Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28027 del 21/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 28027 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAPISARDA FRANCESCO STEFANO N. IL 23/09/1971
PIACENTE ANNA N. IL 17/01/1975
avverso il decreto n. 2/2014 CORTE APPELLO di CATANIA, del
30/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PALMA TALERICO;
1ette/soat4e le conclusioni del PG Dott. eczi.-oQa—
LAt.,
o
,C,■,(530,b0

Udit i difensor Avv

Data Udienza: 21/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del 30 giugno 2015, la Corte di appello di Catania confermava
parzialmente quello emesso in data 31.10.2013 dal Tribunale in sede, con il quale era
stata applicata nei confronti di Rapisarda Francesco Stefano la misura di prevenzione
della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per la durata di
anni due e mesi sei, nonché disposta la confisca di beni, limitando quest’ultima agli
immobili siti in Catania in Via S. Giovanni Li Cuti e in Via Spoto intestati alla moglie del

A ragione, quanto alla misura di prevenzione personale nei confronti del Rapisarda,
riteneva che il giudizio di pericolosità sociale qualificata e attuale era stato correttamente
formulato dal primo giudice sulla base delle condanne definitive riportate da costui per
associazione di stampo mafioso, quale appartenente del clan “Sciuto – Tigna” in
posizione di particolare rilievo, nonché per numerosi reati di estorsione, usura e
detenzione e porto illegale di armi, tutti risalenti al 2005 – 2009, dovendosi affermare
che l’acclarata appartenenza del Rapisarda all’associazione di riferimento non poteva
considerarsi venuta meno in base al mero decorso del tempo in assenza di significative
emergenze di segno opposto, non essendo idonea a scalfire tale valutazione neppure
l’intervenuta assoluzione del preposto in ordine a singoli reati di estorsione commessi tra
il dicembre 2007 e l’aprile 2008.
Con riguardo alla misura patrimoniale, premetteva che, nei casi in cui i beni siano
intestati, come nel caso di specie, al coniuge convivente, operava la presunzione di
disponibilità degli stessi in capo al proposto; evidenziava, con riferimento all’immobile
sito in Catania alla Via S. Giovanni Li Cuti, che risultava che la Piacente lo aveva
acquistato nell’anno 2000 dal marito per la stessa somma di C, 8.236,00 da quest’ultimo
versata un anno prima e che tale modifica del titolo di proprietà doveva ritenersi
finalizzata a ottenere una intestazione fittizia dl bene; rilevava, altresì, che non risultava
provato l’effettivo versamento del prezzo di detto immobile dalla moglie al marito e che i
redditi dei coniugi nell’anno 1999 erano complessivamente stati pari a C. 20.217,42
sicché era del tutto evidente la sproporzione tra le disponibilità finanziarie del nucleo
familiare e l’esborso effettuato; con riferimento all’immobile sito in Catania alla Via
Spoto, rilevava che lo stesso era stato acquistato nel 2010 per C. 55.000,00 ma che il
versamento di tale somma era stato effettuato antecedentemente al 4.7.2006, a fronte di
un reddito accertato per entrambi i coniugi pari ad C. 20.679,00 per l’anno 2005 e a C.
23.041 per l’anno 2006, non idoneo a giustificare l’acquisto stesso.
2. Avverso detto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione, con due
distinti atti, il Rapisarda e la Piacente, per il tramite di loro difensori di fiducia e anche
2

predetto, Piacente Anna.

procuratori speciali in relazione della terza interessata, avvocati Salvatore Sterlino e
Vincenzo Trentino.
2.1. Con il primo motivo, il Rapisarda ha denunciato violazione di legge e mancanza
assoluta di motivazione in relazione all’applicazione della misura di prevenzione
personale: il provvedimento impugnato sarebbe censurabile con riferimento al requisito
dell’attualità della pericolosità sociale, in quanto non avrebbe attribuito alcun rilievo
all’intervenuta assoluzione per i fatti estorsivi commessi tra il dicembre 2007 e l’aprile

