Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27993 del 28/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27993 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEZIO SALVATORE N. IL 21/06/1948
avverso la sentenza n. 1562/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
02/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ma-fict,(:. 5-J.93
che ha concluso per
/U
tAck /AYCP/1/10
f

Udito, per la parte ci e, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 28/04/2016

,

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza deliberata il 2 marzo 2015 la Corte di appello di Catania
riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di
Vittoria, del 2 marzo 2011 e, concesse all’imputato Salvatore Dezio le circostanze
attenuanti generiche, per l’effetto, riduceva la pena inflittagli in primo grado in mesi
sei di reclusione ed euro 25.000,00 di multa ed applicava la sospensione

affermato la responsabilità in ordine al delitto di cui all’art. 22 c. 12 del D.Igs. n.
286/98, contestatogli per avere occupato lavoratori stranieri in assenza del
permesso di soggiorno.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
a mezzo del difensore, il quale ha lamentato:
a) violazione di legge per omessa applicazione dell’art. 597 cod. proc. pen., comma
1, ed omessa valutazione di prova decisiva, illogicità e contraddittorietà della
motivazione; la Corte di appello, nell’accogliere la doglianza difensiva in ordine
all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai lavoratori stranieri, risultati irreperibili,
ha addebitato alla difesa di non avere chiesto l’ammissione della prova testimoniale
con i testi, muniti di permesso di soggiorno e regolarmente assunti, omettendo di
valutarne anche la loro irreperibilità. In tal modo non ha considerato che non era
stato proposto appello in riferimento a tali deposizioni, si è violato il principio
devolutivo e non si è tenuto conto di quanto riferito dai due testi, che hanno
avvalorato l’assunto difensivo, risultando in tal modo illogica e contraddittoria la
motivazione che si è limitata a definire irrilevante la prova documentale sulla quale
il primo giudice ha fondato il giudizio di responsabilità ed a valorizzarla
testimonianza del Lorefice.
b) Violazione e falsa applicazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. per avere la
Corte di appello rivalutato e sopravvalutato la predetta testimonianza Lorefice che
ha confuso quanto percepito con quanto dedotto in base a propria personale
opinione, fondata sul tipo di abbigliamento indossato dai presunti lavoratori, in base
al quale aveva ritenuto che i soggetti osservati avessero lavorato alle dipendenze
del ricorrente, mentre costoro erano stati colti nel momento in cui erano intenti a
mangiare.
c)

Omessa applicazione dell’art. 530 cod. proc. pen., comma 2: nel sistema

processuale vigente la responsabilità dell’imputato deve essere dimostrata al di là di
ogni ragionevole dubbio, criterio violato quando la pronuncia della condanna si
fonda su un accertamento giudiziale non sostenuto da certezza razionale o su
deduzioni personali.

1

condizionale della pena, confermando nel resto l’impugnata sentenza, che ne aveva

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati
ed in parte non consentiti nel giudizio di legittimità.
1.11 ricorrente assume del tutto infondatamente che la motivazione della
sentenza impugnata sarebbe affetta da violazione delle norme processuali e da
illogicità giustificative nella valutazione degli elementi probatori.

appello, i quali, nel richiamare i rilievi parzialmente condivisi della pronuncia di
primo grado e nel rilevare l’inutilizzabilità ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. delle
dichiarazioni degli extracomunitari irregolari, che avrebbero prestato attività
lavorativa alle dipendenze dell’imputato, hanno evidenziato come dalla
testimonianza dell’ispettore del lavoro Lorefice fosse emerso che i soggetti rinvenuti
all’atto del controllo nei terreni dell’azienda agricola dell’imputato erano stati
sorpresi intenti a consumare un pasto in abiti da lavoro, sporchi e con attrezzi
riconducibili all’impiego in lavorazioni agricole ed avevano stazionato nei pressi di
un capannone utilizzato per il pernottamento, circostanza dedotta dalla presenza di
letti e di altri effetti personali. In tal senso ha valorizzato precise circostanze di
fatto, non limitate all’abbigliamento indossato dalle persone rinvenute, ma
riguardanti il contesto complessivo del loro aspetto, dell’atteggiamento riscontrato,
del possesso di strumenti da lavoro e della prossimità al luogo ove erano alloggiati,
elementi oggettivi descritti in quanto frutto, non di impressioni o deduzioni opinabili
del teste, ma percepiti per osservazione diretta e considerati concordanti ed univoci
nell’indicarne l’impiego in attività lavorative agricole alle dipendenze del ricorrente.
Al contempo, la Corte di merito ha sottoposto al proprio vaglio critico le
giustificazioni prospettate dalla difesa, di cui ha apprezzato l’inverosimiglianza, dal
momento che l’eventuale visita effettuata dai soggetti stranieri irregolari ai due
lavoratori regolarmente assunti sul presupposto che gli stessi fossero parenti, è
stata ritenuta una possibilità non riscontrata, dal momento che le dichiarazioni rese
dai due predetti dipendenti regolari non sono state acquisite al processo mediante
la loro escussione dibattimentale, non richiesta dall’imputato.
1.1 Sul punto non è dato comprendere il valore giuridico dell’obiezione,
articolata in ricorso, sulla violazione del principio devolutivo: l’appello ha
demandato al giudice di secondo grado la verifica circa la conducenza degli
elementi probatori a sostenere il postulato accusatorio ed a tale tema si è attenuto
il collegio distrettuale, dal momento che, pur avendo escluso il valido impiego
probatorio di verbali di dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini dai soggetti
extracomunitari indicati nell’imputazione, che ha ritenuto non utilizzabili in
accoglimento di espressa doglianza contenuta nell’appello, ha condotto la c.d.
2

Trascura però di confrontarsi con le argomentazioni esposte dai giudici di

..

“prova di resistenza” e ritenuto sufficiente e conclusivo quanto riferito dal
verbalizzante, non contraddetto da risultanze di segno difforme. Si è dunque
attenuto al principio secondo il quale la condivisione del motivo che ha denunciato
l’illegale assunzione di un mezzo di prova non comporta in via automatica
l’annullamento della sentenza impugnata, ma impone di effettuare la cd. “prova di
resistenza”, ossia di riscontrare quale peso dimostrativo reale lo stesso abbia
rivestito nell’ambito della decisione del giudice, se decisivo o meno e se eventuali

(Cass. sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, Calabrese, rv. 262011; sez. 2, n. 41396 del
16/09/2014, Arena, rv. 260678; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, rv.
259452; sez. 6, n. 1255 del 28/11/2013, Pandolfi, rv. 258007).
1.2 Non assume dunque alcun rilievo che l’impugnazione fosse stata proposta
dal solo imputato e non dall’organo dell’accusa, dal momento che la stessa, in
ossequio alle prescrizioni di cui all’art. 581 cod. proc. pen., ha investito l’unico capo
della sentenza impugnata ed il punto riguardante il giudizio di colpevolezza,
accordando al giudice di appello il potere di verificare se il materiale probatorio
fosse validamente impiegabile e fosse dotato di idonea capacità rappresentativa dei
fatti dai quali derivava l’addebito.
1.3 Né è stato validamente formulato il motivo primo di ricorso laddove si
assume che sul contenuto delle informazioni dei lavoratori stranieri regolarmente
assunti avrebbe riferito “de relato” l’ispettore Lorefice, poiché, anche a prescindere
dalla valorizzazione della fonte non confermata da quella diretta, non è dato
conoscere il contenuto di tali informazioni, non sunteggiate nell’impugnazione e
soprattutto non riprodotte integralmente. Né il ricorrente ha prodotto in allegato le
trascrizioni dell’udienza nella quale si era svolto l’esame del teste Lorefice,
incorrendo nel difetto di autosufficienza, che impedisce a questa Corte di tener
conto di prova dichiarativa dal contenuto ignoto ed incerto e di riscontrare il vizio
motivazionale denunciato.
2. Sotto diverso profilo, la censura processuale relativa alla violazione
dell’art. 512 cod. proc. pen. quanto ai verbali di s.i.t. rese dai due lavoratori dotati
di permesso di soggiorno e regolarmente assunti, è stata correttamente respinta
dalla Corte di merito nella riscontrata insussistenza dei presupposti applicativi per
consentire l’introduzione negli atti dibattimentali di verbali formati nel corso delle
indagini preliminari e contenenti informazioni rese da soggetti resisi
successivamente irreperibili, il che aveva impedito l’acquisizione nel contraddittorio
del loro apporto informativo, poiché l’imputato non ne ha mai inserito il nominativo
nella propria lista testi depositata nelle more dell’inizio del giudizio di primo grado e
non ne ha chiesto l’esame nemmeno con l’appello, privo di qualsiasi richiesta di
rinnovazione dell’istruttoria ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.. Inoltre, non ha
3

ulteriori fonti di prova siano in grado in via autonoma di sostenere la decisione

dimostrato in alcun modo l’impossibilità di reperire i testi e quindi di ripetere i
verbali formati dalla polizia giudiziaria.
Questa Corte ha già affermato che “Ai fini della lettura e della utilizzabilità di
dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile,
è necessario che il giudice abbia praticato ogni possibile accertamento sulla causa
dell’irreperibilità e che risulti esclusa la riconducibilità dell’omessa presentazione del
testimone al dibattimento ad una libera scelta dello stesso” (Cass. sez. 1, n. 46010

In definitiva, la sentenza impugnata, priva di vizi di legalità e motivazionali,
supera indenne il controllo operabile nel giudizio di legittimità ed il ricorso va
dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di
impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di euro 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2016.

P

del 23/10/2014, D’Agostino e altro, rv. 261265).

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