Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28041 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28041 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCIBILIA LUCA N. IL 24/07/1972
avverso la sentenza n. 2859/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 05/04/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cessazione, dr.
Piero Gaeta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Nessuno è comparso per il ricorrente-

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 24/1/2012, a conferma di
quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Monza, a

il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commesso quale
amministratore e gestore di fatto della C.T.S. Consulenze Telecomunicazioni e
Servizi – srl, dichiarata fallita il 15-10-2003.
Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, lo Scibilia
distrasse, dai conti bancari della società, utilizzandola per fini personali, la
somma di C 18.129,56, nonché beni e attrezzature per circa 20mila euro.
Inoltre, tenne la contabilità in modo da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio e del movimento degli affari.
Alla base della resa statuizione vi sono gli accertamenti del curatore fallimentare
e le dichiarazioni da questi rese a dibattimento.

2. Ha proposto personalmente ricorso per Cessazione Scibilia Luca, il quale si
duole della illogicità della motivazione, che non ha tenuto conto dei rilievi
difensivi e non ha esplicitato il ragionamento seguito per giungere
all’affermazione della distrazione di C 18.129,56. Lamenta che non sia stata
tenuta nella debita considerazione la tesi difensiva (di aver utilizzato la somma
suddetta per far fronte ad esigenze personali) e che non sia sorretta da congrua
motivazione l’imputazione di bancarotta documentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Il giudice d’appello ha fatto rinvio, per la ricostruzione del fatto e la
valutazione degli elementi di prova, alla sentenza di primo grado, che ha
mostrato di condividere. Ebbene, questa Corte ha affermato il principio di diritto
in base ai quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino
nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle
rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda
con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo
(Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181;
Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.216906; Sez. 2, n. 11220 del
2

seguito di giudizio abbreviato, ha condannato Scibilia Luca a pena di giustizia per

5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si
verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure
proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e
con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logicogiuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non
abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze
già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado, in risposta
ai quali è consentita anche la motivazione per relationem (Cfr. la parte motiva

E’ quanto in concreto avvenuto, giacché il giudice di primo grado ha reso
ampia motivazione in ordine alle ragioni del proprio convincimento, fondato sul
rilievo che Scibilia era l’unico soggetto abilitato ad operare sui conti della società
e che oltre 18 mila euro furono da lui prelevati dal conto della Banca Popolare di
Milano senza alcuna dimostrazione della loro destinazione a fini sociali (alcuni
assegni furono emessi a nome proprio ed altre somme furono prelevate in
contanti). Inoltre, che beni acquistati in leasing per oltre 20 mila euro, presenti
nel patrimonio della società prima del fallimento, non furono consegnati al
curatore. Infine, che nessuna delle scritture contabili – che l’impresa era
obbligata a tenere – è stata consegnata al curatore, né gli è stata consegnata la
documentazione relativa alle operazioni societarie. A fronte di questo
inequivocabile quadro distrattivo il ricorrente, come aveva già fatto in sede
d’appello, si è limitato a riproporre la tesi della sottrazione ad opera d’ignoti, già
disattesa dai giudici di merito con argomenti ineccepibili, fondati sull’assenza di
una denuncia di furto e di una contestualizzazione del furto, giudicato mero
espediente difensivo (anche in relazione alla bancarotta documentale).
Non corrisponde a verità, quindi, che i giudici non abbiano palesato le
ragioni del loro convincimento, né che abbiano omesso l’esame degli argomenti
difensivi, essendo vero, invece, che hanno motivatamente disatteso le deduzioni
suddette, siccome fondate su circostanze fantasiose e prive di riscontro
probatorio.
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5/4/2013

della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

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