Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28031 del 22/03/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 28031 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPIZZI GIUSEPPE N. IL 03/07/1966
CAPIZZI CARMELO N. IL 25/07/1967
avverso la sentenza n. 3440/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 25/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERO SA VANI
Udito il Procuratore Generale ilyitersona del Dott. t Ah:, 1.23.4riii„
che ha concluso per 2
u_RA.44,
■->

p er 1

Udit i difensor Avv.

•1.’Avv

q,

Data Udienza: 22/03/2013

RITENUTO IN FATTO
A CAPIZZI Giuseppe e CAPIZZI Carmelo è stato contestato il delitto di estorsione in concorso,
aggravata dall’art. 7 DL 152/91, per avere, mediante minaccia consistita nell’avvalersi della
forza di intimidazione derivante dall’associazione mafiosa cosa nostra, costretto GRIGOLI
Giuseppe a consegnare la somma di danaro di C. 75.000,00# in favore della consorteria riferibile
al gruppo di FALSONE Giuseppe (eminente esponente di cosa nostra nell’agrigentino), con
l’aggravante di avere agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ed al fine
di agevolare l’attività di quell’associazione mafiosa.
In Ribera, nel corso del 2003.
Gli imputati sono stati considerati responsabili dai giudici del merito del delitto loro ascritto,
ritenuta, quanto a CAPIZZI Giuseppe, la continuazione con il delitto di cui all’art. 416 bis c.p.
giudicato con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo in data 28 gennaio 2009;
peraltro, con la medesima sentenza CAPIZZI Carmelo era stato assolto dall’accusa di aver
partecipato a tale associazione mafiosa.
In sintesi, la vicenda oggetto di imputazione, per come ricostruita dai giudici del merito, appare
in qualche modo collegata ad un rapporto economico tra i fratelli CAPIZZI e GRIGOLI
Giuseppe; i primi avevano preso in gestione nel 2002 un supermercato Despar in Ribera,
gestione affidata loro dal secondo, concessionario di quei supermercati per la Sicilia occidentale,
con l’onere per i CAPIZZI di avvalersi di lui come fornitore della merce.
I CAPIZZI non avrebbero poi pagato un certo quantitativo di merce consegnata da GRIGOLI nel
corso della gestione così che questi avrebbe vantato un cospicuo credito nei loro confronti.
In tale situazione conflittuale si sarebbe inserita la richiesta di CAPIZZI al GRIGOLI, di un
pagamento di E. 75.000,00#, considerato estorsivo e funzionale agli scopi della consorteria di
riferimento di CAPIZZI, l’articolazione agrigentina di cosa nostra capeggiata da FALSONE
Giuseppe.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo hanno proposto distinti ricorsi per
cassazione i due imputati.
Il ricorso per cassazione di CAPIZZI Giuseppe è fondato su quattro motivi.
Con il primo deduce violazione di legge in relazione all’art.649 c.p.p. rilevando che dalla
sentenza emessa dalla Corte d’appello nel processo concernente l’accusa di partecipazione ad
associazione mafiosa dedita fra l’altro alla realizzazione di estorsioni, risultava diffusamente
affrontato l’episodio estorsivo oggetto dell’attuale procedimento, valutato come sintomo di
partecipazione all’attività della consorteria agrigentina ritenuta articolazione locale di cosa
nostra.
Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello non abbia considerato che il medesimo fatto (la
vicenda Despar) aveva formato oggetto di un diverso giudizio, dove era stato considerato come
sintomatico dell’appartenenza del CAPIZZI all’associazione criminale; avrebbe errato la Corte
di merito a non considerare già giudicato il medesimo fatto, seppur secondo diverso titolo di
reato.
Osserva peraltro che lo stesso Pubblico Ministero, non considerando estorsivo il comportamento
dei CAPIZZI, ma come inserito in dinamiche interne all’organizzazione mafiosa di cui anche il
GRIGOLI faceva parte quale imprenditore di riferimento di altro elemento di spicco della
consorteria, MESSINA DENARO Matteo, aveva chiesto l’archiviazione dell’ipotesi poi
consacrata nell’imputazione, senza che il G.I.P. l’accogliesse.
