Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28000 del 16/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28000 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIRAVOLO MASSIMO N. IL 13/10/1976
VISCUSO CARLO N. IL 03/09/1956
avverso l’ordinanza n. 1584/2015 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
12/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/awati.te le conclusioni del PG Dott. TZ,.)24-ceiboo

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Data Udienza: 16/03/2016

RILEVATO IN FATTO
Si legge negli atti di cui al ricorso che, in data 23.01.2014, un controllo di polizia in un
terreno di pertinenza dei fratelli Viscuso Carlo e Viscuso Vincenzo (nel territorio catanese)
portava al sequestro di armi (un fucile mitragliatore, una bomba a mano ed una pistola
semiautomatica oltre a munizioni), di 240 grammi di cocaina e di un bilancino di
precisione. I fratelli Viscuso venivano arrestati e chiarivano che il terreno era nella
disponibilità del loro nipote Giovanni Di Mauro, cui si estendeva l’arresto. In seguito, sulla

con i rispettivi familiari si intuiva che nel fondo vi erano altre armi, sfuggite al sequestro e
non più rinvenute: veniva così elevata a carico dei predetti una seconda contestazione di
detenzione illegale di armi, giacchè si trattava di armi differenti da quelle sequestrate e la
contestazione si estendeva anche a Massimo Ciravolo, nipote del Viscuso carlo.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania chiedeva l’applicazione della
custodia cautelare in carcere anche per detta contestazione, ma il GIP del Tribunale di
Catania rigettava la richiesta poiché, pur ritenendo che il quadro complessivo fosse
allarmante e che il Viscuso Carlo ed il Ciravolo avessero dimostrato una certa
spregiudicatezza, tuttavia non ravvisava attuali e concrete esigenze cautelari.
Il P.M. proponeva appello, rilevando che dette esigenze erano attuali, atteso che le armi in
questione non erano state ancora rinvenute e quindi ancora circolavano grazie alla
condotta del Viscuso Carlo che si era servito del Ciravolo; inoltre si assumeva non essere
stato motivato il ritenuto affievolimento delle esigenze medesime.
Con ordinanza in data 12.11.2015 il Tribunale di Catania accoglieva l’appello del P.M.:
venivano esaminati in dettaglio i dialoghi intercettati in carcere tra diversi familiari del
Viscuso Carlo, ponendo in evidenza che molti di essi (specificamente indicati in
motivazione), facevano evidente riferimento ad armi, a nascondigli, alla consapevolezza
della natura illecita della detenzione delle predette, alla necessità di procedere ad ulteriori
nascondimenti e di cancellare le tracce del possesso. Nei dialoghi si parlava di fucili, del
timore che un metal detector avvertisse armi nascoste nel terreno: il Ciravolo rassicurava
lo zio circa il fatto di avere provveduto a spostare armi ed il Viscuso Carlo, fra l’altro,
esprimeva la sua soddisfazione per un’arma molto pericolosa sfuggita alle ricerche, poiché
essa gli avrebbe fatto riportare una pena elevatissima. Il Tribunale rilevava che il
contenuto dei dialoghi era evidente e manifestava la piena consapevolezza dei due
indagati circa l’illecito in atto: il Viscuso sapeva delle armi detenute dal Di Mauro e,
continuando a nasconderle, le deteneva per lui mentre il Ciravolo emergeva come uno dei
pochissimi che conoscevano il punto esatto dove le altre armi erano state nascoste (ciò
escludeva la possibilità di parlare di favoreggiamento, poiché egli contribuiva ad un delitto
ancora non cessato, divenendone vero e proprio concorrente). Il Giudice così divergeva dal
GIP sulla sussistenza di esigenze cautelari, considerata la spregiudicatezza degli indagati,
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base dell’intercettazione dei colloqui tenuti da Viscuso Carlo e Giovanni Di Mauro in carcere

la loro spiccata capacità criminale, la persistente volontà di sottrarre le armi alle ricerche
della polizia giudiziaria: e si notava l’esistenza di legami parentali fra gli indagati e soggetti
gravitanti nell’ambito della criminalità organizzata, per conto dei quali con ogni probabilità
le armi erano detenute e mantenute in circolazione; ad ogni modo, si prendeva atto che al
Viscuso, in relazione alla prima contestazione, erano stati concessi gli arresti domiciliari
per ragioni di salute e che il Ciravolo aveva ricoperto un ruolo accessorio: così si
ritenevano gli arresti domiciliari adeguati alla situazione per entrambi gli indagati.

