Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28036 del 04/04/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 28036 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BESANA MARCO N. IL 29/10/1960
nei confronti di:
RAUSSE GIAN PIETRO MARIA N. IL 10/09/1947
inoltre:
RAUSSE GIAN PIETRO MARIA N. IL 10/09/1947
avverso la sentenza n. 5535/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/09/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 04/04/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso di Rausse Gian Pietro e
la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di Besana Marco.
– Uditi: l’avv. Massimo Jasonni e Guido Della Sala in sost. dell’avv. Paolo Della
Sala per Sereno Simona; l’avv. Giuseppe Iannaccone per Sereno Guido; l’avv.
Mario Zanchetti per Berera Fabrizio e Ducci Leonarda, che hanno chiesto il
rigetto dei ricorsi e la conferma delle statuizioni civili.
– Udito, per Besana Marco, l’avv. Agostino Gessini in sostituzione dell’avv.

– Uditi, per Rausse Gian Pietro, gli avv.ti Andrea Castaldo e Stefano De
Francesco, che hanno chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 23-9-2011, in parziale riforma
di quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza, a
seguito di giudizio abbreviato, ha condannato Rausse Gian Pietro Maria alla pena
di anni cinque e mesi quattro di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge,
per i reati seguenti:
– bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, 219
comma 1, 223 L.F.), per avere, in concorso con Besana Mario, presidente del
consiglio di amministrazione della Bburago spa dall’1/1/1980 al 2/2/2004 e dal
20/6/2004 al 17/6/2005, distratto a proprio profitto la somma di circa 6.000.000
di euro, di proprietà della Bburago spa, dichiarata fallita in data 17/10/2005
(capo A);
– appropriazione indebita (artt. 646, 61, nn. 7 e 11 cod. pen.) della somma di
900.000 dollari e di 300.000 euro a lui consegnate, rispettivamente, nell’aprilemaggio 1995 e nell’agosto 2006, da Savonuzzi Gloria per investimenti finanziari
all’estero (capo D);
– gestione abusiva del risparmio (art. 166 D.Igs 24 febbraio 1998, n. 58), per
avere, senza l’abilitazione prescritta dal Dlgs 58 del 1998, raccolto e gestito
risparmi per € 36.696.320 e CHF 1.371.000 dal 2000 al 2009 (capo E).

2. Alla base della pronuncia di condanna vi sono:
Quanto al capo A), le dichiarazioni rese al Pubblico Ministero, in punto di morte,
da Besana Mario in data 16 maggio 2009 (il Besana decedeva il giorno
successivo); l’interrogatorio reso da Besana al procuratore elvetico in data 13-62006; una dichiarazione sottoscritta da Besana Mario, scritta a macchina dalla
moglie Ivana Pisanò , e un memoriale vergato di pugno dallo stesso Besana in
data 15/5/2009; le dichiarazioni di Ivana Pisanò; la corrispondenza intercorsa tra

2

Stefania Bramati, che ha insistito nei motivi di ricorso.

Pisanò e Rausse (SMS) tra marzo e maggio 2009. Da questo complesso di
elementi è stato desunto che il Besana, su consiglio e con l’ausilio del Rausse,
dirottò verso quest’ultimo circa sette milioni di euro appartenenti alla società da
lui amministrata e che ciò fece, in parte, trasferendo a Singapore, su conto della
Pembroke Int, somme appartenenti alla Bburago spa, già depositate su conto
acceso presso la (Jbs di Lugano a nome della FINCOM 1NVESTORS S.A..
Quanto al capo D), le dichiarazioni di Savonuzzi Gloria e gli accertamenti della
Guardia di Finanza, dai quali è emerso che il Rausse, fattosi consegnare le

proficuamente all’estero, omise poi di restituirle.
Quanto al capo E), le indagini della Guardia di Finanza e le dichiarazioni dei
soggetti, in numero di tredici, che affidarono il danaro al Rausse, per investirlo,
con la promessa di lauti guadagni.

3. Contro la sentenza suddetta sono stati presentati ricorsi dall’avv. Stefano De
Francesco e dall’avv. Andrea Castaldo nell’interesse di Rausse Gian Pietro Maria
e dall’avv. Stefania Bramati nell’interesse della parte civile Besana Marco.

3.1. L’avv. De Francesco si avvale di 17 motivi (i primi otto concernenti la
bancarotta; da nove a dodici l’appropriazione di cui al capo D); il 13° e il 14° la
gestione abusiva di cui al capo E); il 15° e il 16 0 il trattamento sanzionatorio e il
17° le sanzioni civili), con cui censura, sotto il profilo della violazione di legge e
del vizio di motivazione:
3.1.1. la decisione della Corte d’appello del 23-9-2011, che ha rigettato l’istanza
di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (acquisizione documentale, riesame
di Pisanò Ivana e perizia grafica);
3.1.2. l’utilizzabilità dell’interrogatorio del Besana del 16-5-2009, effettuato dal
Pubblico Ministero alla presenza del difensore d’ufficio, ma in assenza di un atto
formale di nomina;
3.1.3. l’utilizzabilità dell’interrogatorio del Besana del 16-5-2009, perché non
preceduto dagli avvisi prescritti dall’art. 64, comma 3, lett. b) e c);
3.1.4. l’utilizzabilità del manoscritto del Besana del 15-5-2009 e le dichiarazioni
raccolte, su foglio dattiloscritto, dalla moglie del Besana e da quest’ultimo
firmate, in conseguenza dell’inosservanza delle prescrizioni di cui al punto
precedente;
3.1.5. la tenuta logica della motivazione laddove, nel valutare l’attendibilità del
Besana, non ha tenuto conto delle gravi condizioni di salute del dichiarante e
della sua scemata capacità psichica, dei motivi di astio verso il Rausse (che si era
appropriato di una parte del suo denaro), della parzialità del racconto (il Besana
nulla disse in ordine ai 67 miliardi di lire sottratti alla Bburago e t asferiti su conti
3

