Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27989 del 21/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27989 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TALERICO PALMA

Data Udienza: 21/04/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COFFA ALESSANDRO N. IL 09/09/1983
ROMANO ANDREA N. IL 11/06/1986
MAGGI BRYAN N. IL 08/06/1990
LAZZOI ALIOSCHA N. IL 25/11/1989
FONTO’ DAVIDE N. IL 08/12/1984
avverso la sentenza n. 5168/2014 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 03/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/04/2016 la :az:netfattadal
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Consigliere Dott. PALMA TALERICO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 aprile 2015, la Corte di appello di Bologna confermava la
pronuncia del giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale in data 24.9.2014
che aveva:
– dichiarato Coffa Alessandro responsabile dei reati di cui ai capi A, B, C, D, G e H,
assorbito il reato di cui al capo Cl in quello di cui al capo D, assorbito il reato di

corrispondenti reati di cui ai capi B e D, e lo aveva condannato, unificati gli stesi sotto il
vincolo della continuazione, ritenuta la contestata recidiva reiterata, specifica e
infraquinquennale, operata la riduzione per la scelta del rito, alla pena di anni quattro,
mesi dieci di reclusione ed C. 3.600,00 di multa;
– dichiarato Romano Andrea responsabile dei reati di cui ai capi A, B, C, D, G, ed H,
assorbito il reato di cui al capo C1 nel reato di cui al capo D e, unificati gli stessi sotto il
vincolo della continuazione, ritenuta la contestata recidiva reiterata, specifica e
infraquinquennale, operata la riduzione per la scelta del rito, lo aveva condannato alla
pena di anni cinque, mesi due di reclusione ed C. 3.800,00 di multa;
– dichiarato Maggi Bryan responsabile di reati di cui ai capi A, B, C, D, E, F, G, ed H,
assorbito il reato di cui al capo C1 in quello di cui al capo D, assorbito il reato di
detenzione di arma comune da sparo e detenzione di arma clandestina di cui ai capi A e C
nei corrispondenti reati di porto di cui al capo B e D e, unificati gli stessi sotto il vincolo
della

continuazione,

ritenuta

la

contestata

recidiva

reiterata,

specifica

e

infraquinquennale, nonché l’aggravante di cui all’al 61 n. 6 cod. pen., operata la
riduzione per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena di anni cinque, mesi due di
reclusione ed C. 3.800,00 di multa;
– dichiarato Lazzoi Alioscha, responsabile dei reati di cui ai capi A, B, C, D, G, H, I ed
L, assorbito il reato di ci al capo C1 nel reato di cui al capo D, assorbito il reato di
detenzione di arma comune da sparo e detenzione di arma clandestina di cui ai capi A e C
nei corrispondenti reati di porto di cui ai capi BeDe lo aveva condannato, unificati gli
stesi sotto il vincolo della continuazione, ritenuta la contestata recidiva reiterata,
specifica e infraquinquennale, nonché l’aggravante di cui all’art. 72 d.lgs. n. 159 del
2011, operata la riduzione per la scelta del rito, alla pena di anni cinque, mesi due di
reclusione ed C. 3.800,00 di multa;
– dichiarato Fontò Davide responsabile dei reati di cui ai capi A, B, C, D, G ed H,
assorbito il reato di cui al capo C1 nel reato di cui al capo D, assorbito il reato di
detenzione di arma comune da sparo e arma clandestina di cui ai capi A e C nei
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detenzione di arma comune da sparo e arma clandestina di cui ai capi A e C nei

corrispondenti reati di porto di cui ai capi B e D e, unificati gli stessi sotto il vincolo della
continuazione, ritenuta la contestata recidiva reiterata e specifica, operata la riduzione
per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena di anni tre, mesi due di reclusione ed
€. 2.400,00 di multa.
I giudici di merito avevano ricostruito i fatti nel seguente modo: nell’ambito di
un’attività investigativa era stato segnalato l’arrivo a Forlì di un camper con a bordo
soggetti pregiudicati che sarebbero giunti da Brindisi per commettere delle rapine; un