entrambi erronea applicazione della legge in relazione alla sussistenza di esigenze
cautelari: si sostiene che la notizia di reato era divenuta nota tra il gennaio ed il marzo
2014, per cui era singolare la richiesta di misura cautelare avanzata diversi mesi dopo,
quando dovevano ritenersi affievolite le esigenze di cautela; nel dettaglio, il Viscuso
sostiene che non sapeva cosa il Di Mauro detenesse nel terreno e che il Ciravolo, durante i
colloqui in carcere, voleva soltanto consolarlo e rasserenarlo: il Ciravolo sostiene che
comunque ogni sua azione non era altro che estrinsecazione del fine di favorire lo zio al di
fuori di ogni altro scopo. I due ricorsi deducono poi erronea applicazione di legge circa la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: si afferma che alle conversazioni intercettate
non ha fatto seguito alcun altro riscontro, giacchè la seconda perquisizione non aveva
rinvenuto nulla; il Viscuso insiste sul fatto di ignorare cosa detenesse il nipote Di Mauro,
credendo che fosse sostanza stupefacente.
Il P.G. ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi vanno rigettati poiché infondati.
La vicenda processuale è stata supra sintetizzata, per cui appare opportuno evitare inutili
ripetizioni. Sia sufficiente evidenziare che una prima operazione di polizia giudiziaria aveva
condotto al rinvenimento di armi, munizioni e sostanza stupefacente nel terreno di
pertinenza dei fratelli Viscuso Carlo e Vincenzo; in seguito, alla stregua delle conversazioni
intercettate in carcere tra il Viscuso Carlo e Ciravolo Massimo, si comprendeva che nel
terreno erano state nascoste altre armi, sfuggite alle ricerche ed al sequestro: in relazione
alla nuova ed ulteriore contestazione il Tribunale di Catania, in sede di appello del P.M ex
art. 310 cod.proc.pen., aveva applicato ai due predetti Viscuso Carlo e Ciravolo gli arresti
domiciliari, ritenendo sussistere tanto i gravi indizi di colpevolezza quanto le esigenze
cautela ri .
I ricorsi dei due interessati contengono i medesimi argomenti e si articolano,
sostanzialmente, in due doglianze: 1) insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; 2)
insussistenza di esigenze cautelari.

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Avverso detta ordinanza propongono ricorso gli interessati personalmente, deducendo

§ 1. In ordine alla prima doglianza, i ricorsi sottolineano che, al di là delle conversazioni
intercettate, non vi sarebbero altri elementi probatori a riscontro, atteso che non erano
mai state rinvenute le altre armi di cui alla nuova contestazione ed atteso che non vi
sarebbe una contezza certa dell’argomento delle conversazioni stesse.
Ma sono prospettazioni che non possono trovare accoglimento.
Invero alle indicazioni di reità provenienti da conversazioni intercettate non si applica il
canone di valutazione previsto dall’art. 192 cod.proc.pen., comma 3, per cui esse non

perché non sono assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la
persona imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi
all’autorità giudiziaria (Sez. 4, n° 31260 del 04.12.2012, Rv 256739). Per esse vale invece
la regola generale del prudente apprezzamento del giudice, che, nella fattispecie, è stato
debitamente esercitato sottoponendo a vaglio critico l’intero complesso delle conversazioni
captate.

Ergo, la non applicabilità della norma di cui all’art. 192, comma 3, del codice di rito vale ad
escludere che – dinanzi ad una intercettazione – sia in linea di principio necessario rinvenire
riscontri di carattere esterno: le accuse tratte dal contenuto di un colloquio intercettato
hanno valenza di indizio, e come tali richiedono una corretta valutazione da parte del
giudice; su un piano generale, infatti, richiamando anche nella materia de qua le nozioni di
cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., è stato segnalato che «gli indizi raccolti nel
corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della
colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri
elementi esterni, qualora siano: a) gravi, cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi
attendibili e convincenti; b) precisi e non equivoci, cioè non generici e non suscettibili di
diversa interpretazione altrettanto verosimile; c) concordanti, cioè non contrastanti tra loro
e, più ancora, con altri dati o elementi certi» (Sez. 6, n. 3882 del 04/11/2011, Rv
251527).
Respinta dunque la prospettazione della necessità di trovare riscontri a quanto captato, va
precisato – con riferimento alle questioni sul contenuto delle conversazioni – che, quanto
alla portata dei colloqui medesimi, anche in ordine alla significatività che il Tribunale di
Catania ne ha ricavato in ordine al ruolo dei ricorrenti nei fatti delittuosi in rubrica, è
necessario qui ribadire che «costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva
competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle
conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non
nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono
recepite» (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv 257784); gli stessi principi risultano
ribaditi anche con riguardo all’esegesi del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati,
per quanto criptico o cifrato (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso). Tale consolidato
orientamento ha ricevuto recente e definitivo avallo anche da parte delle Sezioni Unite di

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devono essere corroborate da altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità,

questa Corte (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar), mentre la possibilità di
prospettare una interpretazione del significato di un colloquio intercettato, diversa da
quella proposta dal giudice di merito, è stata affermata «solo in presenza del travisamento
della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in
modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile» (Sez. 5, n.
7465 del 28/11/2013, Rv 259516).
Nel dettaglio, il giudice ha precisato in modo analitico le conversazioni dalle quali sono

esplicito al fatto che la polizia giudiziaria era tornata sul terreno, ma non aveva trovato
nulla, e così si concludeva per la necessità di spostare le “giare” ed i “motorini” (in
contraddizione con il fatto che non vi sarebbe stato nulla di illecito nel terreno); ed ancora
si cita la conversazione in data 11.02.2014 nella quale il Viscuso Carlo si raccomandava di
eliminare ogni cosa da una certa vettura, con insistenza più che sospetta; ed ancora la
conversazione in data 17.02.2014 nella quale il Viscuso Carlo mostrava di essere ad esatta
conoscenza di quanto occultato dentro una vettura ed ordinava di eliminare tracce, mentre
riceveva rassicurazioni su come il Ciravolo si era impegnato ad eseguire i suoi ordini; ed
ancora la conversazione in data 04.04.2014 nella quale emergeva con parole in equivoche
la consapevolezza della custodia dei fucili e persino il compenso che il Viscuso Carlo
percepiva come custode delle armi da parte di altri; ed ancora la conversazione in data
08.04.2014 nel corso della quale il Viscuso Carlo mostrava non soltanto di sapere di quali
oggetti si trattasse, ma anche di sapere che per uno di essi – in caso di rinvenimento avrebbe subìto una pena elevatissima. Il giudice concludeva trattarsi di dialoghi dal
significato chiarissimo e da essi faceva derivare gli indizi sul coinvolgimento dei due
indagati: in particolare, il giudice sottolineava che il Viscuso Carlo, lungi dall’equivocare
sulla natura degli oggetti nascosti, ben sapeva trattarsi di armi poiché ne aveva una
continuativa disponibilità e ben sapeva che erano armi differenti da quelle già rinvenute
dalla polizia giudiziaria; quanto al Ciravolo, sottolineava il giudice come le conversazioni
intercettate avessero evidenziato il suo impegno nello spostamento delle armi in luoghi
sicuri, così dimostrando il suo potere di disposizione sugli oggetti nascosti; peraltro,
sottolineava il giudice che il Ciravolo era sostanzialmente l’unico a conoscere l’ubicazione
del nuovo nascondiglio, così dimostrando di concorrere nel reato e non di essere un mero
favoreggiatore.
Questa conclusione è corretta: il reato di favoreggiamento non è configurabile con
riferimento alla illecita detenzione di armi, in costanza di detta detenzione, perché, nei
reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la
condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un
concorso nel reato, quanto meno a carattere morale.
§ 2. In ordine alle esigenze cautelari, i ricorrenti denunziano la risalenza nel tempo delle
condotte delittuose ed insistono sulla mancata conoscenza della natura degli oggetti
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tratti elementi indiziari: così, si cita la conversazione del 06.02.2014 in cui si fa cenno

nascosti oppure, nel caso del Ciravolo, nel contenuto soltanto consolatorio delle notizie
portate nei colloqui in carcere.
Anche questi argomenti vanno respinti.
In primo luogo si deve richiamare quanto sopra riportato dalla ordinanza impugnata: il
giudice ha motivato diffusamente sulla piena consapevolezza della natura di armi degli
oggetti nascosti e sul ruolo svolto dal Ciravolo.
In secondo luogo, quanto all’elemento temporale, non vi è dubbio sulla validità del

trascorso dalla commissione del reato impone al giudice di motivare sotto il profilo della
valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra
tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza
temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari.
Tuttavia va segnalato, da un lato, che il giudice ha ben posto in evidenza che fatti avvenuti
nell’anno 2014 ancora non potevano dirsi “risalenti” nel tempo; e, d’altro lato, che è stato
sottolineato come il reato stesso non ha ancora ultimato le sue conseguenze, giacchè
quella che il Tribunale definisce come la <

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