rilevanti somme specificate in imputazione con la promessa di investirle

esteri), dell’intrinseca inconsistenza del narrato (nel 2006 Besana, deponendo
dinanzi al Pubblico Ministero, aveva dichiarato di non possedere conti all’estero e
di non ricordare dove fossero finiti i soldi ricavati dalla vendita degli immobili
della moglie), dell’assenza di riscontri esterni individualizzanti (tali non potendosi
configurare i tre rendiconti allegati alla memoria del Besana e le dichiarazioni
della moglie, che nulla dicono in ordine alla provenienza delle somme dalla
Bburago e alla consapevolezza del Rausse sulla provenienza);
3.1.6. la mancata specificazione degli episodi distrattivi imputati al Besana e, in

consistente provvista di sette milioni di euro, dirottati poi su conti esteri.
Contesta, in particolare, che dia concretezza all’assunto il riferimento alla “fittizie
perdite su contratti derivati”, in assenza di indicazione sui contratti e sulle
perdite;
3.1.7. la motivazione resa in punto di concorso di Rausse nelle distrazioni.
Deduce che non può darsi concorso nella distrazione se, come riportato in
sentenza e confermato dai testi escussi, il Rausse conobbe il Besana nel 2005 o,
al massimo, nel 2004: quando, cioè, la creazione all’estero di disponibilità
extracontabili del gruppo Bburago ad opera del Besana, attraverso le fittizie
perdite su derivati, era già avvenuta. Deduce contraddizione tra l’ipotesi dei
cospicui utili da distrarre, ipotizzati in sentenza, con lo stato di crisi e di illiquidità
in cui, secondo i giudici di merito, la società si trovava già nel 2004; e tra la
distrazione di sette milioni di euro, addebitata al Besana e al Rausse, con
l’iniezione di capitale effettuata da Besana nel 2004 (anno in cui avrebbe
immesso capitale fresco nella società per 15 milioni di euro). Deduce l’assenza di
prova in ordine alla provenienza dalla Bburago dei sette milioni di euro
consegnati a Rausse, in quanto, se quei denari provenivano dalla Fincom
Investors Ltd (da questa passati alla Pembroke e dalla Pembroke a Rausse), non
v’è prova che la Fincom Investors Ltd fosse “la cassa e la riserva occulta del
gruppo multinazionale all’estero”, come sostenuto in sentenza; anzi, la stessa
sentenza darebbe atto che la Fincom “aveva come beneficiario economico il cav.
Besana”. Inoltre, anche i giudici di prime cure sono partiti dal presupposto che
parte del denaro depositato sul conto della Fincom in Svizzera provenisse dalla
liquidazione, fatta nel rispetto della legge, della Bburago S.A, con sede nella
confederazione elvetica. Dalla Bburago non potevano venire nemmeno i
3.952.000 euro confluiti nel marzo-aprile 2005 sul conto svizzero, in quanto nel
2005 la Bburago non generava utili ma perdite, come riconosciuto nello stesso
provvedimento gravato. In realtà, continua il ricorrente, la stessa sentenza dà
atto che, contestualmente alla consegna a Rausse dei sette milioni di euro, vi fu,
da parte di Besana, disinvestimento dei fondi Azimut, certamente personali, il
che conferma l’ipotesi che il denaro investito per mezzo del Rausse non
4

concorso con quest’ultimo, al Rausse, attraverso cui si sarebbe formata la

provenisse dalla Bburago. E sempre la sentenza impugnata parla della Bburago
come di un gruppo multinazionale: il che lascia aperta l’ipotesi che il denaro
confluito sul conto della Fincom provenisse da consociate estere, dotate di una
propria autonomia.
Il difensore contesta poi che, seppur fosse provata la provenienza del danaro
dalla Bburago, la condotta descritta possa sussumersi nella bancarotta per
distrazione, in quanto si tratterebbe di condotta successiva, posta in essere
quando il reato di bancarotta si era già perfezionato. Il denaro affidato al Rausse

