Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28025 del 21/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28025 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TORINO MARIA CARMELA N. IL 05/12/1964
avverso il decreto n. 3/2014 CORTE APPELLO di ROMA, del
03/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PALMA TALERICO;
lette/sPAgite le conclusioni del PG Dott. r)
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 21/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 3 marzo 2015, la Corte di appello di Roma, sezione misure di
prevenzione, dichiarava inammissibile l’impugnazione proposta nell’interesse di Torino
Maria Carmela avverso il provvedimento del Tribunale di Latina in data 6.11.2013, con il
quale era stata respinta l’istanza formulata dalla predetta Torino volta a ottenere la
revoca della confisca di un immobile a lei intestato, disposta, unitamente alla misura di
prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, nei confronti

data 23.12.2010, definitivo dal 16.1.2013.
A ragione della decisione la Corte di appello rilevava che avverso l’indicata ordinanza
pronunciata dal Tribunale di Latina il 6.11.2013 in sede di incidente di esecuzione la
Torino aveva proposto sia il presente gravame sia il ricorso per cassazione (per motivi dal
contenuto pressoché sovrapponibili), deciso con sentenza del 26.9.2014 che ne ha
dichiarato l’inammissibilità; che, in particolare, la Corte di cassazione nella citata
pronuncia aveva affermato: a) che le censure di violazione di legge riferite a parametri
della Convenzione EDU e della Costituzione erano, in fatto, puramente teoriche e
manifestamente infondate; b) che le censure concernenti la motivazione dell’ordinanza
impugnata, in punto di valutazione della non dimostrata legittima appartenenza alla
Torino del bene, erano infondate alla luce della corretta ed esauriente motivazione del
provvedimento, fondata sul corretto rilievo che il dedotto pagamento da parte della
Compagnia di assicurazione di somme asseritamente utilizzate per l’acquisto
dell’immobile in questione era successivo all’acquisto del bene e al versamento del
relativo prezzo, nonché sul rilievo che il risarcimento era stato riscosso dalla Torino quale
procuratore speciale del marito, titolare del diritto al risarcimento e beneficiario del
pagamento; c) che risultavano inammissibili le deduzioni relative alla legittimità
dell’acquisto in capo al coniuge, sottoposto alla misura di prevenzione personale, e alla
esiguità del periodo esaminato dai giudici del merito per valutare la capacità reddituale
del predetto, trattandosi di doglianze estranee alla posizione del terzo che si risolvevano
in una sorta di richiesta di revisione del giudizio nell’interesse del sottoposto alla misura,
peraltro, in contrasto con la prospettata appartenenza del bene alla Torino posto a
fondamento dell’incidente di esecuzione.
Riteneva, quindi, che il provvedimento del Tribunale di Latina non era impugnabile con
ricorso in appello e che, essendo intervenuta l’indicata decisione della Corte di
cassazione, era preclusa ogni statuizione in ordine alla eventuale conversione dell’appello
in opposizione e alla conseguente trasmissione degli atti al Tribunale per l’ulteriore corso.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Torino Maria Carmela,
per il tramite del suo difensore e procuratore speciale, avvocata Simonetta Balducci.
2

del marito, D’Arienzo Ermanno – ritenuto reale proprietario di detto bene – con decreto in

2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, richiamata la pronuncia delle Sezioni Unite nel
procedimento Borrelli (sentenza 30 ottobre 2014, n. 47239), ha sostenuto che “per
economia processuale si chiedeva alla Corte di appello di decidere il secondo grado di
merito, tenuto conto che il costante orientamento giurisprudenziale stabilisce il solo
rimedio del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione” e che
“in difetto la ricorrente dovrà proporre altro incidente di esecuzione per mancata
partecipazione sostanziale alla fase di secondo grado di merito nel procedimento
applicativo che costituisce autonoma violazione degli artt. 6, 7, 1 Prot. 1 – 4 Prot. 7 – 14

2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente ha sostenuto che, secondo la giurisprudenza
CEDU (in particolare, secondo la sentenza Varvara) le misure di prevenzione sono da
considerarsi sanzioni penali e sono sottoposte alle regole del giusto processo e che
l’applicabilità di dette misure a terzi dovrebbe garantire a costoro gli stessi diritti del
proposto con la conseguenza che le norme di cui agli artt. 1 e 5 della legge n.
1423/1956, 2 bis, 2 ter, 3 bis della legge n. 575/1965 risulterebbero in contrasto, tramite
il parametro interposto dall’art. 117 della Costituzione, con la normativa CEDU di
riferimento quale interpretata dalla Corte di Strasburgo.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso questa Corte, dott. Piero
Gaeta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Quanto al primo motivo, il Collegio condivide e fa proprie le puntuali osservazioni
svolte dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, secondo cui, posta la
ricostruzione della storia processuale della vicenda, il richiamo alla sentenza delle Sezioni
Unite nel procedimento Borrelli è “del tutto ultronea e priva di ogni valenza
argomentativa”, atteso che la parte ha già scelto la via dell’incidente di esecuzione e ha
esperito il rimedio giurisdizionale del ricorso per cassazione, deciso con sentenza del 26
settembre 2014, sicché “duplicare tale rimedio impugnatorio e, di più, pretendere che
quello illegittimamente proposto dopo anche presso la Corte di appello sia delibato quale
merito (in secondo grado) del giudizio di prevenzione costituisce, sotto il profilo
procedurale, un’abnormità”.
Anche con riguardo al secondo motivo di ricorso, il Collegio richiama espressamente le
argomentazioni del Procuratore generale, il quale ha osservato che, “al di là
dell’inammissibilità del ricorso che rende la questione di legittimità costituzionale del
tutto irrilevante, […] la confisca oggetto delle sentenza Varvara non è certo quella di
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e 35 CEDU in relazione agli artt. 117, 24, 27 e 111 della Costituzione”.

prevenzione e che dunque in nessun caso i controversi dicta di quella statuizione possono
immediatamente e indiscriminatamente estendersi a una tipologia di confisca del tutto
diversa per natura, presupposti, effetti”.
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto dei motivi e in
difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al
versamento a favore della Cassa delle ammende della somma che la Corte determina

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso, il 21 aprile 2016
Il Consigliere estensore

nella misura congrua ed equa di euro mille.

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