Con il secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione laddove la Corte di merito mal avrebbe valutato le emergenze dei documenti (i c.d.
pizzini) sequestrati nell’abitazione di PROVENZANO Bernardo al momento dell’arresto, in
sostanza, una serie di lettere fra MESSINA DENARO Matteo e FALSONE Giuseppe da cui si
sarebbe tratta la ricostruzione della vicenda per essersi inserita, accanto alla questione relativa ai
mancati pagamenti dei CAPIZZI, un’altra questione, e cioè la pretesa estorsiva nei riguardi del
GRIGOLI.

La Corte territoriale male avrebbe valutato le dichiarazioni di due collaboratori (SARDINO
Giuseppe e RIZZUTO Calogero) che, se si fosse verificata una vicenda estorsiva ben avrebbero
potuto riferirne, come invece non erano stati in grado di fare.
Non avrebbe valutato correttamente il contenuto delle lettere sequestrate, peraltro senza aver
alcuna conferma dai collaboratori, lettere da cui non risulterebbe la prova chiara ed univoca delle
responsabilità del CAPIZZI che nulla avrebbe a che fare con la richiesta di denaro.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione quanto all’esser stata ritenuta la responsabilità
sulla base del solo contenuto dei pizzini che, essendo comunicazioni fra terze persone, di valore
indiziario avrebbero dovuto trovare riscontri oggettivi, di fatto inesistenti, e in ogni caso non
indicati dalla Corte di merito.
Con il quarto motivo deduce omissione di motivazione quanto alla richiesta dell’appello di
applicazione delle attenuanti generiche.
Fla poi depositato motivi aggiunti con i quali ulteriormente censura la motivazione della
sentenza, di conferma di quella di primo grado, sulla ritenuta responsabilità con erronea ed
insufficiente valutazione del materiale probatorio, limitato all’esame delle missive, peraltro da
riferire a rapporti di natura commerciale, mentre sull’estorsione nulla era risultato dalle
dichiarazioni dei collaboratori.
Il ricorso per cassazione di CAPIZZI Carmelo è fondato su cinque motivi.
Con il primo deduce violazione di legge in relazione all’art.649 c.p.p., rilevando che dalla
sentenza emessa dalla Corte d’appello nel processo concernente l’accusa a suo carico di
partecipazione ad associazione mafiosa dedita fra l’altro alla realizzazione di estorsioni, risultava
diffusamente affrontato l’episodio estorsivo oggetto dell’attuale procedimento, valutato come
sintomo di partecipazione all’attività della consorteria agrigentina ritenuta articolazione locale di
cosa nostra.
Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello non abbia considerato che il medesimo fatto (la
vicenda DESPAR) aveva formato oggetto di un diverso giudizio dove era stata esclusa la sua
appartenenza all’associazione criminale; avrebbe errato quindi la Corte di merito a non
considerare già giudicato il medesimo fatto, seppur secondo diverso titolo di reato.
Rileva peraltro il ricorrente che lo stesso Pubblico Ministero, non considerando estorsivo il
comportamento dei CAPIZZI, ma come inserito in dinamiche interne all’organizzazione mafiosa
di cui anche il GRIGOLI faceva parte, come imprenditore di riferimento di altro elemento di
spicco della consorteria, MESSINA DENARO Matteo, aveva chiesto l’archiviazione dell’ipotesi
poi consacrata nell’imputazione, senza che il G.I.P. l’accogliesse.
Con il secondo motivo deduce travisamento della prova, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione laddove la Corte di merito mal avrebbe valutato le emergenze processuali per
ritenere che il ricorrente, interessato con il fratello nella lecita gestione del punto vendita
DESPAR, per ciò solo avesse avuto parte nella ritenuta attività estorsiva, laddove poi era
risultato, per ammissione del medesimo giudice d’appello, che egli non aveva partecipato
all’incontro con il GRIGOLI che si era prestato ad organizzare, ma per la lecita finalità di
dirimere un contrasto di posizioni sul pagamento di forniture.