in vari passaggi della sentenza impugnata;
3.1.8. la motivazione resa in punto di prova del dolo. Deduce che, seppur fosse
provata la provenienza del denaro dalla Bburago, non per questo sarebbe
provata la consapevolezza, in capo a Rausse, che quel denaro proveniva da un
esercizio patologico e delittuoso dell’attività imprenditoriale;
3.1.9. la tempestività della querela presentata da Savonuzzi Gloria in data 15-72009;
3.1.10. l’applicabilità della legge penale italiana, in quanto il denaro della
Savonuzzi era stato allocato all’estero, presso la Azala Investment Llc, società di
diritto statunitense con sede in Georgia, per cui il reato si sarebbe perfezionato
negli Stati Uniti, ove il denaro era depositato;
3.1.11. la motivazione resa in punto di appropriazione indebita del denaro della
Savonuzzi. Deduce che la mancata restituzione delle somme consegnate per
l’investimento non integra il reato contestato, in assenza di prova della
interversione del possesso. Inoltre, che possessore delle somme, e tenuto alla
restituzione, non è l’avv. Rausse, ma la Azala Investment Llc, soggetto diverso
dal’imputato. Anzi l’interversione del possesso sarebbe esclusa dalla
corrispondenza intercorsa tra il legale del Rausse e quello della Savonuzzi, con
cui, subito prima dell’arresto del Rausse, il primo manifesta al secondo
l’intenzione di restituire le somme investite. Lamenta che, sul punto, la Corte
d’appello, sebbene richiesta, non abbia reso motivazione.
3.1.12. la reformatio in peius della sentenza, essendo stato applicata dal giudice
d’appello l’aggravante dell’art. 61, n. 11, cod. pen., esclusa dal primo giudice.
Deduce che il rapporto sentimentale intrattenuto dal Rausse con una nipote della
Savonuzzi con concreta quella “relazione domestica” in cui si sostanzia
l’aggravante in parola.
3.1.13. la perseguibilità, in Italia, del reato di cui al capo E), commesso
all’estero, dove “sono avvenute molte delle operazioni per cui è intervenuta
condanna”. Lamenta, al riguardo, l’erronea applicazione dell’art. 9, comma 2,
cod. pen, e dell’art. 166 Digs 58/98 e 39 della L. 262/2005;

5

Pv

proveniva, quindi, dal patrimonio personale del Besana, come confermato anche

3.1.14. l’interpretazione dell’art. 166 D.Igs 58/98 e 39 della L. 262/2005.
Contesta che prima del 2007 la norma punisse qualsiasi attività di investimento,
anche diversa dal “servizio” ed anche in relazione a valori mobiliari e strumenti
del mercato monetario. Lamenta la mancata specificazione degli elementi di
prova che hanno indotto a configurare la “acquisizione” di somme da parte
dell’imputato; che le stesse fossero “a disposizione” dell’imputato e che le
società estere fossero da lui “gestite”;
3.1.15. la reformatio in peius della sentenza. Deduce che il giudice di primo

ed E), la pena base. Invece, il giudice d’appello l’ha aumentata di un anno;
3.1.16. l’immotivato diniego delle circostante attenuanti generiche;
3.1.17. l’erronea applicazione degli artt. 538 e 539 cod. proc. pen. Lamenta che,
nonostante la pronuncia di proscioglimento di cui al capo C), la Corte d’appello
non ha revocato le statuizioni civili del primo grado pronunciate a favore delle
parti civili costituite Sereno Guido e Sereno Simona. Lamenta ancora l’assenza di
congrua motivazione in ordine alle provvisionali disposte a favore dei soggetti
(Berera e Ducci) di cui al capo E), interessate solo dalla gestione abusiva del
risparmio e non anche da reati contro il patrimonio.

3.2. L’avv. Andrea Castaldo si avvale di undici motivi, con cui denunzia:
3.2.1. la manifesta illogicità della motivazione resa in punto di concorso nella
bancarotta, non essendo specificato il momento della distrazione e le modalità
della stessa.
3.2.2. l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Besana Mario il 16/5/2009 in
violazione degli artt. 63, comma 2, e 64, comma 3, cod. proc. pen. (perché rese
da soggetto che doveva essere sentito fin dall’inizio in qualità di imputato e non
precedute dall’avviso di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen.);
3.2.3. l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Pisanò Ivana, perché acquisite,
anche in quesdto caso, senza dargli gli avvisi previsti dagli artt. 63, comma 2, e
64, comma 3, cod. proc. pen, essendo indagata, insieme al marito ed al Rausse,
per il reato di bancarotta fraudolenta, per aver trasferito a società estere (la
Eames Establishement e la Aroare Foundation) quattro appartamenti della
Bburago spa;
3.2.4. l’illogicità della motivazione resa in ordine al capo a), fondata sulle
dichiarazioni del Rausse e della moglie, portatori di interessi configgenti con
quelli dell’imputato;
3.2.5. l’assenza di prova e di verifica in ordine alla genuinità delle dichiarazioni
rese, in punto di morte, da Besana Mario. Deduce che non può essere il Pubblico
Ministero procedente, parte processuale, a certificare la capacità di intendere e di
volere del dichiarante e che la valutazione, fatta dalla Corte di merito, delle
6

grado aveva aumentato di nove mesi, per ognuno dei reati contestati ai capi D)

dichiarazioni del Besana non tiene conto dell’astio da questi accumulato verso il
Rausse – ritenuto soggetto che si era appropriato della consistente somma di 7
milioni di euro -, dell’interesse del Besana a salvaguardare la posizione della
moglie e dei figli e prescinde dai riscontri oggettivi richiesti dalla legge;
3.2.6. l’assenza di riscontri alle dichiarazioni del Besana parametrati al Thema
probandum e rispettosi del criterio della pertinenza. Deduce l’assenza di prova in
ordine alla provenienza delle somme finite a Singapore, dacché lo stesso Besana,
interrogato dalle Autorità svizzere, aveva asserito che i soldi trasferiti a