che procedeva lungo detta autostrada accompagnato da un’autovettura Lancia Musa, che
viaggiava alla medesima velocità ridotta del primo autoveicolo sino all’uscita del casello
di uscita di Forlì, in prossimità del quale la suddetta autovettura andava avanti ed
effettuava alcuni giri di perlustrazione per, poi, ricongiungersi con il camper; entrambi i
veicoli, infine, parcheggiavano lungo Via Europa, dove gli occupanti della Lancia Musa
scendevano dall’auto ed entravano nel camper; si constatava che cinque erano le
persone arrivate a Forlì; costoro a gruppi effettuavano degli accessi al centro cittadino a
piedi o con la Lancia Musa; il personale della polizia riconosceva nel gruppo Lazzoi
Aliosaca, sottoposto a misura di prevenzione e Coffa Alessandro; si constatava che
durante la notte i soggetti individuati dormivano nel camper; la mattina successiva, tutti
gli imputati venivano fermati (il Coffa, il Romano e il Fontò si trovavano ancora a bordo
del camper, mentre il Lazzoi e il Maggi – quest’ultimo sottoposto alla misura restrittiva
della libertà disposta dal Magistrato di sorveglianza di Bari – stavano facendo un giro a
piedi nei dintorni); venivano sottoposti a perquisizione il camper e l’autovettura, a bordo
della quale si rinvenivano due scanner per captazione delle frequenze, due centraline
elettroniche per l’accensione di autovetture, un dispositivo navigatore satellitare, un
fucile a canne mozze, una pistola calibro 7,65, entrambi con i numeri di matricola abrasi,
tre cartucce calibro 12, un cutter, un taglia bulloni, una chiave inglese, una cagnina, una
lima di ferro; inoltre il Lazzoi veniva trovato in possesso di un coltello a serramanico; il
Maggi, in sede di identificazione dichiarava di chiamarsi Maggio Tiziano ed esibiva una
carta di identità valida per l’espatrio contraffatta; le giustificazioni fornite dagli imputati,
secondo cui si sarebbero recati al Nord per valutare la possibilità di commettere qualche
furto e che il Fontò, proprietario e conducente dell’autovettura, sarebbe stato ignaro dei
loro propositi e delle armi trasportate non venivano ritenute credibili avuto riguardo alla
condotta di guida dell’uomo inconciliabile con un mero accompagnamento per andare a
recuperare un mezzo avariato; inoltre, un carico di armi e un armamentario funzionale ad
aprire o scassinare serrature o altro non poteva passare inosservato, né si poteva
equivocare sulla natura del viaggio, stante i precedenti penali delle persone con cui il
Fontò si era accompagnato.

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servizio di pattugliamento sull’autostrada A 14 aveva consentito di individuare il camper

2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con un unico atto,
gli imputati Coffa, Romano, Maggi e Lazzoi, per il tramite del loro difensore di fiducia,
avvocata Cinzia Cavallo; ha, altresì, proposto ricorso per cassazione il Fontò, per il
tramite del suo difensore di fiducia, avvocata Ernestina Sicilia.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti Coffa, Romano, Maggi e Lazzoi hanno denunciato
inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 99, comma
5, cod. pen. come modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 185 del 2015,