Rileva che il giudice d’appello non avrebbe considerato che, all’esito delle indagini e del relativo
procedimento, egli era stato escluso dal novero dei partecipi dell’associazione con la quale
avrebbe cooperato il fratello e come anche in relazione all’estorsione oggetto del procedimento
attuale vi fossa stata richiesta di archiviazione, non accolta, con valutazione di inesistenza del
fatto estorsivo, visto più che altro come manifestazione di una dinamica interna alla consorteria.
Rilevato che dai documenti (i c.d. pizzini) sequestrati nell’abitazione di PROVENZANO
Bernardo al momento dell’arresto, ritenuti fondamentali per la prova del fatto, non emergerebbe
mai il coinvolgimento del ricorrente, viene censurata la lettura data all’intercettazione ambientale
da cui sarebbe stata tratta la convinzione di una sua partecipazione all’attività estorsiva e non alla
sola controversia commerciale con GRIGOLI, intercettazione che sarebbe stata travisata, come
invece non avrebbe fatto questa Corte nel valutare, con sentenza della Sez. VI, n. 16489 del 26
febbraio 2007, la stessa in sede cautelare.

Più in generale, si contesta il metodo parcellizzato di valutazione delle emergenze probatorie con
particolar riferimento alle diverse missive fra i vertici della consorteria aventi per oggetto sia la
controversia commerciale che la vicenda considerata estorsiva.
La Corte di merito avrebbe del tutto pretermesso le emergenze documentali da cui sarebbe
risultato che l’attività estorsiva sarebbe iniziata dopo la chiusura, nel luglio 2003, del punto
vendita gestito dai CAPIZZI in Ribera, valorizzandone altre di segno diverso, così da poter
attribuire una valenza accusatoria all’intercettazione ambientale del 2002 avente per oggetto
somme da pagarsi riferite al GRIGOLI secondo il ricorrente collegabile solo la vicenda
commerciale.
Nel contesto di quella visione parziale delle prove la Corte territoriale male avrebbe valutato le
dichiarazioni di due collaboratori (SARDINO Giuseppe e RIZZUTO Calogero) che avevano
escluso la partecipazione associativa del CAPIZZI Carmelo.
Non avrebbe valutato correttamente il contenuto delle lettere sequestrate, peraltro senza aver
alcuna conferma dai collaboratori, lettere da cui non risulterebbe la prova chiara ed univoca delle
responsabilità del CAPIZZI che nulla avrebbe a che fare con la richiesta di denaro.
Con il terzo motivo deduce la mancanza di motivazione in merito al ricorrere della contestata
aggravante ex art. 7 L. 203/91, essendo lui stato in ogni caso assolto in via definitiva dall’accusa
associativa e in sostanza estraneo all’attività estorsiva ed alle modalità della sua realizzazione.
Con il quarto motivo e con il quinto motivo deduce difetto di motivazione rispettivamente
quanto alla richiesta di applicazione delle attenuanti generiche e quanto alla misura della pena
che, seppur ridotta dal giudice d’appello, sarebbe sempre eccessiva rispetto alle proporzioni del
fatto e non giustificata da adeguata motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Comune ai due ricorsi è la doglianza concernente la mancata applicazione del disposto dell’art.
649 c.p.p. quanto alla contestata estorsione, aggravata dal metodo mafioso, che sarebbe stata già
oggetto della decisione definitiva con la quale la Corte territoriale aveva dichiarato CAPIZZI
Giuseppe responsabile di partecipazione all’associazione mafiosa ed aveva assolto CAPIZZI
Carmelo dall’accusa di partecipazione a quella consorteria criminale.
Si tratta di motivi manifestamente infondati.