Azimut, da lui disinvestiti, e non dalla Fincom Investors SA). Lamenta che i
giudici abbiano fatto mal governo dei principi sul concorso di persone nel reato,
giacché nessun elemento addotto dai giudicanti è dimostrativo di una
partecipazione del Rausse nella bancarotta;
3.2.7. l’inidoneità delle dichiarazioni di Ivana Pisanò a fungere da riscontro a
quelle del marito, stante il carattere derivato (dal coniuge) delle sue conoscenze;
3.2.8. l’omessa considerazione, da parte della Corte d’appello, della “nuova
documentazione attestante consistenza e sviluppo dei fondi Azimut, acquisita
all’udienza del 22 settembre 2011”, da cui si desume che Besana aveva in Italia
un consistente patrimonio ben prima del fallimento (sin dagli anni ’80);
3.2.9. la violazione di legge e l’illogicità della motivazione resa in ordine
all’appropriazione contestata in danno di Savonuzzi, posto che l’imputato non si
è mai rifiutato di restituire le somme ricevute, ma si è trovato nell’impossibilità
di farlo in conseguenza dell’arresto patito. Deduce, in ogni caso, la tardività della
querela;
3.2.10. l’erronea applicazione dell’art. 166 D.Igs n. 28 del 1998, che richiede, per
l’integrazione della fattispecie, lo svolgimento in forma professionale e
continuativa di un’attività finanziaria di investimento, mentre il Rausse si è
limitato ad un esercizio sporadico ed occasionale. Deduce, inoltre, che il
previgente testo dell’art. 166 cit., fino alla modifica apportata col D.Igs
164/2007, puniva il solo svolgimento dei “servizi di investimento” e non anche
delle attività di investimento, per cui l’estensione al periodo concernete l’attività
del Rausse costituisce indebita estensione in malam partem della norma penale;
3.2.11. violazione di legge e illogicità della motivazione resa in ordine al
trattamento sanzionatorio, nulla dicendo la sentenza in ordine alla
quantificazione della pena base, al giudizio di bilanciamento delle circostanze,
agli aumenti di pena per i reati in continuazione. Deduce, infine, reformatio in

peius della decisione, posto che il Tribunale aveva aumentato la pena di mesi
nove per ognuno dei quattro reati in continuazione, mentre il giudice d’appello
l’ha aumentata di un anno per ognuno dei due reati residui.

7

LgA

Singapore tra marzo e aprile 2005 provenivano da riserve personali (fondi

4. Nell’interesse di Besana Marco è stato presentato ricorso dall’avv. Stefania
Bramati, che si avvale di due motivi.
Col primo contesta la qualificazione, come bancarotta, del reato di cui al
capo A), deducendo trattarsi di appropriazione indebita delle somme consegnate
dal padre, Besana Mario, all’imputato Rausse, o, al massimo, di concorso della
bancarotta con l’appropriazione indebita, in assenza di prova circa la provenienza
delle somme dalla Bburago Spa e in presenza della prova che, almeno in parte, il
denaro consegnato al Rausse fosse proveniente da fondi personali del Besana.

non patrimoniale, morale e biologico, in quanto, anche a tener ferma la
qualificazione del reato come bancarotta, è fuor di dubbio che anche Besana
Marco è stato danneggiato dal reato, in quanto privato della nuda proprietà delle
quote della Bburago ed è stato sottoposto ad ingiusta detenzione per le
distrazioni commesse dall’avv. Rausse.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di Rausse merita accoglimento limitatamente al trattamento
sanzionatorio; è infondato nel resto. E’ inammissibile quello di Besana Marco.

1. Procedendo all’esame dei motivi di ricorso di Rausse nell’ordine in cui sono
stati esposti, viene in rilievo la doglianza relativa al rigetto, da parte del giudice
d’appello, della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avanzata
dal difensore (ut supra, sub. 3.1.1.). Il motivo è infondato, giacché l’istituto della
rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che
deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado,
per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga
assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia
altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti).
La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità
se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cassazione penale, sez.
IV, 28/04/2011, n. 23297). E la Corte di merito ha spiegato perché si sia
convinta della superfluità della assunzione delle prove richieste dalla difesa
(acquisizione di documenti, riesame di Pisanò Ivana e perizia grafica),
evidenziando la ricchezza dei dati dimostrativi della responsabilità dell’imputato,
la certa riconducibilità al Besana degli scritti da lui redatti o firmati e rimarcando
che la richiesta di giudizio abbreviato rendeva più che mai irragionevole
un’ampia integrazione probatoria, come quella richiesta dai difensori del Rausse,
tendente addirittura ad una nuova ipotesi ricostruttiva dei fatti. Il tutto secondo

8

Col secondo si duole del mancato riconoscimento, a suo favore, del danno

un itinerario logico che non presenta smagliature o contraddizioni interne e che,
in quanto tale, non può essere messo in discussione in questa sede.

2. Quanto alle dichiarazioni rese da Besana Mario al Pubblico Ministero in data
16/5/2009 (ut supra, sub. 3.1.2 e 3.1.3, nonché 3.2.2), si conviene sul fatto che
non siano utilizzabili, in quanto è stato omesso l’avviso prescritto dall’art. 64,
comma 3, lett. b), valevole per ogni tipo di interrogatorio (non ha rilievo, invece,
l’omissione dell’avviso di cui all’art. 64, comma 3, lett. c), che è dovuto

può mai assumere la veste di “testimone” nel medesimo procedimento) . Da qui
l’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni in questione. La Corte di merito, pur
mostrando di ritenere irrilevante l’omissione e utilizzabili le dichiarazioni rese in
tale contesto, ha comunque precisato che si tratta di dichiarazioni solo
confermative del memoriale spedito alla Procura il giorno precedente e che da
esse non ha tratto argomenti di un qualche significato nei confronti
dell’imputato, per cui l’apparato argomentativo della decisione non ne esce in
alcuna maniera depotenziato.

