Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28001 del 16/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28001 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LANOTTE GIACOMO N. IL 06/08/1982
avverso l’ordinanza n. 1118/2015 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
07/09/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 16/03/2016

Il Pubblico Ministero, in persona del Francesco Mauro Iacoviello,
Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 settembre 2015, il Tribunale di Bari, adito

proposta da Lanotte Giacomo avverso l’ordinanza di custodia cautelare in
carcere emessa nei suoi confronti, il 5 agosto 2015, dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Trani. Secondo l’impostazione
accusatoria, recepita dai giudici del merito, sussistevano a carico del
prevenuto gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di tentato
omicidio aggravato in danno di Ventura Pasquale e di detenzione di arma
comune da sparo, finalizzato a commettere l’altro reato, in Barletta, in
concorso con altri, il 20 gennaio 2015.
In particolare, Di Matteo Concetta,

ex coniuge del Ventura,

avrebbe commissionato, pattuendo un compenso di euro 20.000,00,
l’omicidio dell’ex marito Ventura Pasquale a Belliu Artan, che per eseguire
il mandato si sarebbe avvalso di Kamberi Igli e Lanotte Giacomo. Questi
ultimi due, con il volto travisato e a bordo di una motocicletta, avrebbero
raggiunto Ventura Pasquale in strada, puntandogli contro un’arma da
fuoco mentre egli stava per entrare sulla propria autovettura. Il Ventura
sarebbe riuscito a fuggire e il Lanotte avrebbe sparato contro di lui due
colpi di pistola, senza colpirlo.
Il compendio indiziario si basava, soprattutto, sulle riprese di
telecamere di sorveglianza, su intercettazioni di conversazioni, sulle
dichiarazioni rese da Pellizzieri Maurizio, aspirante collaboratore di
giustizia che affermava di aver saputo da Kamberi Igli, mentre erano
entrambi detenuti nel carcere di Trani, del coinvolgimento del Lanotte
nell’episodio criminoso.
Sussistevano, inoltre, in considerazione della gravità del fatto,
esigenze cautelari che, avuto riguardo alla inaffidabilità della personalità
del prevenuto rivelata dalle modalità del fatto, rendevano necessaria la
custodia in carcere, poiché tutte le altre misure, compresa quella degli
arresti domiciliari con braccialetto elettronico, si fondano
sull’autocontrollo di chi vi è sottoposto.

2

ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., rigettava la richiesta di riesame

2. L’avv. Cataldo Torelli, difensore del Lanotte, ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo difetto, illogicità e contraddittorietà della
motivazione. L’ordinanza impugnata non ha fatto applicazione dei principi
in materia di valutazione della chiamata in correità e di esigenze
cautelari, e non ha considerato che mancano gli elementi per qualificare il
fatto come tentato omicidio, sia per la mancanza di pericolo di vita del
Ventura, sia per l’inidoneità dei mezzi utilizzati. A differenza di quanto

anche rilevata l’insussistenza di esigenze cautelari. In subordine, si nota
che alla Di Matteo sono stati concessi gli arresti domiciliari e questi
possono essere disposti nei confronti del Lanotte anche prevedendo il
braccialetto elettronico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato. Il Tribunale ha
attentamente analizzato le risultanze disponibili ed è pervenuto senza
incorrere in alcun errore di diritto ad affermare la sussistenza di gravi
indizi di colpevolezza in ordine ai reati ipotizzati e di esigenze cautelari.
Lo sviluppo argomentativo della motivazione posta a supporto
dell’ordinanza impugnata, esauriente ed immune da vizi logici, è basato
su una coerente analisi critica degli elementi disponibili e sulla loro
coordinazione in un organico quadro interpretativo. Detta motivazione,
quindi, supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui
sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica
e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento delle
circostanze fattuali.
Di contro, il ricorso non centra specificamente, in chiave critica, la
ratio dell’ordinanza, perché si limita a proporre, con le doglianze

sinteticamente elencate supra, valutazioni di elementi di fatto che
risultano espressamente già considerati dal Tribunale o, comunque,
pienamente superati dalle assorbenti osservazioni del provvedimento,
anch’esse brevemente ricordate.
In definitiva, le censure formulate nell’interesse del ricorrente,
riguardanti la valutazione del compendio indiziario posto a fondamento
del provvedimento impugnato, non possono trovare accoglimento, perché
si risolvono in richieste di analisi critiche esulanti dai poteri di sindacato
del giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento

3

ritenuto dal Tribunale, nel ricorso avverso l’ordinanza genetica era stata

Trasmessa copia ex art.23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma,
motivazionale, nella sua completezza, né manifestamente illogico, né
viziato da non corretta applicazione della normativa. In proposito, va
ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema di misure
cautelari, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito
riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può
essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre non sono

risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
già esaminate da detto giudice. In concreto, il ricorrente contesta

«nel

merito» il quadro probatorio a carico, fondato sul risultato delle indagini
svolte, evidenziato nel provvedimento genetico e in quello impugnato.
Nella predetta ordinanza, poi, sono adeguatamente rassegnate le
ragioni che giustificano la misura cautelare più rigorosa, unica idonea a
contenere il pericolo di recidiva, alla luce dell’allarme sociale rivelato dalla
personalità dell’indagato, caratterizzato da indole violenta comprovata
dalle modalità del fatto.

2. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla
Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla
Cassa delle Ammende. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria,
copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi
dell’art. 94, co. 1 ter, disp. att. c.p.p.

Così deciso in Roma il 16 marzo 2016.

ammesse le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si

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