Invero, la costante giurisprudenza di questa Corte ha chiarito ormai da tempo che (Sez. I, n. 4014
del 13/10/1992, Rv. 195092; Sez. 1, n. 6244 del 23/10/2000, Rv. 218178; Sez. II, n. 8697 del
18/1/2005, Rv. 230791), dovendosi intendere per medesimo fatto, ai fini della duplicazione
processuale ex art. 649 cod. proc. pen., ciò che risulta dai suoi elementi costitutivi e cioè da
condotta, evento e nesso di causalità, nel caso di procedimento per il delitto associativo (art. 416
bis cod. pen. o art. 74 T.U.L.St. 309/90) e di separato procedimento per i reati fine realizzati, new
sussiste la preclusione del “ne bis in idem”, ricorrendo l’ipotesi del concorso materiale di reati,/
perché, per il primo la condotta necessaria e sufficiente sta nella prestazione della propria
adesione alla organizzazione già costituita, mentre per i secondi la condotta necessaria è quella
tipica, fissata nella fattispecie criminosa.
Nel procedimento avente per oggetto il delitto associativo l’esame dei fatti di estorsione ascritti
ai prevenuti nel presente procedimento è stato rilevante per la dimostrazione dell’esistenza e del
campo di operatività dell’associazione criminale, nelle articolazioni alle quali partecipavano i
condannati, ma la circostanza che quei fatti siano stati oggetto di un approfondito esame a quei
fini non comporta la preclusione a che siano diversamente valutati in quanto costituenti
autonomamente reato; invero (S.U., n. 2110 del 23/11/1995, Rv. 203765) la preclusione del
giudicato impedisce soltanto l’esercizio dell’azione penale per il fatto-reato che di quel giudicato
ha formato oggetto, ma nulla ha a che vedere con la possibilità di una rinnovata valutazione delle
risultanze probatorie acquisite nei processi ormai conclusisi, una volta stabilito che quelle
risultanze probatorie possono essere rilevanti per l’accertamento di reati diversi da quelli già
giudicati. Ed invero l’inammissibilità di un secondo giudizio per lo stesso reato non vieta di
prendere in considerazione lo stesso fatto storico, o particolari suoi aspetti, per valutarli
liberamente ai fini della prova concernente un reato diverso da quello giudicato, in quanto ciò
che diviene irretrattabile è la verità legale del fatto-reato, non quella reale del fatto storico.

Privi di fondamento sono i restanti motivi del ricorso proposto per CAPIZZI Giuseppe.
Si duole il ricorrente della preminente considerazione da parte della Corte territoriale del
contenuto dei documenti sequestrati in occasione dell’arresto del latitante PROVENZANO
Bernardo, documenti, che non rappresenterebbero altro che mere fonti indiziarie circa la natura
estorsiva del rapporto fra CAPIZZI e GRIGOLI, non sostenute e confortate dai necessari
riscontri, mentre il rapporto fra i due avrebbe avuto una natura pacificamente rapportabile ad una
controversia commerciale collegata a mancati pagamenti di merci del primo al secondo ed alle
questioni agitatesi &l ‘interno di cosa nostra in conseguenza di tale situazione.
Osserva il Collegio che la sentenza del giudice d’appello si è in primo luogo riferita alla
compiuta esposizione, da parte del primo giudice, del contenuto e della sequenza cronologica
delle lettere ricevute dal PRO VENZANO riguardanti la vicenda e provenienti, sia da MESSINA
DENARO, che proteggeva gli interessi del GRIGOLI, sia dal FALSONE, al vertice
dell’organizzazione nella provincia di Agrigento, interessato al suo sviluppo in quel territorio,
che sosteneva la posizione del CAPIZZI finendo poi per assumersi, nel contesto mafioso di
riferimento, la responsabilità dell’azione intrapresa nei riguardi del GRIGOLI. Ha quindi
evidenziato come il contenuto delle diverse comunicazioni dirette a PRO VENZANO
ricostruissero una precisa sequenza di avvenimenti sulla base di fonti di conoscenza diverse e
provenienti da posizioni opposte, ma tali da confermarsi fra di loro, sul nucleo centrale della
differente natura delle questioni esistenti fra CAPIZZI e GRIGOLI, sia quella relativa al debito
del primo nei riguardi dell’altro, per i mancati pagamenti di merce fornita dal secondo
nell’ambito del loro rapporto commerciale, sia quella della pretesa di pagamento di una somma
che il GRIGOLI, volendo operare nella zona sotto il controllo del gruppo facente capo a
FALSONE, avrebbe dovuto pagare quale pizzo (come è chiaramente definito in una delle lettere)
per mettersi a posto (altra espressione che correttamente la Corte territoriale individua come
tipica della pretesa estorsiva mafiosa nei confronti di un operatore commerciale).