3. Pienamente utilizzabili nel presente procedimento sono il memoriale vergato a
mano da Besana il 15-5-2009 e quello, senza data, dattiloscritto dalla moglie e
da lui firmato, entrambi consegnati agli organi inquirenti (oggetto del motivo
sub. 3.1.4). L’art. 237 c.p.p. consente, infatti, l’acquisizione anche d’ufficio di
qualsiasi documento proveniente dall’imputato, anche se sequestrato presso altri
o da altri prodotto. Questa Corte ha infatti affermato che persino la mancata
convalida del sequestro di p.g. di corrispondenza dell’imputato non ne impedisce
l’acquisizione e, conseguentemente, l’utilizzabilità nel giudizio (Cass. pen. sez.
1^ n. 10819 del 7.7.1994). Tale principio trova un’ulteriore conferma nella
utilizzabilità perfino del documento anonimo, se proveniente dall’imputato
(Cassazione penale, sez. II, 09/10/2007, n. 43766). Nel caso di specie non solo
non vi è stata acquisizione autoritativa degli scritti, né si tratta di scritti anonimi,
ma di scritti firmati dal Besana e da lui riconosciuti, oltre che confermati, quanto
alla provenienza, dalla moglie. Uno di essi è anche vergato a mano, inviato alla
Procura e riconosciuto come proprio. Si tratti di scritti, quindi, pienamente
utilizzabili nel presente procedimento, dal momento che l’art. 237 cit. non
contiene alcun riferimento alla valutazione e alla utilizzazione del documento,
motivo per cui, stante il principio di tassatività dei vizi processuali, il documento,
una volta acquisito, può essere valutato senza limiti nei confronti di tutti, salvo
l’obbligo – che risulta pienamente adempiuto nella specie – per il giudice di
verificarne l’attendibilità con particolare rigore, qualora i contenuti
documento possono essere stati falsati per le possibili conseguenze.

9

del

all’imputato di reato connesso o collegato, ma non anche al coimputato, che non

4. Infondate sono le critiche all’utilizzabilità delle dichiarazioni di Pisanò Ivana (ut
supra, sub. 3.2.3), per essere state acquisite, anche in questo caso, senza dargli
gli avvisi previsti dagli artt. 63, comma 2, e 64, comma 3, cod. proc. penale. Il
ricorrente non precisa, infatti, quali dichiarazioni sarebbero inutilizzabili, quando
e a chi rese, né quale fosse Io stato del procedimento allorché quelle
dichiarazioni furono rese. Il motivo manca, quindi, della necessaria specificità per

5. Parimenti infondate sono le censure che investono la tenuta logica della
motivazione resa in punto di responsabilità (motivi sub. 3.1.5,6,7,8 e
3.2.1,4,5,6,7,8). Premesso che lo stesso imputato afferma di aver conosciuto
Besana Mario alla fine del 2004 o agli inizi del 2005 e di aver ricevuto da lui le
somme che gli vengono contestate (questa circostanza è provata, nel motivato
giudizio della Corte territoriale, anche dalla corrispondenza intercorsa tra le parti
e dalle dichiarazioni del Besana e della moglie), i punti che si sono imposti
all’attenzione del giudicante attengono alla provenienza delle somme consegnate
al Rausse (e da questi occultate all’estero) e alla consapevolezza, da parte
dell’imputato, della provenienza suddetta. Orbene, su entrambi i punti la
motivazione esibita dalla Corte d’appello si appalesa immune dalle incongruenze
ed illogicità lamentate dai difensori dell’imputato, in quanto:
– la provenienza dalla Bburago delle somme in questione è attestata dal Besana
e dalla moglie, che non solo avevano interesse a negare la circostanza, ma
anche a sostenere il contrario, per evitare l’apprensione delle stesse da parte
degli organi fallimentari. Il Besana, inoltre, era consapevole di essere al
capolinea della sua vita materiale ed era verosimilmente disposto a porre riparo
ad un errore che egli, da esperto imprenditore e da uomo maturo, sapeva essere
connotato di grave illiceità giuridica e morale. Logicamente, pertanto, i giudici di
merito hanno attribuito valenza dimostrativa alle dichiarazioni in questione
(contenute, per quanto riguarda il Besana, nel memoriale sopra specificato),
siccome connotate di spontaneità e disinteresse. Né hanno mancato di
apprezzare gli elementi esterni di conferma alle affermazioni di costoro, costituiti
dalla accertata vendita a società estere, in prossimità del fallimento, di cinque
appartamenti, prima intestati a Pisanò Ivana (ed il cui ricavato, a detta del
Besana, era stato consegnato a Rausse); dalla molteplicità di messaggi intercorsi
tra Rausse e Besana nei mesi immediatamente precedenti il decesso di
quest’ultimo, che confermavano, passo per passo, il racconto di costui; dalle
dichiarazioni del funzionario della UBS di Lugano, G. Andreotti, dal quale è
venuta la conferma che nel periodo di marzo-aprile 2005 poco meno di quattro
milioni di euro furono trasferiti, per ordine del Besana, dalla banca svizzera alla

10

essere ammissibile.