citata norma e che, per l’effetto, si è proceduto all’aumento di 2/3 della pena base; e
hanno sostenuto che, alla luce dell’intervento della Consulta, la sentenza impugnata deve
essere annullata.
2.2. Con il secondo motivo, ì ricorrenti hanno denunciato violazione e/o erronea
applicazione della legge penale, nonché difetto di motivazione per mancanza e/o
contraddittorietà e/o manifesta illogicità della stessa in relazione al diniego della
concessione delle circostanze attenuanti generiche: gli imputati hanno reso ampia
confessione delle proprie responsabilità, specificando nel dettaglio le ragioni che li
avevano spinti a commettere il gesto criminoso; la sentenza di appello avrebbe omesso
qualsiasi considerazione in merito richiamando la pronuncia di primo grado che aveva
affermato apoditticamente che la confessione era il frutto di mera strategia processuale
piuttosto che segno di effettiva resipiscenza; tutti gli imputati, inoltre, sono affetti da una
tossicodipendenza acclarata il che spiegherebbe il loro coinvolgimento nei fatti delittuosi.
2.3. Con il primo motivo di ricorso, il Fontò ha denunciato “la nullità della sentenza per
violazione dell’art. 606 lett. e cod. proc. pen. anche in relazione agli artt. 6 CEDU, 24 e
111 della Costituzione: la Corte territoriale avrebbe richiamato le argomentazioni del
primo giudice, facendole proprie senza però prendere in considerazione le censure
proposte nell’atto di appello; tale modo di procedere priverebbe la motivazione della
funzione sua propria che è quella di superare argomentativamente le prospettazioni
difensive e inciderebbe in maniera sensibile sul concetto del gusto processo, sancito dagli
artt. 6 CEDU e 24 e 111 della Costituzione laddove la mancata risposta alle legittime
deduzioni difensive si traduce in un inaccettabile atto di forza processuale volto a
ignorare prospettazioni argomentative in contrasto con la linea varata dal primo giudice e
condurrebbe a un percorso di responsabilità di fatto privato di quello che è il senso
costituzionale del secondo grado di giudizio ove la motivazione del secondo giudice deve
necessariamente superare con l’uso della dialettica le censure di cui all’atto di gravame.
2.4. Con il secondo motivo, il Fontò ha denunciato la “manifesta illogicità della
sentenza”: nell’atto di appello era stato evidenziato come uno degli elementi decisivi per
l’affermazione della responsabilità dell’imputato era costituito dalla circostanza del
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evidenziando che nei confronti dei predetti imputati è stata ritenuta la recidiva di cui alla

rinvenimento delle rice – trasmittenti in grado di captare le frequenze della Forze
dell’Ordine e come da ciò era stato argomentato la consequenziale e necessaria
consapevolezza del Fontò circa i propositi delittuosi altrui; la difesa aveva evidenziato la
necessità di svolgere una perizia su detti apparati ritenuti dei meri walkie talkie; non
essendosi formata una prova tecnica ne conseguirebbe il vizio di motivazione.
2.5. Con il terzo motivo, il ricorrente ha denunciato l’inosservanza e l’erronea
applicazione della legge penale in relazione all’art. 99, comma 5, cod. pen. così come

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi degli imputati meritano accoglimento limitatamente alla ritenuta recidiva di
cui all’art. 99, comma 5, del codice penale.
Posto che l’aggravante in parola è stata ritenuta e applicata dai giudici di merito sulla
base del solo richiamo alla sua obbligatorietà e che la Corte Costituzionale, con sentenza
del 23 luglio 2015 n. 185, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 5 del
citato articolo 99, come sostituito dall’art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251,
limitatamente alle parole “è obbligatorio”, la sentenza impugnata va annullata con rinvio
ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che dovrà accertare se, in concreto, la
reiterazione del delitto sia espressione di più accentuata colpevolezza e di maggiore
pericolosità degli imputati.
2. I ricorsi sono, nel resto, infondati e, pertanto, vanno rigettati.
2.1. Quanto al motivo di ricorso riguardante la violazione e/o erronea applicazione
della legge penale, nonché il difetto di motivazione in relazione al diniego della
concessione delle circostanze attenuanti generiche proposto dal Coffa, dal Romano, dal
Maggi e dal Lazzoì, si osserva che non vi è violazione di legge sia sotto il profilo
dell’inosservanza che dell’erronea applicazione, in quanto la decisione ha correttamente
applicato la norma di cui all’art. 62 bis cod. pen. come interpretata dalla giurisprudenza
di questa Corte.
Secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, infatti, “ai fini della concessione o del
diniego delle circostanze attenuanti generiche basta che il giudice del merito prenda in
esame quello tra gli elementi indicati nell’articolo 133 cod. pen., che ritiene prevalente e
atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e anche un solo elemento che
attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione
di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse” (Cass. Sez.
sez. 2, 18 gennaio 2011, n. 3609, RV 249163; conformi: Cass. Sez. 2, 16 gennaio 1996,
n. 4790, RV 204768; Cass. Sez. 2, 27 febbraio 1997, n. 2889, RV 207560).
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modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 185 del 2015.

Peraltro, al di là dell’indicazione formale del vizio denunciato con tale motivo, si
osserva che la sentenza impugnata ha, con ragionamento logico, spiegato le ragioni per
le quali gli imputati non sono stati ritenuti meritevoli della concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
In particolare, la Corte territoriale ha osservato che, “nel caso di specie mancano
elementi suscettibili di concreto e positivo apprezzamento dovendosi valutare le
dichiarazioni rese in sede di convalida come mere ricognizioni di una responsabilità già

operavano una ricostruzione dei fatti non veritiera, in quanto volta a escludere il
coinvolgimento del Fontò, che tra tutti era quello gravato da un minor numero di
precedenti penali”.
Inoltre, va osservato che, per giurisprudenza costante, il provvedimento di primo
grado e quello di appello allorché non vi sia difformità sulle conclusioni raggiunte si
integrano vicendevolmente, formando un tutt’uno organico e inscindibile, una sola entità
logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della
motivazione.
Orbene, applicando detto principio nel caso di specie, va rilevato che il primo giudice
aveva, altresì, evidenziato, al fine di escludere la concedibilità nei confronti dei ricorrenti
delle circostanze attenuanti generiche, il grave contesto in cui erano stati consumati i
reati di che trattasi – che dimostrava “lo stabile inserimento dei prevenuti nel mondo del
crimine” – la particolare condizione soggettiva di alcuni di loro (il Maggi era colpito da
ordine di carcerazione al quale si era sottratto; il Lazzoi era sottoposto alla misura di
prevenzione) e, per tutti, “la vita anteatta dei medesimi, dedita alla commissione di
rapine e furti, allo spaccio di stupefacenti e altro” – sintomatica, “nonostante la giovane
età, dell’adesione degli stessi a uno stile di vita consolidato e improntato alla sistematica
violazione della legalità in cui le occasioni di facile guadagno in cui si è manifestata la
continua ricaduta nel crimine, hanno prevalso sulla loro capacità di autocontrollo”.
2.2. Quanto al primo e al secondo motivo di ricorso proposto da Fontò Davide, va,
innanzitutto, osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “nel
giudizio di appello, è consentita la motivazione per relationem alla pronuncia di primo
grado, nel caso in cui le censure formulate dall’appellante non contengano elementi di
novità rispetto a quelle già condivisibilnnente esaminate e disattese dalla sentenza
richiamata” (Cass. Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Rv. 257056).
I giudici di legittimità, inoltre, hanno costantemente affermato che la motivazione per
relationem di un provvedimento giudiziale è da considerarsi legittima quando: faccia
riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui
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evidente per la flagranza dei reati, né potendosi trascurare il fatto che tali dichiarazioni

motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del
provvedimento di destinazione; fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso
cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le
abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; l’atto di riferimento, quando non
venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato
o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della
facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di

Nel caso di specie, la sentenza impugnata non solo ha correttamente applicato i
superiori principi ma, per di più, ma ha dato conto degli specifici motivi di impugnazione
che censuravano le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, argomentando
sull’inconsistenza o sulla non pertinenza dei rilievi difensivi, non limitandosi, dunque, a
riprodurre la decisione confermata e a dichiarare, in termini apodittici e stereotipati, di
aderirvi.
In particolare, è stato evidenziato che la penale responsabilità del Fontò per i reati in
materia di armi e ricettazione risultava incontrovertibilmente provata dal rinvenimento
delle stesse in sede di perquisizione dei mezzi con i quali il Fontò e gli altri imputati
avevano raggiunto la città di Forlì, oltre che dalla conversazione intercettata, avvenuta il
15 novembre 2013 all’interno del camper, nella quale proprio il Fontò esprimeva stupore
per l’elevata potenzialità offensiva delle armi che lui e gli altri stavano maneggiando,
prima di nasconderle nel bagagliaio dell’autovettura del medesimo Fontò; ed è stato
osservato che tali evenienze giustificavano la reiezione di tutti gli argomenti difensivi
proposti nell’atto di appello (tra cui anche quello relativo alla natura delle
apparecchiature ritrovate), tendenti a sostenere la mancata consapevolezza del predetto
imputato delle intenzioni delittuose degli amici, che venivano ritenute del tutto irrilevanti
ai fini del giudizio di responsabilità del Fontò, il quale è chiamato a rispondere dei reati in
materia di armi e di ricettazione e non di quelli di rapina o furto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati ricorrenti
limitatamente alla recidiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della
Corte di appello di Bologna; rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso, il 21 aprile 2016
Il Consigliere estensore

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controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione.

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