Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27996 del 16/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27996 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FURLAN LICIA N. IL 13/07/1964
avverso il decreto n. 804/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di TRIESTE,
del 17/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/senti-te le conclusioni del PG Dott. EVI zJeo

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i ( <1244444-2)22 .u,k4R.o_. ,-14, c'et. r"1 Data Udienza: 16/03/2016 RILEVATO IN FATTO In relazione alla pena inflitta con la sentenza in data 05.02.2013 della Corte di Appello di Trieste, la condannata Furlan Licia aveva avanzato istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione Con decreto in data 17.11.2014 il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste ha dichiarato inammissibile la suddetta richiesta, rilevando che la condannata non aveva indicato, nella sua istanza, il suo domicilio né lo aveva eletto in alcun modo, non di cui all'art. 677, comma 2 bis, cod.proc.pen. e la natura personale e non delegabile di tale dichiarazione od elezione. Avverso detto decreto propone ricorso l'interessata a mezzo del suo difensore, deducendo, come primo motivo, ex art. 606, comma 1 lett. b), cod.proc.pen. l'erronea applicazione della legge penale e sostenendo che l'istanza era stata presentata dal difensore di fiducia e conteneva tutte le indicazioni occorrenti: pertanto, la richiesta di un atto ulteriore sottoscritto dalla parte veniva definita come un formalismo superfluo. Come secondo motivo si deduce ex art. 606, comma 1 lett. c), cod.proc.pen. l'inosservanza dell'art. 161 cod.proc.pen.: si rileva che il decreto impugnato era stato notificato al difensore ex art. 161, comma 4, cod.proc.pen. mentre non si riscontrava un atto privo delle indicazioni del domicilio, che era riportato nella istanza ed era noto all'Ufficio. Il P.G. chiede l'annullamento senza rinvio del decreto impugnato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso deve essere rigettato perché infondato. Per come visto sopra, la ricorrente aveva richiesto la concessione di una misura alternativa alla detenzione al fine di espiare la pena a lei inflitta con la sentenza in data 05.02.2013 della Corte di Appello di Trieste. Tuttavia la richiesta è stata dichiarata inammissibile con decreto del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste, ex art. 666, comma 2, cod.proc.pen: nel provvedimento si rileva che la condannata non aveva mai indicato né eletto il proprio domicilio, incorrendo, pertanto, nella causa di inammissibilità prevista espressamente dal comma 1 bis dell'art. 677 cod.proc.pen. Il ricorso dell'interessata si articola fondamentalmente nella contestazione della necessità di una dichiarazione formale proveniente dalla interessata, insistendo sulla validità delle indicazioni fornite nella richiesta dal difensore di fiducia e reputando ogni ulteriore specificazione come una superflua formalità. Ma queste ragioni di doglianza non possono trovare accoglimento. 1 comunicando il luogo in cui intendeva ricevere comunicazioni; così si richiamava il disposto La giurisprudenza di questa Corte è pressoché unanime nel ritenere la dichiarazione od elezione di domicilio di cui all'art. 677, comma 2bis, cod.proc.pen., come un atto personalissimo che può essere fatto soltanto dal condannato (Sez. I, 19 febbraio 2004, n. 9678, Rv 227233) e, quindi non delegabile al difensore e nel ritenere, altresì, che tale onere sussiste non soltanto nel caso di istanza presentata personalmente dal condannato, ma anche quando l'istanza sia presentata dal difensore (Sez. I, 16 marzo 2004, n. 23900, Feltre, non massimata), poiché la dichiarazione o l'elezione di domicilio da parte Va osservato che il procedimento di sorveglianza è regolato, atteso l'espresso richiamo contenuto nell'art. 678 cod.proc.pen., dalle disposizioni degli artt. 666 e 667 stesso codice previste per il procedimento di esecuzione, salvo alcune previsioni particolari, derivanti dall'oggetto della materia e dalla competenza distrettuale del Tribunale di Sorveglianza. Anche nell'ambito del procedimento di sorveglianza trova dunque applicazione la disposizione dell'art. 666, comma 2, cod.proc.pen. secondo la quale il giudice competente dichiara inammissibile la richiesta che appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi; situazione che si verifica, quanto al primo profilo (che è il solo che qui rileva), quando difettano quei presupposti o requisiti che discendono direttamente dalla legge e la cui mancanza -in negativo o in positivo- è di immediata percezione e non implica alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice, così da rendere superfluo il contraddittorio sul punto. Tra le "condizioni di legge" deve certamente comprendersi l'obbligo, posto a carico del condannato non detenuto dall'art. 677, comma 2bis, cod.proc.pen. e sancito a pena di inammissibilità di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza. E ciò anche nelle ipotesi di cui all'art. 656, comma 5, cod.proc.pen., come risulta dalla lettera del suddetto comma che richiede, senza distinguere tra domanda presentata direttamente dal condannato ovvero dal suo difensore, che l'istanza volta ad ottenere la concessione di una misura alternativa sia "corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie", dovendosi ricomprendere tra le "indicazioni" che la domanda deve contenere, in mancanza di espressa deroga, quella di cui al citato art. 677, comma 2bis, richiesta in generale per tutte le istanze concernenti il procedimento di sorveglianza; deve altresì tenersi presente che siffatta indicazione non é suscettibile di integrazione successiva, prevedendosi al comma 6 dell'art. 656 cod.proc.pen. soltanto la possibilità di integrare la "documentazione" mancante, ma non anche le "indicazioni" (Sez. I, 9 giugno 2004, n. 36137, Rv 229849). Quanto alla ratio della disposizione prevista dall'art. 677, comma 2bis, c.p.p., la finalità della disposizione in esame va individuata in quella di rendere più spedito il procedimento davanti alla magistratura di sorveglianza, disponendo di un domicilio certo presso il quale 2 dell'interessato può ben essere contenuta o allegata all'istanza del difensore. procedere alle notifiche, e di evitare, conseguentemente, la possibilità di improprie sottrazioni del condannato alla corretta esecuzione, nelle forme e modalità di legge, delle sentenze di condanna a pena detentiva. Per effetto della precisata finalità dell'obbligo imposto dal citato art. 677, comma 2bis,. e della sua specificità, la disposizione in esame deve essere intesta come tassativa (come, peraltro, si evince dal dettato legislativo che prescrive la indicazione "a pena di inammissibilità") e deve, di conseguenza, escludersi che l'obbligo incombente sul equipollenti pur desumibili dagli atti processuali (quali le mere indicazioni circa il domicilio o la residenza dell'istante), o che possano considerarsi come valide le precedenti dichiarazioni o elezioni di domicilio (relative alla fase di cognizione), che perdono efficacia in relazione al procedimento di esecuzione e di sorveglianza. Questi procedimenti, non costituiscono, infatti, una fase o un grado del procedimento di cognizione, ma sono del tutto autonomi, con la conseguenza che la dichiarazione o la elezione di domicilio effettuata nel giudizio di cognizione non è suscettibile di "trasmigrazione" nel procedimento esecutivo ed in quello di sorveglianza (Sez. 1, 23 ottobre 2007, n. 46265, Rv 238768). Ciò posto e tenuto altresì conto del richiamo operato dalla norma in esame alle disposizioni dell'art. 161 c.p.p. "in quanto compatibili", deve affermarsi che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di cui si discute, non è richiesta l'adozione di formule sacramentali e che -per costante indirizzo di questa Corte di legittimità in tema di dichiarazione di domicilio - sia solo necessario che l'indicazione esprima con chiarezza la volontà del condannato in ordine al luogo ove egli intende ricevere la notificazione degli avvisi. Consegue che, compiendosi con entrambe -elezione o dichiarazione di domicilio- un atto di volontà dal quale discendono determinati effetti, è richiesta in proposito, pur senza l'adozione -come si è detto- di una forma vincolata, la presenza di requisiti minimi che attengono sia al contenuto dell'atto, che deve corrispondere allo scopo da perseguire, sia alla certezza della provenienza dell'atto da parte della persona sulla quale grava l'onere, sia alla sicura destinazione di questo ad una determinata autorità giudiziaria. Quello che maggiormente rileva è, tuttavia, la riconducibilità all'interessato della relativa manifestazione di volontà, quale atto dalla natura strettamente personale, con la conseguente esclusione che esso sia ad altri delegabile ovvero sia surrogabile da una dichiarazione del difensore. Non può poi indurre a diversa opinione in ordine alla tassatività dell'obbligo previsto dall'art. 677, comma 2bis, cod.proc.pen. (nonché in ordine alla inidoneità di una surroga del difensore) la facoltà riconosciuta al difensore di poter presentare anch'egli, in pendenza della sospensione dell'ordine di esecuzione della pena, l'istanza volta ad ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione. A parte la incongruenza e la estraneità al sistema normativo della prospettazione di una differente disciplina per il caso in cui la domanda di misura alternativa sia proposta dal 3 condannato non detenuto possa essere assolto attraverso il "recupero" di indicazioni difensore in luogo del condannato, osserva il Collegio: che nessuna differenziazione in tale senso è posta dalla normativa, prevedendo l'art. 656, comma 5, c.p.p. l'obbligo per l'istante, sia esso il condannato o il difensore, di presentare "istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessaria" e, quindi, come innanzi precisato, corredata anche dalla elezione o dalla dichiarazione di domicilio, che ben possono essere allegate all'istanza presentata dal difensore o contenute nell'istanza stessa qualora questa sia firmata anche dal condannato e depositata nella cancelleria; che ad una differenziazione di laddove menziona il "condannato" quale destinatario dell'obbligo previsto a pena di inammissibilità, essendo una tale dizione imposta dalla natura strettamente personale dell'atto di elezione o di dichiarazione di domicilio e nulla incidendo, come testé ricordato, sulla obbligatorietà comunque e per chiunque facoltizzato alla presentazione dell'istanza di corredare la stessa con "le indicazioni" necessarie (Sez. Un., n° 18775 del 17.12.2009, Rv 246720). Alla luce dei principi sopra enunciati, il discorso giustificativo sinteticamente espresso nel decreto in data 17.11.2014 del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste, circa la sussistenza di una causa assorbente di inammissibilità dell'istanza presentata nell'interesse di Furlan Licia dal difensore di fiducia (istanza priva della obbligatoria indicazione di legge prevista dall'art. 677, comma 2bis, cod.proc.pen.), appare corretto; le censure mosse con il ricorso sono, di contro, infondate. Si impone, dunque, il rigetto del ricorso con le conseguenze di legge. P.Q.M Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 16 marzo 2016. normativa non può indurre, altresì, il tenore dell'art. 677, comma 2bis, cod.proc.pen.

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