BDL di Singapore, su conto della Pembroke Int, ed altre somme significative
furono trasferite ad agosto del 2005, quando era apparso chiaro che il
concordato preventivo proposto dalla Bburago spa ai propri creditori non sarebbe
stato approvato;
– la consapevolezza del Rausse circa la provenienza delle somme suddette è
stata desunta, ancora una volta, dalle precise e concordi affermazioni di Besana
e Pisanò, che non avevano, anche sotto tale profilo, alcun interesse ad
attribuirgli la conoscenza di quella provenienza ed erano, anzi, interessati a

caso le affermazioni dei due sono state vagliate ed apprezzate nella loro
congruenza logica, rilevando che effettivamente la distrazione avvenne nel
periodo in cui Besana si era completamente affidato al Rausse, divenuto suo
consigliere e professionista di fiducia, tanto da essere certamente depositarlo di
somme della Bburago spa, come provato dal fatto che la provvista per anticipare
le spese del concordato proposto dalla società (per C 160.000) fu prelevata da
un conto aperto presso la banca Sella dal Rausse.
Il discorso giustificativo sviluppato dalla Corte di merito si lascia
apprezzare per completezza e forza argomentativa e non è contraddetto dalle
suggestive ipotesi alternative proposte dai difensori, in quanto:
– niente autorizza a ritenere che le condizioni di salute del Besana fossero, anche
nell’ultimo periodo, tali da avergli tolto la necessaria lucidità, dal momento che il
memoriale da lui personalmente redatto è, pur nella grafia stentata, dotato di
coerenza intrinseca e logica stringente. Né è senza rilievo il fatto che il Pubblico
Ministero poté colloquiare con lui e constatarne il pieno possesso delle facoltà
intellettive, dal momento che le capacità psichiche sono percepibili anche da
soggetti privi di cognizioni mediche, soprattutto se avvezzi al colloquio e a
relazionarsi con le persone;
– non corrisponde alla realtà che Pisanà Ivana abbia reso (solo) dichiarazioni de
relato, in quanto, quale compagna del marito e a lui molto vicina, specialmente
nel periodo della malattia, ebbe modo di apprendere di persona molte delle
circostanze riferite ai giudici;
– i motivi di astio del Besana verso Rausse (per l’appropriazione, da parte di
quest’ultimo, di somme che Besana riteneva sue) non giustificano la
riconduzione delle somme alla Bburago spa e l’attribuzione al Rausse di una
consapevolezza che I3esana aveva interesse a negare, per sé e per i soggetti che
avevano cooperato con lui, per i motivi che si sono sopra detti. Peraltro, per
ottenere la punizione del Rausse al Besana sarebbe bastato parlare
dell’appropriazione del denaro da parte dell’imputato, senza la necessità di
ricondurlo alla società fallita;

11

DI\

negare la provenienza stessa delle somme dalla Bburago spa. E anche in questo

- non può essere la reticenza mostrata dal Besana in ordine alle ulteriori
distrazioni poste in essere, in epoca antecedente ai fatti per cui è processo ed in
un’epoca in cui nulla è dato sapere intorno alle condizioni economiche della
società, a togliere credibilità ad un racconto dotato di coerenza intrinseca e
ampiamente riscontrato nei suoi aspetti oggettivi, nonché, in via logica, nei suoi
aspetti soggettivi;
– per la sussistenza della distrazione non è affatto necessario sapere con quale
specifica operazione è stata procurata la provvista necessaria alla successiva

dall’impresa fallita;
– il fatto che Besana avesse costituito disponibilità all’estero prima del 2005,
attraverso perdite fittizie su derivati, non toglie che quelle costituite dopo tale
epoca fossero illecite;
– lo stato di crisi della Bburago nel 2004/2005 non impediva a Besana, col
concorso del Rausse, di distrarre attività sociali, in quanto oggetto della
distrazione non sono gli utili ma i ricavi. Per il resto, è risaputo che proprio lo
stato di crisi induce gli imprenditori a porre in essere operazioni distrattive;
– non v’è nessuna incompatibilità tra l’iniezione di capitale nella società,
effettuata quando Besana era convinto di poter salvare la Bburago spa, e la
distrazione successiva, effettuata quando si era convinto della inutilità
dell’operazione di salvataggio;
– la possibilità che sulla Fincom Investors Ltd siano confluite anche somme
provenienti da altre società del gruppo non esclude che la stessa sia stata
collettrice di attività provenienti dalla Bburago spa;
– costituisce solo un’ipotesi, priva di riscontri, che le somme consegnate a
Rausse provenissero dal disinvestimento di fondi personali (i fondi Azimut) del
Besana. Comunque, come rilevato in sentenza, quei fondi avevano l’ammontare
di una parte del denaro distratto e, in ogni caso, non v’è prova che si trattasse di
fondi lecitamente costituiti;
– l’ipotesi che Rausse non abbia concorso nella distrazione, ma abbia riciclato il
denaro distratto da Besana, è solo un’ipotesi difensiva, priva di concreti riscontri
(nemmeno l’imputato l’ha prospettata).
Ritiene pertanto la Corte che gli elementi di prova indicati dal difensore,
ex se considerati, sia nella loro valutazione unitaria che nella loro valutazione
complessiva, siano intrinsecamente privi della persuasività e congruenza
necessarie per incidere, anche in termini meramente dubitativi, sul compendio
degli elementi che hanno portato la Corte territoriale all’affermazione della
penale responsabilità, qui ulteriormente osservandosi che compito della Corte di
Cassazione non è quello di valutare la congruenza delle ipotesi alternative
prospettate dai difensori, ma di vagliare la logicità del ragionamento dispiegato
12

(P

attività illecita, essendo sufficiente la prova logica della provenienza dei fondi

dal giudice di merito. Esula infatti dai poteri di questa Corte quello di una
“rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione deve rimanere prerogativa esclusiva del giudice di merito, e non è,
quindi, denunciabile come vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali
(cfr. Cass. S.U. 24/11/1999, Spina; S.U. 30/4/1997, De Simone).