Ha seguito la Corte la cronologia degli avvenimenti, dal 2002 al momento, nell’autunno 2003, in
cui venivano riferiti i fatti al PROVENZANO, rilevando che, dopo una prima richiesta da parte
di CAPIZZI per la consorteria guidata da FALSONE, v’era stato un intervento, promosso da
MESSINA DENARO tramite SUTERA Leo, di Sambuca, per fermare l’azione estorsiva,
intervento che aveva avuto temporaneo successo, fino a che SUTERA non era stato arrestato, e
di tale vicenda, riscontrata sulla base degli atti relativi, hanno dato notizia le lettere in sequestro;
pure il DI GATI, arrestato nella medesima occasione del SUTERA, nel contesto della sua
collaborazione aveva fatto riferimento a quella vicenda, seppur sostenendo che l’estorsione non
era andata in porto, e si tratta di affermazione non tale, come ritiene il ricorrente, da smentire
l’impianto probatorio, ma al contrario da confermare la correttezza della ricostruzione dei giudici
del merito posto che il DI GATI era a conoscenza dell’esito dell’intervento di SUTERA, che
aveva portato all’interruzione dell’operazione, ma dopo l’arresto all’evidenza non ne avrebbe
potuto più sapere altro. La Corte di merito, a differenza di quanto ritenuto dal ricorrente, ha
chiaramente evidenziato come quel che risultava dalle lettere sequestrate avesse trovato
conferme, non solo nel reciproco occasionale incrociarsi e confermarsi del contenuto delle
comunicazioni, ma anche in elementi esterni, quali l’intercettazione ambientale dell’ottobre 2002
fra i SORTINO, padre e figlio, titolari nell’agrigentino di altro esercizio Despar rifornito dal
GRIGOLI, nel contesto del quale veniva fatto riferimento a una pretesa da parte di CAPIZZI di
200milioni di Lire nei riguardi di GRIGOLI, e la Corte di merito ha logicamente riferito quella
notizia, non certo al rapporto commerciale fra i due, posto che in quel contesto era il secondo a
poter pretendere somme di denaro dal primo, e non viceversa, ma alla pretesa estorsiva, laddove
il SORTINO ben poteva avere cognizione dell’importo della richiesta in quei termini, se poi,
dalle lettere sequestrate era risultato che il GRIGOLI si era messo a posto (per paura di
mafiosità, di subire danni) col pagamento “a furfé” di 150milioni di Lire (75.000,# in Euro),
ottenendo quindi uno sconto forfettario sulla richiesta di partenza.
Altrettanto correttamente la Corte, con puntuali riferimenti alla successione degli avvenimenti
ricostruiti sulla base delle lettere indirizzate al capo dei capi mafiosi, ha escluso che potesse
venire confusa con la prima vicenda estorsiva, conclusa con l’avvenuto pagamento forfettario,

l’ulteriore pretesa di pagamento rivolta nel 2003 da CAPIZZI a GRIGOLI, relativa a tutti i punti
vendita nell’agrigentino, a cui vien fatto riferimento dalla difesa, vicenda non conclusa con il
pagamento per l’intervento del MESSINA DENARO che aveva avviato la nota serie di
comunicazioni con PROVENZANO.