risocializzazione del Rapisarda che è stato ristretto in carcere per lunghi anni,
beneficiando della liberazione anticipata; il provvedimento sarebbe, inoltre, del tutto
immotivato in ordine alla durata della misura e all’imposizione dell’obbligo di soggiorno,
così come in relazione all’entità della cauzione imposta.
2.2. Gli altri motivi di ricorso, essendo sostanzialmente identici per entrambi i
ricorrenti possono essere sintetizzati nel seguente modo.
2.2. a) Con il secondo motivo contenuto nell’atto di ricorso del Rapiarda e con il primo
motivo contenuto nell’atto di ricorso della Piacente è stato denunciata violazione di legge
e mancanza di motivazione in relazione agli artt. 2 bis, 2 ter, 3 ter della legge n. 575 del
1965 in quanto i provvedimenti di sequestro e confisca sono stati assunti
contestualmente e non con atti distinti e diversificati nel tempo.
In particolare, è stato sostenuto che dalla lettura in chiave sistematica delle varie
norme in materia risulterebbe una necessaria connessione tra sequestro e confisca, come
sarebbe palese dalla circostanza che, secondo le disposizioni legislative, l’ oggetto della
confisca sono i beni sequestrati; ciò delineerebbe un modello procedimentale nel quale la
confisca deve essere proceduta necessariamente dal sequestro, la cui emanazione segna
il dies a quo dal quale calcolare il termine perentorio per l’adozione della misura
ablatoria.
E’ stato, altresì, evidenziato che l’ iter procedirnentale seguito nell’adozione del
decreto impugnato non avrebbe tenuto conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite
nella pronuncia del 13 dicembre 2000, n. 36, Madonia e che, nel caso di specie, il decreto
è stato emesso a distanza di ben quattro anni dalla richiesta di applicazione della misura
di prevenzione personale e patrimoniale e dopo il rigetto, per ben due volte, della
richiesta di sequestro.
2.2. b) Con il terzo motivo contenuto nell’atto di ricorso del Rapisarda e con il
secondo contenuto nell’atto di ricorso della Piacente è stato denunciata violazione di
legge e carenza di motivazione ex art. 2 ter della legge n. 575 del 1965, art. 4, comma
3

2008 e non avrebbe considerato gli effetti del trattamento penitenziario diretto alla

10 della legge n. 1423 del 1956, art. 12 sexies della legge n. 356 del 1992 e art. 649
cod. pen: nel caso di specie, opererebbe il principio di preclusione processuale, in quanto
in data 8.7.2011 il Tribunale del riesame di Catania aveva disposto l’annullamento del
sequestro ai fini di confisca emesso dal GIP del medesimo Tribunale il 31.5.2011, ex artt.
321, comma 2, cod. proc. pen. e 12 sexies legge n. 356 del 1992, sui medesimi immobili
oggetto della confisca di prevenzione (provvedimento ormai definitivo); in detto
provvedimento era stato evidenziato, quanto all’immobile sito in Catania alla Via Li Cuti,

acquisto e, quanto all’immobile sito in Catania alla Via Spoto, che la pubblica accusa non
aveva offerto prova alcuna della disponibilità del bene in capo al Rapisarda e del suo
valore sproporzionato alle capacità reddittuali della famiglia; rispetto a tale decisione
nessun elemento “nuovo”, modificativo della situazione definita, sarebbe intervenuto.
2.2. c) Con il quarto motivo contenuto dell’atto di ricorso del Rapisarda e con il terzo
motivo contenuto nell’atto di ricorso della Piacentg è stata denunciata violazione di legge
e carenza di motivazione per avere il decreto impugnato disposto la confisca dei beni con
motivazione assolutamente inesistente o meramente apparente avuto riguardo alla
intestazione fittizia dei beni confiscati riconducibili alla Piacente: la Corte territoriale non
solo sarebbe pervenuta a conclusioni diametralmente opposte a quelle de Tribunale del
riesame sulla base della medesima documentazione ma, a fronte delle analitiche
deduzioni difensive specificate nella memoria de 23.10.2013, avrebbe omesso qualsiasi
considerazione sul punto.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso questa Corte, d.ssa Paola
Filippi, ha chiesto che il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Rapisarda merita accoglimento limitatamente alla misura personale
sotto il profilo dell’attualità; conseguentemente va disposto l’annullamento del decreto
impugnato con rinvio, per nuovo esame sul punto, alla Corte di appello di Catania.
Va premesso che non v’è dubbio che la pericolosità sociale deve sussistere al
momento della decisione e la detenzione pressoché continuativa per un congruo lasso di
tempo pregresso a essa impone particolare rigore nella valutazione degli indici
sintomatici della sua persistenza.
Ciò posto, il provvedimento impugnato omette completamente di rispondere alla
doglianza concernente la mancata dimostrazione dell’attualità della pericolosità sociale,
argomentata sulla base del perdurante stato di detenzione del proposto, limitandosi ad
affermare che lo stato di detenzione non è incompatibile con il protrarsi della pericolosità.
4

che la Piacente godeva di un reddito sufficiente per affrontare il pagamento del prezzo di

Ma se è vero che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non esiste
incompatibilità, ciò non significa che la detenzione implichi in ogni caso il permanere della
pericolosità.
Inoltre, il provvedimento impugnato omette completamente di rispondere all’altra
doglianza concernente la mancata dimostrazione dell’attualità della pericolosità sociale
argomentata sulla base delle intervenute sentenze assolutorie del Rapisarda per episodi

Anche in relazione a questo aspetto, il provvedimento impugnato manca
completamente di giustificazioni; la semplice affermazione secondo cui “non appare
idonea a scalfire tale valutazione [n.d.r. di pericolosità attuale] l’intervenuta sentenza di
assoluzione […]” è, all’evidenza, del tutto generica; sarebbe stato, invece doveroso da
parte del Giudice della prevenzione esaminare comparativamente tutti gli elementi di
prova che avevano indotto il Giudice penale ad assolvere l’imputato, onde stabilire se la
valenza attenuata del sistema probatorio, propria del processo di prevenzione,
consentisse di affermare la permanenza di indizi tali da suffragare l’attribuibilità di uno di
quei reati al proposto.
Restano assorbiti i motivi relativi alla durata della misura e all’entità della cauzione.
2. Nel resto il ricorso del Rapisarda va rigettato, così come quello proposto
nell’interesse della Piacentg per le ragioni di seguito esplicitate.
2.1. Quanto al comune motivo di ricorso concernente la questione attinente al
rapporto tra sequestro e confisca, si osserva che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, “il sequestro quale misura patrimoniale può essere applicato contestualmente alla
confisca e con un unico atto nel caso in cui non sia necessario svolgere alcun ulteriore
accertamento per disporre la misura ablativa finale della confisca medesima” (Cass. Sez.
1, b. 15964 del 21/03/2013, Rv. 255656).
Come è stato evidenziato nella pronuncia citata, infatti, non è rinvenibile alcun
argomento interpretativo testuale o sistematico idoneo a sorreggere l’assunto difensivo
secondo cui il provvedimento di sequestro deve essere adottato con un autonomo
provvedimento, al quale obbligatoriamente deve fare seguito nel tempo quello della
confisca.
Invero la giurisprudenza di legittimità (tra cui la pronuncia citata nei ricorsi delle
SS.UU. n. 36 del 13/12/2000, Madonia, Rv. 217666), in coerenza con la linea
interpretativa tracciata dalla sentenza delle Corte Costituzionale n. 465 del 1993, ha
riconosciuto come unico limite temporale il termine perentorio di cui alla L. n. 575 del
1965, art. 2 ter, comma 3, nel senso che la confisca dei beni già sottoposti a sequestro e
5

di estorsione commessi tra il dicembre 2007 e l’aprile 2008.

dei quali non venga dimostrata la legittima provenienza deve necessariamente essere
emanata entro un anno, prorogabile di un altro eventuale anno, dal sequestro.
Corollario di tale principio, che non fissa alcuna necessaria cadenza temporale fra le
due misura patrimoniali in esame, è che il sequestro quale misura di prevenzione
patrimoniale, pur svolgendo normalmente una funzione prodromica rispetto alla misura
patrimoniale della confisca, ben può essere applicato unitamente alla confisca e con un
unico atto, allorché, come nel caso in esame, non sia stato ritenuto necessario svolgere

in termini, Cass. Sez. 1 n. 27819 del 27/6/2006, Caracciolo, Rv. 234976).
Solo nei termini anzidetti va pertanto inteso il collegamento fra le misure di
prevenzione patrimoniale del sequestro e della confisca.
2.2. Infondato è anche il comune motivo di ricorso relativo alla preclusione
processuale derivante dalla decisione del Tribunale del riesame di Catania dell’8 luglio
2011 con la quale era stato disposto l’annullamento del sequestro ai fini della confisca
emesso dal GIP dì Catania in data 31.5.2011 ex artt, 321, comma 2 cod. proc. pen. e 12
sexies della legge n. 356 di 1992 caduto sugli stessi immobili oggetto della misura di
prevenzione patrimoniale in questione.
In proposito, occorre osservare che è principio assolutamente pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui in tema di giudicato cautelare, la
preclusione processuale conseguente alle pronunzie emesse, all’esito del procedimento
incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame
o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, ha una portata più
modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo
stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le
questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti di impugnazione
avverso ordinanze in materia di misure cautelari.
2.3. Inammissibile è, invece, l’ultimo motivo di ricorso comune ai due ricorrenti,
indicato in precedenza sub 2. 2. c).
Come ribadito anche di recente dalla Corte Costituzionale investita della questione
(sentenza 16 aprile 2015 n. 106), con richiamo, peraltro, alla giurisprudenza di questa
Corte, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per
violazione di legge.
Da ciò consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei
vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi della contraddittorietà e dell’illogicità
manifesta potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come
6

alcun ulteriore accertamento per far luogo alla misura ablativa finale della confisca (cfr.,

violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, o il caso di motivazione
inesistente ovvero meramente apparente,
Ciò posto, osserva il Collegio che il provvedimento impugnato è adeguatamente
motivato in ordine alla riconducibilità dei beni al preposto sia in relazione alla
sperequazione tra il reddito e il prezzo pagato per l’acquisto di detti beni.
3. Al rigetto del ricorso della Piacente consegue la condanna della predetta al

P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato nei confronti di Rapisarda Francesco Stefano
limitatamente alla misura personale sotto il profilo dell’attualità e rinvia per nuovo esame
alla Corte di appello di Catania; rigetta nel resto il ricorso del Rapisarda; rigetta il ricorso
di PiacenttAnna che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 21 aprile 2016
Il Consigliere estensore

pagamento delle spese processuali.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA