Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28004 del 16/03/2016
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28004 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PASSALACQUA ANTONINO N. IL 18/07/1983
avverso l’ordinanza n. 901/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
03/09/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
leteVsentite le conclusioni del PG Dott. Tg<94,cti, c,0 Uro (9)(Aorix: 2 ( 1. 14•2Lec It2,Co v I20 ) Data Udienza: 16/03/2016 RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 07.07.2015 il GIP del Tribunale di Marsala rigettava la richiesta
avanzata da Passalacqua Antonino - sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria in relazione al delitto di cui all'art. 323 cod.pen. - di
dichiarare cessata l'efficacia della misura cautelare medesima.
Il Passalacqua proponeva appello avverso detta decisione.
Con provvedimento in data 03.09.2015 il Tribunale di Palermo rigettava l'appello: rilevava cautelare aveva avuto inizio in data 16.05.2014 ed era venuta a scadere in data
16.05.2015, considerato che il termine di fase era pari a mesi sei e poteva al più essere
raddoppiato: pertanto, non avrebbe avuto rilievo l'avvenuta emissione del decreto di
giudizio immediato avvenuta in data 27.05.2014 poiché il Giudice avrebbe avuto l'obbligo
di procedere ora per allora.
Il rigetto dell'appello veniva motivato evidenziando che, in ragione della pena edittale, il
termine di fase di cui all'art. 303, comma 1 lett a) n° 2, cod.proc.pen. era pari ad un anno,
decorrente dal dì 16.05.2014, e cioè dall'inizio della misura in atto; tuttavia in data
27.05.2014 era intervenuto il decreto di giudizio immediato e non era ancora decorso il
termine di due anni di cui all'art. 308 cod.proc.pen.
Avverso detta ordinanza propone ricorso l'interessato personalmente. Con il ricorso si
deduce violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod.proc.pen. per erronea
applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione: si evidenzia che il termine di
fase di cui all'art. 303, comma 1 lett .a) n° 2, cod.proc.pen. è pari a sei mesi e non ad un
anno e pertanto, per effetto dell'art. 308 citato, esso era ormai scaduto in data
16.05.2015; inoltre si afferma che, nonostante l'emissione del decreto di giudizio
immediato, la verifica dei termini va effettuata con riferimento ad ogni singola fase
processuale, per cui va dichiarata la revoca ora per allora anche se si sia passati ad una
fase successiva.
Il P.G. ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile poiché manifestamente infondato.
Per come spiegato in precedenza, il ricorrente è sottoposto a procedimento penale in
relazione alla imputazione di cui all'art. 323 cod.pen.; proprio con riferimento a detto
procedimento, al medesimo è stata applicata la misura cautelare dell'obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria e questa misura cautelare ha decorrenza dal dì
16.05.2014; in data 27.05.2014 era stato poi emesso il relativo decreto di giudizio
immediato.
1 il Giudice che l'appello del Passalacqua era fondato sull'assunto secondo il quale la misura Il ricorrente aveva chiesto di dichiarare cessata l'efficacia della misura coercitiva
menzionata, ma la sua istanza è stata rigettata sia dal GIP del Tribunale di Marsala sia dal
Tribunale di Palermo in funzione di giudice dell'appello cautelare.
Il ricorso articola le sue doglianze sulle seguenti argomentazioni: si afferma che la misura
coercitiva applicata aveva una sua durata massima predeterminata (pari
complessivamente ad un anno) e che detta misura era stata ormai superata; di
conseguenza, anche se il procedimento era passato ad una fase successiva (e cioè quella sostenendo che ogni verifica dei termini delle misure cautelari deve effettuarsi con
riferimento ad ogni singola fase processuale, con indifferenza, quindi, per il passaggio a
fasi successive: in ogni caso, scaduto il termine della fase precedente, il giudice dovrebbe
comunque dichiarare cessata l'efficacia della misura cautelare.
Ma si tratta di argomento che non può trovare accoglimento.
Giova rammentare che, nella fattispecie, viene in rilievo - in ragione della tipologia di
reato e della pena edittale prevista - il disposto dell'art. 303, comma 1 lett. a) n° 2,
cod.proc.pen., secondo il quale la durata massima della custodia cautelare è pari a sei
mesi, quando si procede appunto per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della
reclusione superiore nel massimo a sei anni.
La custodia cautelare perde appunto efficacia quando il detto termine decorre, dall'inizio
della sua esecuzione, senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio.
Ma questa norma va raccordata con quanto previsto dall'art. 308 cod.proc.pen., secondo il
quale le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare (come appunto nel caso di
specie) perdono efficacia quando dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di
tempo pari al doppio dei termini previsti dall'articolo 303 citato.
Ne consegue che, nella fattispecie, la misura coercitiva applicata registrava una durata
massima di un anno dall'inizio della sua esecuzione: ma la perdita di efficacia della stessa
era, però, connessa al vano trascorrere di detto termine senza che fosse stato emesso il
provvedimento che dispone il giudizio. Invece, nel caso che occupa, a breve distanza del giudizio immediato), si invoca il principio della scarcerazione «ora per allora», dall'inizio dell'applicazione della misura (e cioè in data 27.05.2014) era stato emesso il
decreto di giudizio immediato.
Questa dato elimina ogni possibilità di accoglimento della prospettazione argomentata dal
ricorrente.
È appena il caso di rammentare che il codice di rito del 1913 introdusse, come importante
innovazione, l'istituto della scarcerazione ope legis per decorrenza del termine che era
limitato, però, solo alla fase istruttoria del procedimento. Detto istituto fu ripudiato dal
codice di rito del 1930, per il quale la libertà personale dell'imputato non aveva tutela
giuridica e la carcerazione preventiva non aveva limiti di sorta. Una prima apertura a
siffatta situazione si ebbe con il D.L. 10.8.44 n. 194 (art. 6) che introdusse termini di
carcerazione preventiva solo per il periodo istruttorio e per i reati meno gravi (per i quali
2 [ era previsto il mandato di cattura facoltativo) e, poi, con la Legge n. 517/1955, la quale
estese l'ambito di operatività della scarcerazione automatica ai reati per i quali era imposta
la cattura sempre, però, nella fase dell'istruzione, per cui la custodia preventiva nella fase
del giudizio continuava a non avere limiti.
Solo a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 64/1970, che enunciò il principio
secondo il quale la detenzione dell'imputato, in ogni fase e grado del giudizio, non può
superare determinati limiti, perché essa rappresenta una deroga al diritto di libertà del 406/1970) si estese l'ambito della scarcerazione automatica ad ogni stato e grado del
procedimento, provvedendo a stabilire i termini della carcerazione preventiva anche per le
fasi successive a quella istruttoria e, cioè, in relazione a tutto l'arco del processo.
La Costituzione indica la libertà del cittadino tra i diritti fondamentali dello stesso (art. 13)
e guarda con sfavore le eventuali, eccezionali, limitazioni di tale diritto e il vigente codice
di rito sembra ispirarsi integralmente a detto principio: la scarcerazione per decorrenza dei
termini tutela un diritto primario, costituzionalmente garantito, ed essa, qualora non sia
stata tempestivamente assicurata, deve essere disposta, senza preclusioni di sorta, in ogni
stato e grado del giudizio.
È noto il principio secondo il quale il termine massimo di durata delle misure diverse dalla
custodia cautelare deve essere rispettato per ogni fase processuale e, pertanto, il giudice
che rilevi il superamento di quel termine, ha l'obbligo di procedere alla revoca ora per
allora. Invero, allorché sia scaduto il termine previsto per una determinata fase
processuale e la misura non sia stata revocata, diviene operante il principio
dell'automaticità della revoca stessa, che impone al giudice l'adozione del provvedimento
dovuto, anche se frattanto il titolo per il mantenimento della misura sia divenuto legittimo,
per essere il procedimento passato alla fase successiva, in cui opera un altro termine (Sez. 1, n° 3669 del 31.10.1990, Rv 186045).
Tuttavia, è necessario precisare che la perdita di efficacia di una misura coercitiva non è
legata alla sola scadenza di un termine, ma al vano decorrere del termine stesso: se,
invece, nel corso del termine, viene emesso il provvedimento che dà inizio ad una fase
successiva, non può invocarsi la scarcerazione in base al principio dell'autonomia dei
termini di fase prefissati dall'art. 303, comma 1, cod.proc.pen.; l'imputato ha diritto alla
scarcerazione soltanto per il decorso inutile e vuoto del termine massimo proprio della fase
e grado in cui pende il procedimento e non già per la scadenza del termine eventualmente
verificatosi in una fase e grado antecedenti e ormai conclusi perché, una volta definita una
delle fasi previste dal citato art. 303, la durata della custodia cautelare in detta fase non
espande i suoi effetti in quella successiva, la quale è governata da altro autonomo termine
massimo, fermo restando che la stessa ha rilievo ai fini della maturazione del termine
complessivo. 3 cittadino che costituisce invece la regola, con il D.L. n. 192/1970 (convertito nella Legge n. Nella fattispecie, il ricorso si incentra esclusivamente sul termine antecedente
all'instaurazione della fase del giudizio di cognizione e sostiene che, una volta comunque
decorso il termine massimo di quella fase primaria, la misura cautelare perderebbe
efficacia anche se il processo fosse ormai passato ad una fase successiva: ma così non è,
per come visto in precedenza.
Ed allora occorre prendere atto che, pur essendo - in via astratta - possibile la
scarcerazione "ora per allora", questa in concreto va disposta soltanto quando i termini di l'emissione del provvedimento che disponeva il giudizio immediato era stata effettuata
quando il primo termine certamente non era scaduto.
Ogni provvedimento dichiarativo di una perdita di efficacia è perciò precluso in relazione al
ricorso, il quale mostra la sua infondatezza manifesta, che ne determina l'inammissibilità.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai sensi dell'art. 616
cod.proc.pen., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e,
in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento a favore della Cassa
delle Ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il minimo e il
massimo previsti, in Euro 1.000,00. P.Q.M Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 16 marzo 2016. carcerazione siano decorsi invano: ciò non si è verificato nel caso di specie, poiché