6. Quanto al reato di cui al capo d) (appropriazione indebita in danno di

6.1. E’ infondata la doglianza concernente la tempestività della querela (ut
suora, sub. 3.1.9 e 3.2.9). Il reato di appropriazione si perfeziona, infatti, nel
momento in cui viene attuata l’interversione del possesso e, se successiva, nel
momento in cui di essa acquista conoscenza la vittima del reato. Trattandosi di
somme consegnate al Rausse per fine di investimento, la consapevolezza
dell’appropriazione va ricondotta non alla consegna del denaro, né alla scadenza
dell’obbligazione di restituzione, ma al momento in cui Savonuzzi si è resa conto
che le somme non le sarebbero state restituite per fatto e scelta del detentore:
momento che correttamente è stato individuato nell’arresto del Rausse per i fatti
di questo processo, in mancanza di comportamenti negatori percepibili
dall’avente diritto alla restituzione.
6.2. Altrettanto correttamente è stata ritenuta applicabile la legge penale
italiana, in quanto l’appropriazione si consuma nel momento e nel luogo in cui il
possessore compie sulla cosa un atto di disposizione riservato al proprietario.
Trattandosi, poi, dell’inosservanza di un obbligo di restituzione, la consumazione
non può che avvenire nel luogo in cui il possessore deve restituire la cosa: vale a
dire in Italia, dove si trovava la Savonuzzi al momento dell’insorgenza
dell’obbligo.
6.3. La prova dell’interversione del possesso è insita nella mancata restituzione
del bene, allorché, alla scadenza dell’obbligo, non venga allegato alcun legittimo
impedimento. Inconsistente – e nemmeno bisognosa di confutazione – è
l’affermazione che il soggetto tenuto alla restituzione era la Azala Investment
Llc, dal momento che si trattava del soggetto scelto dal Rausse per attuare
l’appropriazione. Speciosa è quella che l’arresto ha reso impossibile ha
restituzione (motivi sub 3.1.11 e 3.2.9).
6.4. Inammissibile è il motivo riguardante l’aggravante dell’art. 61, n. 11, cod.
pen., che non è stata applicata, né dal giudice di primo grado, né da quello
d’appello. La sentenza d’appello si limita, a pag. 26, a rimarcare l’odiosità del
comportamento dell’imputato, che aveva una relazione con la nipote di
Savonuzzi Gloria, senza tuttavia procedere ad alcun aumento di pena in virtù di
essa (motivo sub. 3.1.12).
13

Savonuzzi Gloria), valgono le osservazioni seguenti.

7. Infondati sono tutti i motivi di ricorso concernenti il reato di cui al capo E).
7.1. Nessun pregio ha la doglianza relativa al luogo di commissione del reato,
dato che in Italia è stata svolta l’attività di raccolta del risparmio, a nulla
rilevando che le somme siano state collocate all’estero (motivo sub. 3.1.13).
7.2. E’ infondata la censura relativa all’interpretazione del D.Lgs. n. 98 del 1998,
art. 166 (ut suora, sub. 3.1.14 e 3.2.10). Tale disposizione puniva l’abusivismo
di chi, senza esservi abilitato, svolgeva servizi di investimento o di gestione

parola “svolge servizi” è stata aggiunta quella “attività”.
Come già rilevato da questa Corte, “tale modifica non ha ampliato l’ipotesi
criminosa, perché la giurisprudenza ha sempre definito le operazioni di
intermediazione finanziaria o di gestione collettiva di risparmio sia come servizio
che come attività (Cass., sez. 5^, 2 aprile 2003, n. 22410): cioè considerando
non soltanto il servizio di investimento e gestione di valori mobiliari attribuito a
banche e sim, che comporta la possibilità di disporre dei beni affidati,
effettuando discrezionalmente valutazioni circa le opportunità di investimento e
predisponendo strumenti idonei per realizzare operazioni di mercato, ma anche
l’attività diretta alla conclusione del contratto, tenuto conto che lo stesso D.Lgs.
cit., art. 1, comma 5, lett. e, nella sua originaria formulazione, faceva rientrare
nel “servizio di investimento” anche la semplice ricezione e trasmissione ovvero
mediazioni di ordini cioè la ricezione e trasmissione a soggetti abilitati di ordini
riguardanti strumenti finanziari. Per cui il legislatore non ha fatto altro che
adeguare la lettera della norma incriminatrice al significato che se ne era dato in
sede di interpretazione e allo stesso concetto di investimento dato dall’art. 1 cit.
delle stesso decreto legislativo” (Cass. Pen., n. 43026 del 24/9/2009).
Nella specie, quindi, legittimamente è stato ritenuto integrasse il reato di
esercizio abusivo di intermediazione finanziaria l’attività esperita dal Rausse,
diretta alla raccolta del risparmio e alla sua gestione attraverso gli strumenti
dell’economia finanziaria.
Inammissibili, per assoluta genericità, sono le doglianze relative alla prova del
reato, su cui la Corte d’appello si è intrattenuta con ampia motivazione, del tutto
ignorata dai ricorrenti.

8. E’ fondata, invece, la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio (ut
suora, sub. 3.1.15 e 3.2.11), in quanto il giudice di primo grado aveva statuito
un aumentato di pena di nove mesi per ognuno dei reati contestati ai capi D) ed
E). Invece, il giudice d’appello l’ha aumentata di un anno, in assenza di appello
del Pubblico Ministero. In questo modo è stata attuata una indebita reformatio in
peius della pena, che va riportata al livello del primo grado.
14

collettiva del risparmio. Con il successivo D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 alla

Destituite di fondamento sono, poi, le altre censure relative alla pena, su cui la
sentenza di primo grado, fatta propria da quella d’appello, si è puntualmente
soffermata, richiamando la gravità del reato, l’intensità del dolo e l’enorme
danno cagionato alle persone offese. Facendo riferimento, cioè, ai parametri, per
legge, che devono guidare il giudice nella commisurazione della pena.

9. E’ inammissibile la doglianza relativa alle attenuanti generiche, concesse dal
primo giudice e confermate dal secondo (ut supra, sub. 3.1.16). Non vi è stato,

10. E’ infondata la doglianza relativa alle statuizioni civili (ut supra, sub. 3.1.17).
Il giudice di primo grado aveva condannato l’imputato al risarcimento dei danni e
al pagamento delle spese processuali in favore di Sereno Guido e Simona non
solo per il reato di cui al capo d), per il quale è intervenuto prscioglimento in
appello, ma anche in relazione al capo E), per il quale è stata confermata la
pronuncia di condanna. Pertanto, legittimamente il giudice ha tenuto ferme le
statuizioni civili di primo grado ed ha condannato l’imputato al pagamento delle
spese processuali del secondo grado.
Quanto alla doglianza concernente l’entità della provvisionale, essa presenta
evidenti profili di inammissibilità, tenuto conto del condivisibile e consolidato
indirizzo interpretativo delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui le questioni concernenti le statuizioni relative alla provvisionale non sono
deducibili in sede di legittimità, essendo destinate ad essere travolte dalla
decisione di merito (N. 9266 del 1994 Rv. 199072, N. 6727 del 1995 Rv.
201775, N. 11984 del 1997 Rv. 209501, N. 4973 del 2000 Rv. 215770, N. 7031
del 2003 Rv. 223657, N. 36536 del 2003 Rv. 226454, N. 36760 del 2004 Rv.
230271, N. 40410 del 2004 Rv. 230105, N. 5001 del 2007 Rv. 236068, N 34791
DEL 2010, Rv 248348).

11. Venendo all’esame dei motivi di ricorso di Besana Marco, il primo è
manifestamente infondato, siccome rivolto a prospettare una diversa
ricostruzione dei fatti, in sostanziale sintonia con l’imputato Rausse, che la Corte
di merito ha motivatamente disattesa. Valgono, per lui, tutte le considerazioni
svolte al punto 5 in ordine alla posizione dell’imputato, che vengono qui
Integralmente richiamate.
Il secondo è inammissibile, in quanto, oltre ad essere poco comprensibile,
si fonda su un dato indimostrato: quello di essere stato privato dal Rausse “della
nuda proprietà delle quote della Bburago spa”. In realtà, se il ricorrente intende
dire, come sembra fare in un passo del suo ricorso (a pag. 11), che il socio può
avanzare domanda di risarcimento per i danni cagionati a lui e alla società

15

9

)1/4-

pertanto, contrariamente all’assunto difensivo, un immotivato diniego.

dall’amministratore, tale eventualità viene meno col fallimento. L’art. 2394/bis
c.c. stabilisce, infatti, che nel fallimento le azioni di responsabilità spettano al
curatore. Lo stesso prevede l’art. 146 della L.F.. E se l’art. 2395 c.c. fa salva,
anche dopo il fallimento, l’azione individuale, di natura aquiliana, del socio e del
terzo per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale,
in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore
(eventualmente in combutta con extranei), ciò è possibile solo se i danni siano
conseguenza “immediata e diretta” del comportamento denunciato e non il mero

effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di
natura contrattuale) prevista dagli artt. 2393 e 2393/bis cod. civ., esperibile, in
caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge
fallimentare.
Danni di tal natura sono da escludere nel caso che ci occupa, in quanto
non costituisce danno diretto la mancata conservazione del patrimonio sociale
(Ex multis, Cass. Civ, 22/3/2011, n. 6558).
Assertivo, indimostrato e inconferente è, infine, il secondo motivo
accampato per la richiesta di risarcimento: quello di aver subito una ingiusta
detenzione per le distrazioni poste in essere dal Rausse. Questo motivo avrebbe
un senso se il Rausse fosse accusato di calunnia; non è nemmeno possibile
comprendere il collegamento della domanda con la vicenda di questo processo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile Besana Marco, che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della
Cassa delle ammende. Annulla nei confronti di Rausse Gian Pietro Maria la
sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio in punto
aumento per la continuazione; aumento che ridetermina in complessivi mesi 18
di reclusione, così restando la pena finale rideterminata in anni cinque di
reclusione; rigetta nel resto il ricorso del Rausse e condanna detto ricorrente alla
rifusione delle spese sostenute nel grado dalle seguenti parti civili: per Savonuzzi
Gloria in complessivi C 2.000, oltre accessori di legge; per Sereno Guido e
Sereno Simona globalmente in complessivi C 3.000, oltre accessori secondo
legge; per Berera Fabrizia e Ducci Leonarda globalmente in complessivi C 3.000,
oltre accessori secondo legge.
Così deciso il 4/4/2013

riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA