsa
rappresentazione della realtà per conseguire un indebito vantaggio (costituito
dall’ingresso abusivo del congiunto nell’Istituto).
Né vale il rilievo che l’agente avrebbe comunque dovuto identificare
l’accompagnatore, posto che nulla impediva all’imputato di rinnovare l’artificio in
fase di identificazione; né il rilievo che Fichera Aldo, in quanto genitore di Fichera
Alfio, avrebbe comunque avuto diritto di colloquiare col figlio, in quanto ciò

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1.3. Col primo motivo è dedotta anche l’inidoneità della condotta tenuta

sarebbe potuto avvenire, senza l’artificio, in circostanze e con modalità diverse,
meno gratificanti per l’interessato.

1.5. Non è fondata, infine, l’eccezione di prescrizione del reato, giacché, tenuto
conto dei periodi di sospensione della prescrizione, questa maturerà solo in data
22-5-2013. Non è corretta, infatti, la tesi difensiva, secondo cui il differimento
dell’udienza per impedimento del difensore non può comportare la sospensione
per un periodo superiore a 60 giorni, giacché l’impedimento del difensore per

diritto al rinvio dell’udienza, non costituisce un’ipotesi d’impossibilità assoluta a
partecipare all’attività difensiva e non dà luogo pertanto ad un caso in cui
trovano applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della
prescrizione previsti dall’art. 159, comma 1, n. 3, c.p., nel testo introdotto
dall’art. 6 della 1.5 dicembre 2005, n. 251 (Cassazione penale, sez. II,
29/03/2011, n. 17344).

2. Motivi di Fichera Aldo.
2.1. Il primo motivo è infondato, in quanto gli argomenti utilizzati dalla Corte
d’appello per desumere il previo concerto tra i due in ordine all’attribuzione della
falsa qualifica sono dotati di logica stringente, essendo fondati sulla presenza di
Fichera Aldo sul posto e sulla sicura percezione delle frasi pronunciate dal
correo; sul fatto che non si dissociò dal congiunto mentre questi operava la falsa
attribuzione; sul fatto che era il soggetto interessato ad accedere alla struttura
per colloquiare col figlio detenuto. Si tratta di circostanze dotate di indubbia
valenza dimostrativa, che il ricorrente svaluta senza logici appigli, giacché il
“criterio di collegamento” tra lui e la condotta di Fichera Vittorino sta proprio nel
silenzio da lui serbato mentre veniva posta in essere la condotta decipiente.
Logica è, pertanto, l’esclusione della connivenza, che presuppone l’assenza di un
interesse diretto nell’attività delittuosa, mentre il silenzio si spiega, molto più
razionalmente, con una pregressa condotta determinativa o istigativa.

2.2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso. La sentenza impugnata ha
ampiamente argomentato in ordine ad un delitto consumato, avendo sottolineato
che la falsità consentì all’imputato di superare la block-house, per cui ha escluso
il tentativo e fornito implicita risposta alla doglianza avanzata con l’atto
d’appello. Né in ciò è da ravvisare violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., giacché il vizio di motivazione sussiste quando il giudice
d’appello ometta di fornire risposta su un punto di domanda e non anche quando
alla domanda sia data comunque risposta, assumendo, a fondamento della

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contemporaneo impegno professionale, sebbene tutelato dall’ordinamento con il

t
decisione, un’ipotesi alternativa e incompatibile con quella proposta
dall’appellante.

In conclusione, i motivi di entrambi gli imputati sono infondati. Alla infondatezza
dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 5/4/2013

P.Q.M.

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