Del tutto correttamente poi la Corte territoriale ha confutato la considerazione, riproposta in
ricorso, secondo cui la condotta oggetto di procedimento non si sarebbe potuta qualificare in
termini di estorsione, ma quale “dinamica interna a cosa nostra” (come peraltro ritenuto dal
Pubblico Ministero nell’originaria richiesta di archiviazione non accolta dal G.I.P.), osservando
che la richiesta di pagamento rivolta al GRIGOLI era legata alle attività imprenditoriali di costui,
di cui non era ben conosciuto (come reso evidente dagli scritti di FALSONE) il legame con
vertici criminali di altri territori, e che comunque rientrava nelle notorie regole della coesistenza
mafiosa (quei “discorsi di annacamento generale di come ci si comporta nel suo paese” citati
nelle lettere) che l’esercizio di attività imprenditoriali fuori dal proprio territorio da parte di un
consociato comportasse quella messa in regola la cui pretesa da parte di CAPIZZI e dei suoi
referenti era usuale manifestazione di controllo territoriale, non certo esclusa dall’area di
rilevanza penale, come d’altra parte ogni altra attività delittuosa sviluppata dalle consorterie
criminali per garantire controllo e supremazia.
In definitiva, la Corte territoriale ha composto un preciso quadro di elementi, tratti dal contenuto
delle lettere, reciprocamente riscontrantesi e riscontrate da più fonti, costituite anche da
capta2ioni di conversazioni fra presenti e da dichiarazioni testimoniali, con valutazione delle
voci apparentemente dissonanti di alcuni collaboratori, esaminate e ritenute non tali da incrinare
il complessivo impianto probatorio delineatosi.
Il ricorso e la successiva memoria oppongono ai rilievi della Corte questioni sul preminente
valore delle posizioni dei collaboratori, che dell’estorsione non avevano dimostrato di aver
notizie, della cui attendibilità sì pretende in questa sede una valutazione basata sulla circostanza
di fatto della loro posizione nella consorteria e sulla meramente ipotizzata loro conoscenza di
ogni vicenda che la riguardava, nonché questioni non fondate in merito all’insufficiente grado
dimostrativo delle missive esaminate dai giudici del merito; si ripropone così un’alternativa
ricostruzione degli avvenimenti, esaminata e ritenuta non fondata dalla Corte di merito sulla base
di un’adeguata e minuziosa esposizione dello sviluppo dei fatti di rilievo, completa e priva di
vizi di logica consequenzialità.
Quanto infine alla doglianza del prevenuto, relativa alla richiesta di concessione delle attenuanti
generiche, osserva il Collegio che, seppure la Corte territoriale non abbia riservato esplicita
motivazione sul punto alla sostanziale negativa delle attenuanti generiche, nel momento in cui la
riduzione della pena era dipesa dall’applicazione della continuazione fra reato associativo gi à’ -.f
giudicato e delitto di estorsione oggetto di giudizio, emerge con chiarezza dall’intero contesto
motivazionale una valutazione di gravità del comportamento complessivo tenuto dai responsabili
della vicenda, per l’inserimento del fatto nell’alveo delle dinamiche mafiose di alto livello come
funzionale all’arricchimento della compagine della quale il prevenuto faceva parte, che, seppure
esplicitata quale elemento ostativo alla concessione delle attenuanti generiche a CAPIZZI
Carmelo, è valutazione — peraltro connessa a corretti parametri previsti dall’art. 133 c.p.,
valutabili anche ex art. 62 bis c.p. — che appare, a maggior ragione, considerare per implicito la
posizione del fratello Giuseppe, per la Corte di merito il personaggio centrale nella vicenda,
tenuto conto del suo ruolo sia nel fatto specifico sia nel più ampio contesto criminale di
riferimento.
Il ricorso di CAPIZZI Giuseppe deve quindi essere rigettato con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
A diverse conclusione occorre giungere quanto alla posizione di CAPIZZI Carmelo.
Il prevenuto è stato escluso con sentenza definitiva dall’area di appartenenza alla consorteria cui
erano legati il fratello Giuseppe e altri famigliari.
La Corte di merito dà atto che pacificamente il prevenuto non aveva partecipato all’incontro fra
il fratello, il GRIGOLI e l’avvicinato di Licata in esito al quale per paura di maflosità il
GRIGOLI aveva pagato al CAPIZZI per la famiglia di Ribera la somma forfettaria di C.

75.000,00#, e che del prevenuto non vien mai fatta menzione nelle lettere che si erano incrociate
sulla vicenda, avendo come terminale il PROVENZANO.
Il giudice d’appello ritiene l’attiva partecipazione del prevenuto all’estorsione innanzitutto sulla
base dell’interessenza altrettanto sicura con il fratello nell’attività commerciale che aveva
rapporti con GRIGOLI, senza peraltro chiarire come l’interesse alle sortì del punto vendita
Despar, nel cui contesto assumeva indubbio rilievo il rapporto debitorio nei riguardi del fornitore
della merce, potesse dimostrare il suo interesse all’acquisizione di una somma che non avrebbe
in alcun modo inciso sulla gestione dell’attività (proprio per l’espressa affermazione di non
compensabilità delle due diverse poste risultante dalle comunicazioni epistolari sequestrate), ma
sarebbe andata a incrementare gli utili della consorteria mafiosa alla quale è dimostrato
processualmente e definitivamente che fosse estraneo.
Ulteriori elementi a carico del ricorrente appaiono individuati dalla Corte di merito nel contenuto
di intercettazioni fra presenti: oggetto della prima era il colloquio fra SORTINO Emanuel ed il
padre Gennaro concernente l’atteggiamento prepotente dei CAPIZZI, che avevano preteso di
coinvolgerli in una protesta nei confronti del GRIGOLI, consistita nella chiusura per qualche
giorno dei loro punti vendita Despar, da cui la Corte di merito ha tratto la convinzione della
condivisione da parte di Carmelo di tutti gli atteggiamenti del fratello nella gestione dell’attività,
non risultando alcuna distinzione fra i ruoli dei due dalla conversazione intercettata dove ci si
riferiva a loro sempre al plurale.
La seconda conversazione considerata determinante dalla Corte di merito sarebbe quella
intervenuta tra CAPIZZI Carmelo e SORTINO Emanuel.
Questi, che si manifestava, seppure forzatamente, in linea con la protesta dei fratelli CAPIZZI (e
la Corte evidenzia come particolarmente significativa l’indicazione dei due senza distinzioni)
veniva invitato dall’interlocutore a telefonare a un certo MESSINA, che lavorava con GRIGOLI,
affinché spiegasse a quello che doveva recarsi di persona a discutere le questioni con loro, e fra
queste, ad avviso della Corte di merito, il CAPIZZI si doveva necessariamente riferire a quella
dei 200milioni di Lire, che era stata individuata come la iniziale pretesa estorsiva.
Osserva il Collegio che gli elementi a carico del prevenuto per come esplicitati dalla sentenza
impugnata non paiono superare quel grado di incertezza già evidenziato da questa Corte in sede
cautelare (Sez. VI, n. 16489 del 2007), soprattutto nel passaggio dalla certezza di una
cointeressenza dì natura commerciale col fratello, alla considerata inequivoca partecipazione alle
sue pretese estorsive, laddove la pretesa dei 200milioni di Lire viene attribuita anche al
prevenuto sulla base dell’affermazione (vogliono 200 milioni) nel colloquio intercettato fra i
SORTINO.
Non è compito del giudice di legittimità valutare se le rilevate lacune motivazionali dipendano, o
meno, da insufficienza degli elementi esistenti negli atti a disposizione per la decisione attesa la
scelta del rito, operazione che è riservata al giudice dì merito il quale, a seguito
dell’annullamento in parte qua della sentenza impugnata, dovrà in sede di rinvio rivalutare la
complessiva posizione di CAPIZZI Carmelo con un compiuto esame di tutte le emergenze
processuali.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte
d’appello di Palermo limitatamente alla posizione di CAPIZZI Carmelo; rigetta il ricorso di
CAPIZZI Giuseppe che condanna al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma il 22 marzo 2013.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA