Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 280 del 05/12/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 280 Anno 2018

Presidente: SAVANI PIERO

Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da

R.T.

E.P.

avverso l’ordinanza del 12/05/2017 del Tribunale di Macerata

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone

Perelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammisibilità dei ricorsi

DEPOSITATA IN CK4(_:ELLERIA

– 9 GEN 2018

Data Udienza: 05/12/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 maggio 2017, il Tribunale di Macerata ha disatteso

la richiesta di riesame proposta da R.T. e E.P. avverso il decreto adottato dal pubblico ministero alle ore

14.36 del 31 marzo 2017 di convalida delle operazioni di perquisizione locale e

sequestro probatorio effettuate dalla polizia giudiziaria con verbale del 30 marzo

giorno successivo alle ore 12.30. Osservando incidentalmente che il decreto

impugnato era stato tardivamente depositato in data 3 aprile 2017, il tribunale

ha ritenuto, in motivazione, inammissibile la richiesta di riesame confermando

poi il sequestro, in base al principio di diritto secondo cui nel caso di richiesta di

riesame di sequestro probatorio eseguito dalla polizia giudiziaria nel corso di una

perquisizione delegata che abbia genericamente ordinato di sequestrare cose

pertinenti al reato senza che si sia poi provveduto alla convalida, l’interessato

deve richiedere la restituzione delle cose al pubblico ministero con facoltà di

proporre opposizione avanti al g.i.p. in caso di diniego. Ha poi ulteriormente

osservato il Tribunale che, nel caso di specie, la convalida della perquisizione e

del sequestro non sarebbe risultata necessaria perché le operazioni erano

avvenute in forza di un decreto di perquisizione e sequestro adottato dallo stesso

pubblico ministero in data 24 marzo 2017 nel quale erano sufficientemente

individuati i beni da sottoporre a vincolo e che non potevano prendersi in

considerazione in sede di riesame eventuali vizi afferenti al luogo dove la

perquisizione fu effettuata, trattandosi di censure che non potrebbero formare

oggetto di un giudizio di riesame.

2. Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame propongono ricorso, a

mezzo del difensore, R.T. e E.P.,

lamentando innanzitutto violazione di legge per aver il tribunale – con richiamo

ad una giurisprudenza non conferente al caso di specie – ritenuto inammissibile

l’istanza di riesame pur riconoscendo la lamentata illegittimità, per vizio

procedurale, del decreto di convalida del sequestro impugnato.

Ci si duole, altresì, del fatto che il tribunale abbia ritenuto non necessaria,

nel caso di specie, la convalida del sequestro, così invadendo le prerogative del

magistrato requirente, il quale a ragion veduta avrebbe ritenuto di agire in tal

modo posto che una parte dei sequestri di fatto compiuti dalla polizia giudiziaria

sarebbe avvenuta travalicando i confini dell’originario decreto. In particolare, ciò

sarebbe accaduto per le cose sequestrate alla ricorrente R.T. presso il suo

2

2017, ore 7.20, depositato nella segreteria della Procura della Repubblica il

domicilio di Notaresco, via Del Gallo n. 5, posto che il pubblico ministero aveva

nei suoi confronti disposto la perquisizione soltanto presso l’abitazione di

Notaresco, via Alcide De Gasperi n. 23/A. Ed invero — si osserva in ricorso benché il decreto emesso dal pubblico ministero estendesse la perquisizione ad

“ogni altro luogo” che fosse risultato, “nel corso delle operazioni, nella

disponibilità, anche fattuale” dei destinatari del provvedimento, l’indirizzo di via

Del Gallo sopra citato non sarebbe stato individuato dalla polizia nel corso delle

operazioni, essendo ad essa noto (e quindi anche al pubblico ministero) sin dalla

luogo tra quelli da perquisire, si sarebbe dunque trattato di una scelta

consapevole, ciò che ulteriormente dimostrerebbe la necessità di una convalida

della perquisizione e del conseguente sequestro, non legittimati dall’originario

provvedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Secondo una consolidata giurisprudenza che deve qui essere ribadita,

la disposizione di cui all’art. 355, comma 2, cod. proc. pen. dev’essere

interpretata nel senso che l’omessa convalida da parte del pubblico ministero del

sequestro eseguito ad iniziativa della polizia giudiziaria, nel termine perentorio

ivi indicato, ne determina l’inefficacia, con conseguente obbligo di provvedere

alla restituzione delle cose sequestrate (Sez. 3, n. 9858 del 21/01/2016, Yun,

Rv. 266465; Sez. 3, n. 8433 del 03/02/2011, Matarrese, Rv. 249395).

Il termine, secondo altro consolidato orientamento, non va verificato con

riferimento alla data (e all’ora) che risulta sul decreto, bensì, se diversa, da

quella apposta sullo stesso provvedimento dal segretario che ne certifica il

deposito, con il quale soltanto l’atto acquisisce giuridica esistenza (cfr. Sez. 2, n.

19309 del 15/04/2015, Paregiani, Rv. 263535; v. anche Sez. 5, n. 17108 del

21/10/2014, Bosio, Rv. 264067).

Detto termine, poi, decorre non già dallo spirare delle 48 dall’esecuzione

del sequestro — di talché sarebbe sufficiente che la convalida intervenga entro 96

dalla stessa (ciò che nel caso di specie, salva la valutazione dell’ora, potrebbe

essersi verificato) – bensì dalla trasmissione del relativo verbale al pubblico

ministero, sempre che lo stesso sia stato a sua volta tempestivamente

trasmesso nelle 48 ore successive all’esecuzione. Non può darsi continuità, di

fatti, all’orientamento affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui

detto termine di quarantotto ore, non decorrerebbe dal ricevimento del verbale

di sequestro che la polizia giudiziaria deve trasmettere entro quarantotto ore

dalla esecuzione del sequestro a norma dell’art 355, 10 comma, cod. proc. pen.,

3

pregressa fase delle indagini. Non avendo il magistrato inquirente inserito tale

poiché, per l’emissione del provvedimento di convalida, i termini previsti dalle

citate disposizioni dovrebbero sommarsi (cfr. Sez. 5, n. 9258 del 13/01/2009,

Zhang, Rv. 242999; Sez. 3, n. 3420 del 11/10/1995, Corsaro, Rv. 203305).

Ed invero, la conseguenza secondo cui la violazione dei termini previsti

dall’art. 355 cod. proc. pen. determina l’inefficacia del sequestro, benché non

espressamente prevista dalla disposizione, è l’unica interpretazione

costituzionalmente conforme, come ha affermato la Corte costituzionale nella

sent. 1 aprile 1993, n. 151, che ha ricondotto la fattispecie alla previsione di

conseguenti a perquisizione domiciliare (qual è, peraltro, il caso di specie). Nella

suddetta decisione – va rilevato – la Corte ha interpretato la norma procedurale

di garanzia costituzionale nel senso che il termine di 48 ore per la convalida

decorra dal ricevimento del verbale di sequestro da parte della polizia. Si tratta,

del resto, di interpretazione che trova espressa conferma in altre disposizioni del

codice di rito che hanno tradotto in norme processuali le medesime garanzie

costituzionali (v. art. 391, comma 7, ult. parte, cod. proc. pen per la convalida

dell’arresto e del fermo; art. 321, commi

3-bis e 3-ter, c.p.p. in materia di

sequestro preventivo). Non v’è ragione, dunque, di non dare all’art. 355 cod.

proc. pen. la stessa interpretazione costituzionalmente orientata.

2. Appurato, dunque, che nel caso di specie il decreto di convalida di

sequestro emesso dal pubblico ministero è da ritenersi inefficace perché

intervenuto oltre 48 dopo la trasmissione del verbale di sequestro da parte della

polizia giudiziaria – come, peraltro, ha ritenuto lo stesso Tribunale del riesamecorrettamente, a pag. 3 del provvedimento impugnato, se ne fa discendere

l’inammissibilità della richiesta di riesame, sia pur con il richiamo ad una

giurisprudenza di legittimità non del tutto pertinente al caso di specie, essendo

state indicate decisioni relative al caso di mancata convalida del sequestro

eseguito d’iniziativa della polizia giudiziaria. Alla medesima conclusione – reputa

il Collegio – deve tuttavia giungersi laddove il sequestro sia divenuto inefficace

per convalida tardiva.

Come si è sopra argomentato, di fatti, l’inefficacia del sequestro eseguito ad

iniziativa della polizia giudiziaria che sia stato tardivamente convalidato discende

dalla legge e non necessita, pertanto, di pronuncia costitutiva di annullamento

da parte del tribunale del riesame, ben potendo l’interessato dedurne l’inefficacia

in sede di richiesta di restituzione dei beni rivolta allo stesso pubblico ministero

ai sensi dell’art. 263, comma 4, cod. proc. pen., con possibilità, in caso di rigetto

dell’istanza, di ottenere tutela avanti al g.i.p. a norma dell’art. 263, comma 5,

cod. proc. pen.

4

garanzia di cui all’art. 13 Cost., richiamata dall’art. 14 Cost. per i sequestri

Deve al proposito rilevarsi che il procedimento di riesame di cui all’art. 324 come peraltro espressamente attestato dall’intitolazione del Capo III, del

secondo titolo del quarto libro del codice di rito – costituisce un mezzo

d’impugnazione, sicché, in quanto applicabili, valgono le norme generali al

proposito previste dal nono libro dello stesso codice, tra cui quella a mente della

quale «per proporre impugnazione è necessario avervi interesse» (art. 568,

comma 4, cod. proc. pen.), interesse che, secondo un consolidato orientamento,

dev’essere connotato da concretezza ed attualità (cfr.,

ex multis, Sez. 3, n.

Habour, Rv. 269875). Laddove, dunque, l’ordinamento preveda altro rimedio per

soddisfare la pretesa che si intende azionare – vale a dire la semplice richiesta di

restituzione dei beni – il riesame (avverso un decreto di convalida inefficace) è

inammissibile per difetto d’interesse ed è del pari inammissibile, per la medesima

ragione, oltre che per manifesta infondatezza sul punto, il ricorso per cassazione

proposto avverso il provvedimento negativo reso dal tribunale del riesame.

La decisione in rito esclude ogni esame di questioni di merito, che il

Tribunale ha nel caso di specie effettuato

ad abundantiam

(“per mera

completezza argomentativa”, si legge nel provvedimento) senza che fosse

necessario e senza che dalle stesse possa sorgere alcun effetto preclusivo,

trattandosi di questioni che dovranno essere vagliate nell’eventuale

procedimento da promuoversi ai sensi dell’art. 263 cod. proc. pen.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza

Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non

sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza

versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a

norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del

procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende

della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento

delle spese processuali e della somma di C. 2.000,00 in favore della Cassa delle

Ammende.

Così deciso il 05/12/2017.

37450 del 11/04/2017, Macchi, Rv. 270542; Sez. 6, n. 16535 del 26/01/2017,

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